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Ferocia nera o barbarie bianca?
Sento ancora la voce di quel missionario.
“Come ti chiami?”
“Yolande”
“Yolande Mukagasana”
“Ancora un nome da selvaggio. Come vuoi  che possa ricordarmelo?”
L’uomo non era malintenzionato. Mi ha insegnato l’amore di Cristo. Ci ho creduto.
Era il 1968, a Butare, avevo quattordici anni.
Che si tagliano le braccia dei bambini con il machete, che si violentino le donne prime di sventrarle, che si lascino agonizzare sul ciglio della strada degli uomini mutilati, sì, è senza dubbio ferocia.
L’Occidente è più sottile. Non taglia le membra. Lascia morire di fame a lungo prima di mettere a morte. L’Occidente del genocidio ebreo, quest’Occidente che ha potuto concepire e organizzare la soluzione finale, quest’Occidente che ha portato il raffinamento della crudeltà fino a prevedere dei luoghi per uccidere, non è forse l’occidente della barbarie?
Tra ferocia e barbarie, chi ci chiede di scegliere?
Noi, Neri, ci abbracciamo con tutto il corpo quando vogliamo manifestare tutta la nostra simpatia.
Voi, Bianchi, vi sfiorate la mano e poi ve la asciugate sui vestiti.
Noi, Neri, ci mutiliamo durante le nostre controversie.
Voi, Bianchi, vi fate morire a fuoco lento.
Chi tra noi è più odioso? Altro continente, altri costumi.
Con quale diritto l’Occidente giudica che noi siamo meno degni?
E se io preferissi vedere i miei figli uccisi con un colpo di machete piuttosto che doverli immaginare morti di fame nei campi di concentramento? Ditemi, profeti dell’Occidente, perché non posso preferire questa soluzione?

 

Yolande Mukagasana, nata a Butare da una famiglia tutsi, nel libro “La morte non mi ha voluta” ,Edizioni La meridiana 1999,racconta la sua esperienza del genocidio del 1994, durante il quale perse tutta la sua famiglia.