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mik.trik@virgilio.it (Michele Tricase responsabile sito Geo Trek)
DIRETTISSIMA
AL MONTE ALPI
“VIA
DEL FANTASMA” – 27 Marzo 2009
Testo e foto di Michele Tricase
Abbiamo terminato l’avvicinamento, la neve non tiene e
si fatica parecchio. Del resto c’è uno scirocco notevole e il caldo si fa
sentire. Alla partenza ci sono già 12° a circa 1000 metri di quota. Nino
Gagliardi apre il gruppo e precede di qualche metro Franco Palazzo. Nino è
impegnato a superare un breve saltino su roccette con passaggi di 1°; le
roccette sono infide e scivolose, sono più quelle che si muovono di quelle che
salde diventano sicuro appiglio. A questa situazione si aggiunge l’erbetta
ricoperta da poca neve inutile che diventa presto cosa mobile sotto lo
scarpone. Si fa progressione facendo attenzione. Franco arrampica, quando
scorge dietro di sé una sagoma, vede nitidamente un uomo/escursionista: zaino,
scarponi, bastoncini, … Pensa che si tratti del sottoscritto ed esclama tra sé
e sé: - Caspita che passo Michele, ci ha già ripresi! Poi niente. Solo neve
bianca e rocce scure. Dell’uomo in movimento nessuna traccia e nessuna scia
lasciata sulla neve. Di qui, comodamente seduti a pranzare da “Panzardi”, nasce
l’idea di chiamare questa ascesa “La via del Fantasma”.
Quella che abbiamo battezzato, Via del Fantasma, in
realtà è un qualcosa che andavamo inseguendo da diversi anni: ha sempre
attirato la nostra attenzione quella via bianca che da Frusci si stacca, chiara
e verticale e che porta dritta dritta in vetta al Monte Alpi.
Certo una cosa è vedere da lontano, un’altra cosa è
metterci piede. E così, valutando il da farsi, cercando di capire dove andare e
cosa fare, scegliendo tra una escursione già fatta ed un’altra da provare, ci
siamo avventurati lungo questa via del tutto nuova, almeno per noi, e … la
nostra curiosità è stata ampiamente ripagata. Semplicemente bella.
Semplicemente verticale. Incredibilmente lunga, appagante e panoramica. Da
riproporre e rifare.
Siamo partiti dalla località di Frusci … con la chiara idea di non fare tardi per
passare da Panzardi. Il primo tratto è facile e veloce, poi a circa 1200 m
la prima neve. Tiene, non tiene; prova e riprova. Non tiene! E’ vero, la neve
non è dura, ma in compenso rende la marcia molto sicura sul verticale; infatti
i primi gradinano e gli altri va su che è una bellezza.
Nel primissimo tratto del canalone, alcuni passaggi su
roccia ci impegnano un po’: rotola tutto e spesso grosse pietre si staccano
mentre tentiamo di afferrarci a loro. Poi siamo nel canale su neve e la
progressione diventa subito sicura: ogni passo ci fa guadagnare metri su metri
e dopo circa un’ora siamo a quota 1500.
Alle nostre spalle la poderosa mole del Sirino ed in
lontananza i monti del Cilento; poi uno sguardo più lungo, ed ecco il mare con
lo splendido golfo di Policastro. E poi ancora la catena del Pollino con le vette
bianche che svettano tra le pochissime nuvole. Il sole picchia e la fronte
brucia, ma in compenso la neve diventa migliore, lo scarpone trova comodi alloggi
e sembra di salire una scala verso il cielo. Sulle nostre teste c’è un azzurro
fantastico e leggere velature di nuvole che disegnano la cresta sommitale. Ci
alterniamo ad aprire la pista e così permettiamo all’apripista di tirare il
fiato. Apriamo in tre alternandoci: Nino, Franco ed io, mentre a breve distanza
ci seguono Ciro, Nunzio e Rosaria. Troviamo tempo e modo di fare più scatti, la
via merita di essere ricordata ed oltre alle immagini che abbiamo dentro e
viviamo in diretta, vogliamo portare qualcosa a casa. Intorno ai 1800 m
facciamo il punto della situazione e disegniamo idealmente l’ultimo tratto da
affrontare: la pendenza si fa sentire e vedere, siamo intorno ai 50° e sopra di
noi il vento ha formato delle curiose e bizzarre cornici: non sono pesanti e
quindi non ci trasmettono timori. In breve Nino affronta, deciso, gli ultimi
metri che ci portano ad affacciarci sulla cresta sommitale.
Sbuchiamo sul filo di cresta e aspettiamo per
ricompattare il gruppo. Non ci sono particolari problemi tecnici e la vetta è
presto cosa fatta. Ci guardiamo in giro appagati: siamo molto soddisfatti e non
nascondiamo il nostro orgoglio. Siamo gruppo, siamo amici, viviamo e
condividiamo esperienze uniche che ci rafforzano. Poi una telefonata a Panzardi
e parte la prenotazione post-discesa… arriviamo! “Ma da dove si scende?”,
chiede candidamente Rosaria. “Da dove siamo saliti”, le rispondo. Il suoi occhi
cercano i nostri ed il suo sguardo corre giù: tutto sembra più ripido di prima.
Poi passiamo all’azione; Nino è una scheggia, Franco medita ed io conduco Rosaria
ad un attacco di discesa “più tranquillo”.
Dopo qualche lunghissimo minuto Rosaria mi ringrazia;
è già più rilassata e la lunga discesa non le trasmette più timore. Da Panzardi
riesce perfino a mangiare qualcosa, (lei, la donna dalle mille diete
equilibrate), in compagnia di 5 amici “squilibrati” che tra un bicchiere di
vino e l’altro programmano già le prossime avventure e si parla di Gran Sasso,
di Maiella ... col permesso delle mogli che al momento non sanno nulla.
VETTA DEL POLLINO
SABATO 17 GENNAIO 2009
di Michele Tricase
E’ dura quest’anno: piove quasi tutti i giorni. E’ dura per noi escursionisti che aspettiamo con impazienza la Domenica per uscire a scarpinare. Sta diventando dura anche per i terreni che non riescono più ad ingoiare l’abbondante ed incredibile acqua che cade dal cielo, quasi perennemente grigio. Negli ultimi mesi si assiste a condizioni molto particolari; è tutto un fare ed un evolversi incredibile; non piove per mesi interi, l’acqua scarseggia, gli invasi sono ormai vuoti, si grida all’emergenza, poi c’è l’emergenza opposta: l’acqua è tanta, sconvolge la terra, miete vittime. In queste situazioni bisogna avere pazienza e saper aspettare; spesso ti capita di seguire le previsioni già dal Martedì precedente, poi la fucilata: durante il week-end nuvole e pioggia. Di fine settimana in fine settimana abbiamo aspettato e siamo stati finalmente premiati: sabato 17 Gennaio, un tempo spettacolare, non una nuvola, non un segno sfavorevole, non una situazione avversa, un cielo limpido come non si vedeva da tempo. Semplicemente fantastico.
Partiamo in tre, io Nunzio e Ciro, gli altri amici contattati sono tutti impegnati, e decidiamo di concederci la vetta del Pollino in invernale. Pensiamo di salire per la direttissima dal colle Gaudolino lungo la grande slavina del 1994. Quell’anno mi trovavo proprio da quelle parti, ero al Gaudolino con altri amici e stavamo salendo per il sentiero che conduce al “Pollinello alto” , chiamato anche Pollinello 2000. Mentre marciavo su neve notai qualcosa di strano, di diverso e di sconvolgente: decine e decine di alberi giganteschi trascinati giù da una forza immane. Era neve quella forza, era ghiaccio misto a grossi blocchi di roccia. Era l’intera montagna venuta violentemente giù, portandosi via tutto quello che aveva incontrato. Fortunatamente solo alberi: grandiosi faggi che nulla avevano potuto contro quella massa veloce e devastante. Un’ecatombe: decenni di vita cancellati in un attimo. Salivo e mi guardavo intorno attonito, ma capivo che la montagna non aveva voluto vittime umane. C’erano decine di alberi ammassati tra di loro e passare oltre fu un problema delicato. La grandiosa slavina avrebbe potuto staccarsi in un qualsiasi altro momento e cancellare delle vite, per fortuna lo fece in un giorno di “solitudine”, giorno in cui nessuno passava da quelle parti. Quella via è poi diventata una classica ascesa invernale per arrivare in cima al Pollino. In quel lontano Gennaio del 1994, per la cronaca, non esisteva ancora il Geo Trek, che avrebbe visto la luce nel mese di novembre dello stesso anno. Non c’era il Geo trek, ma c’eravamo noi che già da numerosissimi anni frequentavamo la montagna. Nel ’94 ricordo, che tra le altre cose ebbi modo di dedicarmi alle vie ferrate delle Dolomiti dell’Alta val Badia, al GR 20 in Corsica e alla nascita del Geo. Un anno ricco di avvenimenti e soddisfazioni. Ma torniamo a 19 Gennaio di quest’anno. Come raccontavo tempo stupendo … ma montagna carica fino all’inverosimile di neve.
La marcia per il colle Gaudolino è assai veloce: di neve ce n’è pochissima, la pioggia ha colpito fino ai 1600m di quota e l’ha sciolta tutta o quasi. La poca rimasta si è facilmente trasformata in lastre di ghiaccio: facciamo attenzione a non farci male sul facile. Superata la quota di 1600m sbuchiamo al colle Gaudolino dove si apre uno spettacolo fenomenale: neve bianca, candida che avvolge tutto il massiccio del Pollino. Oltre i 1600m le gocce si sono trasformate in fiocchi e i fiocchi in cumuli di neve sempre più estesi e spessi. Le pareti si scorgono a malapena, la neve si è attaccata alle rocce verticali e mette paura: la montagna è troppo carica e potrebbe venire giù un’altra volta. Decidiamo di salire “tenendoci al sicuro”, fuori cioè da una possibile nuova slavina. L’episodio del ‘94 ci ha insegnatoe ci ha fatto capire che anche il Pollino è una montagna pericolosa e non bisogna assolutamente sottovalutarla. Saliamo tenendoci fuori da quella che potrebbe essere la traiettoria di una nuova slavina, in particolare andiamo su tenendoci fuori dalla parte più incassata del pendio. Abbiamo già calzato i ramponi, la neve è dura e ci muoviamo su crosta ghiacciata. La pendenza aumenta all’altezza dei primi maestosi pini loricati: è uno spettacolo già visto ma sempre affascinante.
Procediamo con attenzione senza sottovalutare né la pendenza né la massa di neve che abbiamo sulle teste. Decidiamo di spostarci sulla cresta di sinistra per chi sale e vede la montagna dal rifugio del Gaudolino. Superiamo alcuni passaggi esposti e concentrati ci portiamo oltre i 2000 m, dove incontriamo un vento tagliente provenire da Nord.
La neve mossa dai nostri ramponi si solleva, si attorciglia e viaggia veloce, sperdendosi verso il lontano Dolcedorme.
Siamo noi e la montagna, uno scenario che appaga quelli che come noi accettano queste piccole sfide. In vetta solo foto, solo sguardi a cercare particolari lontani. Nel cuore solo dispiacere nel sapere che bisogna lasciare ed andare.
La discesa verso il Pollinello è facile e divertente, mentre andiamo giù scattiamo altre foto, la montagna merita mille attenzioni e non ci lasciamo sfuggire l’opportunità di fermare la magia del momento.
Al rifugio ci fermiamo per una meritata sosta e per sgranocchiare qualcosa. Poi il gran finale dall’amico Antonio che ci accoglie caldamente nella sua casa a Varco.
Pollinello 2000
14 Dicembre 2008
di Michele Tricase
E’ neve, quella che troviamo abbondante a quota 1500 m…. e di neve ce n’è veramente tanta.
Tutta l’acqua che lo scirocco delle ultime settimane ci ha scaricato copiosamente addosso, in montagna si è trasformata in neve. Tutta l’acqua si è cristallizzata e in pochi giorni ha trasformato il paesaggio. Sembra incredibile, e non ci crede neanche Luciano del ristorante “Torre Vecchia”, ma oltre i 1800m ci sono più di 2/3 metri di neve e non c’è una sola pietra, una sola roccia che riesca a farsi strada tra la neve: è tutto un manto bianco. Un mare incontrastato. Gli alberi sono piegati e dobbiamo farci largo tra i rami appesantiti e di sovente la neve che si stacca si insinua tra la maglia e la giacca. I brividi non fermano i nostri passi e lentamente saliamo su in quota.
E’ silenzio, questa montagna d’inverno. Poche tracce di animali attraversano il nostro percorso; sicuramente il grande ed improvviso freddo ha fatto sì che si spostassero a quote più basse dove c’è cibo in abbondanza. Forse gli animali se ne stanno rintananti, forse si devono organizzare per affrontare le rigide temperature dell’inverno, fatto sta che, che a differenza del solito, sembra che in montagna ci stiamo solo noi. Non un rumore, non un verso, solo la voce del vento che si rinforza tra i rami. Neanche noi abbiamo da parlare, c’è la montagna che parla per noi: è uno spettacolo già visto, ma non stanca mai. Sempre diverso, sempre coinvolgente, sempre magico.
E’ fatica, il nostro cammino. La neve rallenta i nostri passi. La marcia è diversa in queste condizioni, ma le ciaspole diventano protagoniste del nostro andare: non si sprofonda e galleggiamo sulla neve. Dopo tanti anni passati a “sprofondare” fino anche all’inguine, ci siamo convertiti alle ciaspole e pensiamo che siano il mezzo ideale per fare escursionismo invernale sulle nostre montagne.
La cronaca.
E’ Domenica 14 Dicembre. Il Natale è alle porte, ma prima di darci dentro tra pranzi e cene, panettoni e cartellate, pettole e torrone, decidiamo di fare un salto in montagna dove, ci dicono gli amici del posto, c’è tanta neve e l’occasione diventa veramente ghiotta per vedere la montagna trasformata. Decidiamo di effettuare una escursione classica: - “Colle dell’Impiso” ► “Patriarca”, passando per il “Gaudolino” e il “Pollinello 2000”, il tutto in un allettante giro ad anello. Al colle c’è già neve, per cui sistemiamo subito le ciaspole e ci avviamo verso il Gaudolino. Lungo il sentiero, incrociamo il nostro amico e socio Gerardo che stava facendo “due Passi” con la moglie Camilla, tra i “Piani di Vaqquarro” e l’Impiso. I due, in breve, si uniscono a noi e decidono di allungare il loro percorso fino al nuovo capanno presente al Gaudolino. La marcia è allegra e in poco meno di un’ora sbuchiamo allo scoperto dove veniamo investiti da una bufera di neve. I fiocchi sono pesanti e pungenti e tagliano il viso; la neve ci arriva addosso muovendosi orizzontalmente. Ci difendiamo come possiamo con il cappello ed il cappuccio della giacca, poi è pace: siamo all’interno del capanno dove facciamo il punto della situazione. Alcuni decidono di fermarsi ed accendere il fuoco, altri con il sottoscritto decidono di proseguire per portare a termine il giro ad anello in programma. Attraversiamo facilmente il tratto pianeggiante di colle Gaudolino, il vento ci risparmia, le folate impetuose si sono placate e attacchiamo il sentiero a mezza costa che sale al Pollinello 2000. Il paesaggio è incantevole: solo neve ed alberi con stalattiti di ghiaccio che ci fanno immaginare di essere in Alaska. Nessuna traccia, nessun rumore, è tutto ovattato.
Le ciaspole ci sono di grande aiuto, ma sbucati fuori dalla vegetazione ci vuole molta prudenza e molta competenza per affrontare il traverso di uscita, che come sempre d’inverno diventa molto esposto. Arrivati a quota 2000, veniamo completamente avvolti da una nebbia impenetrabile; devo guidare il gruppo a naso, non un segno, non una indicazione, solo il bianco che ci avvolge. Poi d’improvviso, per un lungo minuto, il cielo appare di un azzurro intenso e profondo tanto da farci illudere e rimetto in moto il mio senso di orientamento: sto procedendo nella giusta direzione, siamo sulla giusta cresta.
Riesco a scattare delle foto verso l’alto, la vetta del Pollino brilla nel bianco, poi subito dopo è tutto nuovamente bianco, profondamente bianco. Facciamo una breve sosta nei pressi di un pino loricato, attorcigliato tra i suoi rami piegati dalla neve, mi guardo intorno e dopo dieci metri non vedo più i miei compagni. La nebbia è sempre più fitta, bianco su , bianco giù, bianco negli occhi.
Cosa fare? Decido, mio malgrado, di tornare: le tracce sono ancora ben visibili ed è inutile rischiare di sbagliare strada. La montagna sa aspettare e noi avremo tante nuove possibilità… in montagna bisogna saper valutare e rinunciare. La via del ritorno è veloce, la discesa ci restituisce energia, sappiamo che giù c’è qualcuno che ci aspetta. Il fuoco nel rifugio è colore e calore: le fiamme veloci disegnano figure inquiete, che però spariscono subito lasciando posto alle immagini che abbiamo dentro e a quello che abbiamo da raccontare. Si scioglie ogni tensione e un buon bicchiere di the caldo rende magica l’atmosfera. Sembra che non faccia più freddo, le sensazioni si rincorrono. Esco fuori a spiare, la montagna per oggi vuole nascondersi, avvolta com’è in una tenaglia di nuvole sempre più basse. Controlliamo l’ultimo fuoco, sistemiamo tutto all’interno del capanno per quelli che verranno dopo di noi e raggiungiamo facilmente le auto. L’inverno in montagna è arrivato, basta ora organizzare delle domeniche per vedere le novità che saprà portare.
Attraversando gli Alburni
“Da Postiglione a Controne”
6 aprile 2008
di Franco Palazzo
E’ stato un bell’incontro. Quasi un gemellaggio.
Gli Alburni hanno unito, per un giorno ma speriamo per altri ancora, il CAI di Salerno e il Geotrek di Castellana Grotte.
L’escursione Geo, organizzata dal sottoscritto, “ da Postiglione a Controne lungo le alte vie” si è potuta concretizzare e realizzare grazie alla presenza e all’aiuto di un profondo conoscitore di questa splendida zona, l’amico Enzo Apicella del CAI di Salerno, (pur sempre “protetti” dall’alto …dal satellite che dialogava con il nostro Michele Custodero).
Eravamo, pertanto, tutti in buoni piedi!
La piazza di Postiglione ha visto sfilare, la mattina, una ventina di tipi strani: escursionisti. Vedendoci attrezzati di tutto zaino, i paesani ci hanno chiesto:
“Dove andate”?
E noi di rimando: “A Controne”.
“E perché andate verso là? Per Controne si scienne…non se va ncopp”!
“Sì,sì…ma per di qua è più bello: c’è il monte Pizzuto, il varco Fago D’Acqua, i Pozzi di Cardone, la Grotta di S.Elia. I panorami, le vette imbiancate della Nuda, del monte Urto e del più alto Panormo”!
Il cammino, la salita, la fatica, i panorami, le foto, … tutto superbo. Poi, la sosta colazione nel suggestivo pianoro dei pozzi di Cardone. Il pasto frugale è un vivace scambio di prodotti pugliesi e campani: focacce, frittate, vini, dolci…
E dolce è la discesa verso Controne, fino a quando, improvvisamente, il bosco precipita per ripidi canali e non resta che abbracciarsi appassionatamente agli alberi!
Un saluto doveroso a S.Elia, protettore degli Alburni, ben sistemato nella sua grotta a circa 600 m
E poi ancora 400 m per il paese dei fagioli.
Ed eccoci sfilare a Controne sotto gli sguardi incuriositi dei paesani. Il pulmino, gentilmente offerto dal comune, è pronto a riportarci, dopo circa sette ore, a Postiglione. Non siamo ancora tutti, manca qualcuno e così nell’attesa ne approfittiamo per goderci le sedie dei bar che si affacciano sulla piazzetta: uno spazio d’altri tempi, modi e mode d’altri tempi, tutto più lento e gentile.
Le ultime chiacchiere nel pulmino stracarico, gli zaini sulle ginocchia; qualcuno chiude gli occhi, qualcuna si appisola e il capo trova la spalla del vicino molto comoda…
I due gruppi si dividono, qualche altra montagna li unirà!
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… è una felice sintesi dell’esperienza vissuta sulle Alpi ( agosto 2007).
di Franco Palazzo
Si mette il naso fuori dal rifugio , si scruta il cielo, si percepisce l’aria che tira… Intanto la guida ci ha già legati e tra pochi secondi si parte, il passo sarà costante, poche fermate, la meta è lontana .
In alta montagna si cammina sul bianco della neve eterna. Tra i crepacci, sotto i seracchi, quasi sempre sui ghiacciai, un mondo di acqua “trasformata” dal freddo, dal vento, dal sole.
I rifugi caldi ti aspettano, aiutano a camminare più serenamente.
La prima escursione sul Gran Paradiso (4061 m.) con partenza dal rifugio Vittorio Emanuele(2735 m.), è stata semplice fino a quando i ramponi hanno affondato nella neve, l’ultimissimo tratto su roccia è stato un po’ ardito; ma la Madonnina ci aspettava per la… fotografia.
Lasciati zaini e piccozze, più leggeri e a mani più libere, arrampichiamo, graffiamo la roccia coi ramponi, l’abbracciamo. Stefano, la guida, va avanti e ci assicura; ma quel passaggio verso la Madonnina dilata e restringe i nostri polmoni.
L’aria sottile dei 4000 non ci ha creato alcun problema, pochi minuti e si riparte per la discesa (oltre 2000 m dislivello) in direzione del rifugio Chabot, tra crepacci impressionanti, seracchi enormi, rocce e poi finalmente sentieri verdi e dolci .
La serata è splendida a Courmayer: cena, passeggiata e visita alla libreria del corso, ricca di riviste di montagna.
Tra due giorni ci aspetta il Mar de Glace, escursione sul ghiacciaio del Monte Bianco.
Ci riposiamo un giorno visitando due splendide vallate: Val Veni e Val Ferret. Pranziamo, a torso nudo sui tavolacci esterni, a 2195 m., del Rifugio Elisabetta loc. Lex Blanche.
Seconda escursione, Mar de
Glace.
La cabinovia ci ha portato a quota 3800, il panorama è mozzafiato, quei puntini sulla roccia dell’Aguille du Midi sono rocciatori, la guida ci lega, la signora attempata, compagna occasionale di cordata (“ho dato la mia vita alla montagna”), dopo la discesa sulla crestina , si toglie i ramponi e arranca lungo il cammino, spesso la tiriamo faticosamente.
Molte le tende degli alpinisti.
E’ stata una splendida passeggiata intorno ai 3800 m.; con il Gran Paradiso utile allenamento e acclimatamento . Il tour ambizioso del Monte Rosa ci aspetta.
Intanto , in quei giorni , si svolge con partenza da Courmayer , la mitica corsa “The North Face ultra-trail”, il giro del MonteBianco di 163 km, 8900 m.dislivello, toccando Francia e Svizzera. Roba da ragazzi! Difatti ha vinto, su migliaia di concorrenti, un ragazzo di 59 anni, in poco più di 17 ore!
Ora tocca a noi…
Tour del Monte Rosa.
Ora siamo in quattro.
La guida ci osserva, ci scruta, pensa all’impegno che dovremo affrontare, noi sappiamo che non sarà una passeggiata, ma non sappiamo tutto.
L’avvicinamento al sentiero per il rifugio delle guide d’Ayas è in jeep. Alla prima salita il fuoristrada si scrolla di dosso i nostri zaini, il portellone non era stato ben chiuso o forse erano troppo pesanti…
Mettiamo gli zaini in spalla, sono pesanti!
Il primo tratto costeggia un ghiacciaio che nell’ultimo secolo si è ritirato enormemente, ogni tanto dei boati, la montagna è viva, si muove: ora scarica neve, ora sassi.
Gli escursionisti sono pochi, meglio così, si apprezza di più la natura. Dopo qualche ora arriviamo al rifugio delle Guide d’Ayas a 3.420 m di quota; non abbiamo preso pioggia ma neanche sole, speriamo che domani si apra la “finestra”.
La cuoca è eccezionale, è romana de’ Roma, qui staremo due notti, l’appetito non manca.
Tentiamo la mattina verso le 9. Dalla valle risalgono nuvoloni neri. La guida prevede quindici minuti di escursione poi la pioggia. Un fulmine vicino ci fa rientrare velocemente. Sono trascorsi quattordici minuti!
La giornata trascorre serenamente al caldo del rifugio, poi improvvisamente Nino “precipita” in un crepaccio; Stefano ci fa la lezione sul recupero, i nodi e le manovre sono tanti e complessi, Nino per piacere non cascare più!
Anche gli amici francesi sono impegnati teoricamente con le proprie guide. Corde sospese dal soffitto, moschettoni, nodi sempre più difficili. Che confusione! Riusciremo domani ad allacciarci i nostri scarponi?
Siamo pronti all’alba , finalmente il tempo lo permette, il primo 4000 ci aspetta, è il Castore.
La temperatura non è rigida. Camminando ci si scalda rapidamente .
Siamo i primi, tracciamo il sentiero sulla neve caduta nella notte. Le cordate successive seguiranno le nostre orme. Il versante ovest del Castore è di fronte a noi. Si sale, si sale; ma qui si sale veramente, gli ultimi 20 metri sono solo per le punte dei ramponi! Poi la sorpresa! Arrivati su quello che a noi sembra il punto finale dell’ascesa non troviamo un bel piano come ci aspettiamo, ma una lunga ed affilata cresta; in equilibrio precario calpestiamo la neve e ricaviamo poco meno di mezzo metro! La corda che ci lega ci dà sicurezza ma anche difficoltà di movimento. La vetta è poco distante, ma sembra lontanissima osservando quella cresta affilatissima che il vento ha lavorato la notte. Stefano, davanti al gruppo, con la piccozza spiana quell’unico centimetro che si allarga di soli altri 39 centimetri! Se il compagno davanti scivola bisogna essere pronti a buttarsi dall’altra parte, questo in teoria, no non bisogna cadere, concentrazione.
Raggiunti i 4228 m. si prosegue, sempre su cresta, su panorami mozzafiato. La crestina poi smerletta, il cammino prosegue lateralmente, la piccozza è saldamente impugnata. Un po’ di riposo e si scende. La corda è tesa, i crepacci che si vedono intimoriscono, quelli che non si vedono sono pericolosi.
Rispettiamo i tempi di percorrenza, nel primo pomeriggio raggiungiamo il rifugio “Quintino Sella” (3.585 m.)
Ci cambiamo, appendiamo gli indumenti umidi sulla stufa, mangiamo un piatto caldo. Minestrone e omelette per tutti!
Il sole è ancora alto. C’è tempo per scattare foto. Poi un giro intorno al rifugio, il piazzale è sfaldato, un lato della montagna è pericolante, l’azione del sole, del freddo , dell’acqua …si cammina traballando!
Seduti comodamente e non lontani dalla stufa si parla, si progetta. Fuori nevica.
Presto è l’ora della cena, poi ancora piacevoli chiacchierate.
La meta di domani è molto lontana e impegnativa.
E’ mattina, sono le sei, siamo pronti ad affrontare la lunga giornata, destinazione Capanna Margherita.
Usciamo con la prima luce dell’alba. All’orizzonte il massiccio del Monte Bianco.
Le previsioni meteo sono favorevoli, indispensabile una buona giornata per questo lungo e impegnativo cammino.
Cattedrali di ghiaccio ci sovrastano, segni di piccole valanghe notturne ci tagliano la strada, dovesse staccarsi proprio al nostro passaggio quel seracco…!!
Dopo un paio d’ore siamo sotto la Silberbast, ovvero, la sella del Liskamm. Siamo sotto, per poter vedere la cresta il capo si appoggia alle spalle e la bocca rimane aperta, un po’ stupita!
Il primo tratto ripido lo affrontiamo con larghe curve. Si punta lo scarpone a valle per maggiore presa, è bene piantare tutti i dodici canini dei ramponi . L’ultimo tratto si impenna, la guida con scatto felino e saltellando sulle sole punte anteriori dei ramponi si porta sopra di noi per una trentina di metri e pianta un chiodo da ghiaccio. Ora tocca a noi, la pendenza sfiora i 60 gradi, dietro di noi il vuoto. Piccozza decisa nel ghiaccio e movimento successivo delle punte che calciano dritte nella pancia della montagna.
C’è stanchezza e freddo, ma l’eccitazione di aver superato quel passaggio ci dà forza, pur legati camminiamo ordinatamente fino al colle.
La Capanna Margherita è ancora lontana, lungo il cammino la scenografia si fa sempre più grandiosa, poi sulla sinistra si scorge imponente il Cervino. Siamo ormai vicini; ma il rifugio Capanna Margherita vuole un ultimo impegnativo strappo, la punta Gnifetti è a 4.559 m!
E’ la meta ambita, il rifugio più alto d’Europa.
L’aria è più sottile; ma stiamo tutti bene. Fortunatamente la cena è abbondante.
Ci godiamo questo momento, domani affronteremo altre cime, ma siamo già appagati.
“restiamo estatici dinanzi allo splendore delle scene che si dispiegano
ai nostri sguardi…; ma ciò che valutiamo a un grado ben più alto è lo
svilupparsi della nostra virilità e il riaffermarsi nella lotta contro gli ostacoli
di quelle nobili qualità della nostra natura che hanno nome: coraggio,
pazienza, costanza e forza d’animo….Quand’anche potessi cancellare dalla mia
mente ogni ricordo, dirò ancora che le mie scalate nelle Alpi mi hanno ripagato
delle pene, poiché esse mi hanno dato due cose che son tra le migliori che
l’uomo possa possedere quaggiù: la salute e l’amicizia”. Da “Scalate nelle Alpi” di Edward Whimper.
IN CIMA ALLA VETTA DEGLI ALBURNI.
IL MONTE PANORMO
di Michele Tricase
Lo chiamano Panormo per le ampie vedute che offre
dalle sue pendici e, in effetti, lo spettacolo ed il paesaggio che si godono
dai suoi 1742m è semplicemente impagabile: verso “l’interno” distese immense di
chiome brune che nascondono un immenso mondo sotterraneo, verso “l’esterno”:
paesini abbarbicati alle montagne, lontane catene montuose, creste lunghe ed
affilate, pareti strapiombanti, e pianure e mari scintillanti. Il Panormo offre
tutto questo a chi ha la buona volontà di salire sulle sue sassose pendici: un
panorama a 360° veramente unico. Panormo deriva Da Panormus e secondo una voce popolare locale da
questa cima, nei giorni col cielo particolarmente terso, pare sia possibile
vedere addirittura la lontana Palermo.
Morfologicamente, gli Alburni sono un gruppo montuoso straordinario: si tratta
sostanzialmente di un altopiano calcareo con quota variabile da 1100 a 1700m…
un altopiano che nasconde al suo interno più di 200 cavità naturali accatastate,
alcune delle quali sono famose anche dal punto di vista turistico: grotte di
Pertosa e grotte di Castelcivita. Insomma
un mondo carsico spettacolare, che
rappresenta un vero paradiso per l’esplorazione degli appassionati di
speleologia. Anche chi scrive si è avvicinato agli Alburni prima come
speleologo, poi come escursionista. Come camminatore, però, ho avuto modo di
approfondire le conoscenze relative a questo gruppo montuoso, grazie all’arrivo
nel Geo Trek, dell’amico e socio Franco Palazzo. Franco è, in un certo senso,
“di queste parti”, infatti, l’altra parte della sua famiglia è del salernitano
e lui ha avuto modo, sicuramente, di frequentare la zona più di noi,
soprattutto negli ultimi anni. Il resto l’ha fatto la sua casa di famiglia
presente a Postiglione, che è diventata spesso base di appoggio per le
scorribande del Geo su queste affascinanti montagne. C’è da aggiungere anche,
in ultima analisi, che Franco ha potuto contare spesso sulla valida
collaborazione di alcuni amici del posto e i risultati esplorativi non sono
venuti a mancare: in parole semplici, gli Alburni sono diventati luogo abituale
delle nostre camminate.
Bene. Siamo tornati in cima alla vetta
degli Alburni Domenica 19 Ottobre 2008, proprio quando a Sicignano si svolgeva
l’annuale sagra della castagna, un appuntamento che sta diventando sempre più
interessante, soprattutto per chi vuole addentrarsi nell’universo delle antiche
tradizioni e delle arti culinarie del nostro Sud. Abbiamo avuto la fortuna di
avere dalla nostra un tempo veramente eccezionale con un sole che per l’intera
giornata ha illuminato i nostri passi e poi caldissime chiome di maestosi
alberi, castagni alle quote più basse e faggi alle quote più alte, che hanno
fatto da cornice a scenari sempre diversi, sempre pieni di fascino. Il resto
l’ha fatto un gruppo di agguerriti escursionisti che hanno raggiunto la vetta
in poco più di due ore. Abbiamo avuto anche la fortuna e l’onore di avere
accanto a noi uno dei massimi esperti e profondo conoscitore degli Alburni: Vincenzo
Apicella, socio del CAI di Salerno, con il quale e grazie al quale il Geo ha effettuato
già la bellissima traversata integrale dell’Acellica. C’era anche l’amico
Michele Falce che, quando siamo dalle sue parti, non perde occasione per
lasciare i suoi innumerevoli impegni di lavoro e concedersi un sacrosanto
giorno dedicato alla montagna. Tutto è
cominciato Sabato pomeriggio 18 Ottobre con il nostro arrivo a Postiglione e
l’immancabile cena presso l’ottimo ristorante/pizzeria “FAUNUS” dell’amico Gerardo: un posto semplicemente unico dove poter
assaporare i sapori genuini di questa antica terra d’Italia, che sa conservare
intatti fascino ed accoglienza. Il mattino dopo, breve spostamento in auto per
raggiungere Sicignano, e per il sentiero che parte dal campo sportivo su per la
vetta. A dire il vero, questi monti li frequentiamo da tanti e tanti anni, ma
il sentiero che parte da Sicignano l’abbiamo erroneamente ignorato per diverso
tempo. La mattina del 19 Ottobre abbiamo potuto verificare e constatare di
persona, che questa via è molto bella e presenta dei tratti altamente
spettacolari. Il percorso segue una tratta del Sentiero Italia e risale in
direzione Sud i pendii scoscesi del gruppo montuoso. Durante la prima parte il
sentiero, è stato sistemato ultimamente dalla comunità montana, attraversa dei
castagneti, poi superato un breve tratto su strada sterrata, segue l’antica
mulattiera che collegava Sicignano a Castelcivita. Il sentiero si snoda
deliziosamente lungo il pendio con una progressione molto costante, fa da
contorno una magnifica faggeta, attraverso la quale riusciamo a spiare le
enormi pareti rocciose che, sempre più vicine, incombono sulle nostre teste.
Superiamo agevolmente, la maestosa fascia rocciosa che cinge tutto il massiccio
e sbuchiamo in prossimità del Vuccolo dell’Arena: la segnaletica assai puntuale
facilita il nostro cammino e continuiamo, seguendo le indicazioni, con passo
allegro per il monte Panormo. Procediamo ora lungo un tratto più riposante
circondati da quella che possiamo definire la vera caratteristica degli
Alburni: grandiose doline ad imbuto abbellite da grandi blocchi di roccia
calcarea ricoperta da muschio lussureggiante e tetri inghiottitoi dove le rocce
affioranti sono state modellate, in milioni da anni, in profonde fessure che
precipitano verso il fondo, dove spesso lo sguardo si perde. In questi profondi
luoghi, terra di esplorazione per gli speleologi, spesso la neve riesce a
sopravvivere anche per tutta l’estate e va ad unirsi ai nuovi fiocchi. In breve
usciamo dal bosco e impegniamo il tratto di cresta sommitale che porta verso la
vetta. Lungo questa panoramica cresta ammiriamo il vasto paesaggio tipico degli
Alburni: all’interno il grandioso altopiano, più lontani il golfo di Salerno,
il Vallo di Diano ed i monti del Cilento. In vetta sostiamo a lungo a goderci
il sole di Ottobre che regala raggi di un caldo assai delicato: ne
approfittiamo per scattare delle foto, per sgranocchiare qualcosa e per
scambiare qualche chiacchiera con Vincenzo Apicella, che ci disegna la montagna
e ci parla delle sue innumerevoli escursioni esplorative: le sue dita ed i suoi
occhi indicano i contorni del massiccio, tracciano linee precise e ci sentiamo
già immersi nel cuore della montagna. Ci descrive anche il trekking di due
giorni che attraversa interamente il massiccio e che cercheremo di effettuare
in sua compagnia durante il 2009. Ci invita, poi, a sostare qualche minuto in
più per poter aspettare l’arrivo in vetta di alcuni suoi amici che si sono
mossi in mattinata dal vicino rifugio Panormo; dopo un po’, ecco sbucare, lungo
la cresta opposta a quella da noi impegnata, quattro escursionisti: incontriamo
i loro sguardi e capiamo che si tratta di veri appassionati della montagna e le
mani si stringono in un sincero saluto. Lungo la via del ritorno, entra in
scena il nostro amico Michele Falce che ci propone di “dare un’occhiata” e
scendere in una grandiosa e spettacolare dolina che in realtà è un vero
inghiottitoio a cielo aperto, dove a suo dire avremmo trovato la neve
accumulatasi durante lo scorso inverno. Superiamo con attenzione dei tratti in
arrampicata, le foglie umide non aiutano di certo, e raggiungiamo il fondo a
meno 30 m dove con grande stupore notiamo un grande ammasso di neve dura: - Che
spettacolo! Per queste singolari caratteristiche gli Alburni sanno essere
straordinariamente unici. Il resto è storia consueta e comune (o quasi) a tutte
le escursioni: scendiamo agevolmente lungo il sentiero percorso all’andata,
raggiungiamo le auto e in breve siamo pronti al lungo ritorno a casa… sarebbe
bello avere certe montagne più vicine ma purtroppo ci tocca fare, per raggiungerle,
circa 300 km., ma chi ci conosce sa che non ci dispiace. Il grosso del gruppo
va via, la famiglia aspetta, ma c’è chi come il sottoscritto, Massimo e Floranna
si concedono una lieta pausa presso la casa di Michele Falce, dove a quanto
pare non manca mai un buon bicchiere di vino rosso. Il week-end ora è
assolutamente completo: non manca nulla… solo il ritorno su queste splendide
montagne.
Omaggio al cielo
3 Febbraio 2008
sulla
vetta del Dolcedorme
di Michele Tricase
Classe 1930.
Settantasette Lune. Settantasette Primavere.
Settantasette Estati.
Settantotto nel prossimo Autunno.
Tanto di tutto: forza, determinazione,
coraggio, voglia di provarci ancora.
Settantasette volte esempio per tutti noi;
per tutti quelli che si lamentano per i motivi più futili, per tutti quelli che
rinunciano prima del tempo.
Di tempo, per questo amico escursionista, ne
è passato tanto, ma gli anni non sono riusciti a scalfire la sua tempra e la
sua tenacia. Il suo fisico si presenta gracile, allungato su gambe sottili, ma
muscoli ancora ben rodati lo riescono a proiettare in alto, tanto da raggiungere
e toccare il cielo.
Si chiama Francesco Patronelli, questo ragazzo
di settantasette anni. Si può essere ancora e sempre ragazzi, anche a
settantasette anni, quando nel cuore brilla la vita. Francesco vive e sa vivere
e, cosa più importante, insegna come vivere a noi che gli siamo amici. Sono
stato incredibilmente fortunato ad incontrarlo e conoscerlo una decina di anni
fa.
Eravamo nel negozio Sportextreme degli amici Gori e Lino, quando
mi fu presentato questo bel tipo che voleva avvicinarsi all’attività
escursionistica. Gori e Lino gli avevano parlato di me e del Geotrek e subito
si organizzò per partecipare alla prima iniziativa in programma. La Domenica
successiva era con noi a cimentarsi con
le acque del Raganello, percorrendo le Gole di Barile. Si muoveva bene e sembrava
già un esperto, mai avrei pensato di avere accanto un quasi settantenne. A fine
escursione mi disse la prima frase che conservo gelosamente da circa dieci
anni: “E’ un vero peccato, avervi conosciuto solo adesso”! Poi ricordo che una
Domenica pedalammo insieme da Castellana verso Martina e poi per la Valle
d’Itria: era un vero esperto del pedalare e faticai non poco per stargli a
ruota. Sotto Martina mi guardò e con aria soddisfatta esclamò: “Complimenti,
sei riuscito a starmi dietro! Non è facile, sai”? Lo guardai senza
rispondergli, avevo bisogno di respirare, di recuperare, ma provavo semplice
ammirazione per quel gesto atletico fluido e dinamico, che avevo visto stando a
pedalargli dietro. Poi fu la volta della risalita in invernale del canalone
Nord di Montea con tanto di ramponi e
piccozza e ricordo che Francesco si lamentò un po’, perché giunse in vetta solo
quarto, lasciandosi dietro una decina di giovani escursionisti e sulla vetta,
in un mare di nuvole che viaggiavano al ritmo del vento, con una invisibile
smorfia sentenziò: “Oggi non ero in forma; non è da me non essere nei primi
tre”. Come si può ben intuire, non è mai stato uno che si è accontentato
soltanto di esserci, ma ha voluto anche e soprattutto star davanti e guardare
gli altri stando in alto. Nell’estate del 2001 siamo stati insieme sul
Kilimanjaro e gli indigeni, vedendolo, lo chiamarono fin dal primo giorno “Babu”, che in lingua Swahili significa
nonno. Quello sul Kibo fu un trekking lungo ed impegnativo, per arrivare in
vetta, a quota 5895m, seguimmo la Via Machame e dopo cinque lunghi ma
straordinari giorni, giungemmo in cima.
Francesco “si fermò” sull’orlo del cratere a
5700m e più precisamente, presso Stella Point; ce la mise tutta per fare
l’ascesa degli ultimi 150 metri, ma i suoi settant’ anni, ebbero ragione della
sua tenacia. Domenica scorsa 3 Febbraio, è tornato con noi in montagna, dopo
una lunga assenza, per cimentarsi con la vetta più alta del Parco del Pollino:
“Serra Dolcedorme”. Avevamo scelto una via invernale piuttosto impegnativa e
quando ha visto di cosa si trattava, ha esclamato:” Ma dobbiamo andare proprio
lassù?! Sembra impossibile”! Il nostro progetto prevedeva di risalire in auto
fino alla “masseria Francomanno” (Civita) e dopo circa un Km lasciare l’auto a
quota 1100m, in prossimità del fosso del Vascello, raggiungere la sorgente del
Vascello, proseguire per Piano di Fossa e di lì “attaccare” la Direttissima per
il Dolcedorme. I passi lungo il sentiero hanno subito preso il posto delle
parole e tranquillamente abbiamo raggiunto la sorgente del Vascello, dove abbiamo
incontrato la prima neve. Il manto bianco si presentava abbastanza duro e
compatto e l’avvicinamento alla via non è stato particolarmente faticoso. Dal
Piano di Fossa abbiamo individuato un canalino ripido e diretto che in breve ci
ha portato allo scoperto oltre la faggeta.
A quel punto abbiamo tutti calzato i ramponi,
perché davanti a noi si alzava netto un tratto di circa settanta metri con una
pendenza che superava i 45°.
L’attenzione e la concentrazione erano al massimo
ed era altamente consigliato non perdere aderenza ed equilibrio: vietato
sbagliare. Francesco ha dato fondo a tutta la sua esperienza e n’è uscito molto
bene. Poi è cominciato l’ultimo spettacolare ma lungo tratto nevoso finale che
ci ha condotti in cima: uno spettacolo senza fine.
La temperatura molto mite ci ha consentito di
fare una lunga sosta, durante la quale abbiamo potuto aspettare gli ultimi
passi di Francesco che stanco, ma soddisfatto ha raggiunto insieme a noi la
vetta del Dolcedorme.
Da
quel momento mi sono dedicato a lui e solo a lui, dandogli anche gli opportuni
consigli per vivere una rilassante discesa verso il Piano di Acquafredda.
In sintesi un bel week-end vissuto con un bel
gruppo di amici-escursionisti.
Ad maiora, Francesco!