La Repubblica

SABATO, 27 SETTEMBRE 2003

 

 

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LA POLEMICA

 

Il pluralismo immaginario della legge Gasparri

 

 

 

 

ANDREA MANZELLA


Una legge sull´«assetto del sistema radiotelevisivo nazionale, regionale e locale» non è mai una legge ordinaria. È dappertutto intesa come legge di rilievo costituzionale. Primo, perché riguarda «la libertà di ogni individuo di ricevere e di comunicare informazioni o idee» (è la formula dell´art. 11 della Carta europea dei diritti fondamentali). E anche il diritto ad un´informazione trasparente (l´art. 21 della nostra Costituzione aggiunge: «La legge può stabilire che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica»). Secondo, perché organizza lo spazio pubblico della comunicazione politica (e quindi dalla sua correttezza dipendono la stessa «verità» delle campagne elettorali e la tutela della libera concorrenza tra partiti, di cui ancora parla la Costituzione all´art. 49). Terzo, perché come continua la Carta di Nizza, deve rispettare il «pluralismo dei media» (cioè: non solo il pluralismo politico dei messaggi, ma anche il pluralismo dei mezzi con cui i messaggi sono diffusi. E per evitare il lugubre assorbimento tra mezzo e messaggio, si devono far convivere i cento fiori della comunicazione: dal ciclostile ad Internet alla televisione satellitare).

Questo dunque è il normale sentire europeo (basti pensare, come esempio da manuale, alla lunga preparazione, al comune operare di maggioranza e opposizione, alla larga consultazione nel paese che hanno preceduto in Gran Bretagna il freschissimo Comunication act del 17 luglio scorso). Né meraviglia che si susseguano in questo campo - l´ultima è del 25 luglio scorso quando il nostro progetto governativo era già blindato - le direttive della Comunità europea. Costituzione europea significa anche infatti indivisibilità dei concetti base delle libertà cittadine in ogni angolo dell´Unione. La negazione in un solo Stato e in un solo punto e per un solo diritto, tocca la coscienza giuridica dell´Europa tutta intera.
Se questo è il clima comunitario sulla libertà di informazione, è del tutto naturale che questo clima sia esasperato in Italia. Dove la grande svolta istituzionale, avutasi con il maggioritario, si porta fin dalla nascita l´ombra fonda della coincidenza tra potere politico e potere proprietario dell´invasivo mezzo televisivo. E dove l´aggiunta del controllo governativo sulla televisione pubblica crea un monopolio di fatto. Quello che anche nel Parlamento europeo risuona come incompatibile con le normali condizioni democratiche dell´Occidente.
Tuttavia, questa esasperazione di clima può essere dannosa. Una legge come questa dev´essere infatti obbligatoriamente valutata nell´arco delle riforme costituzionali: come pezzo indispensabile di garanzia nel puzzle degli equilibri da ritrovare. Essa, dunque, dev´essere tenuta fuori per quanto possibile dalle polemiche contingenti e giudicata nel suo impatto di lungo periodo con il complessivo sistema politico e dell´informazione. Hanno ragione dunque i vescovi italiani quando dicono che questo «non dovrebbe in alcun caso essere ridotto a terreno di scontro ma indirizzare invece i progressi tecnologici al miglioramento dei programmi e all´incremento del pluralismo».
Senonché, giunto ad un punto che sembra di non ritorno, preso purtroppo in ostaggio nella rissa continua della maggioranza, un progetto così importante e nato con buone intenzioni, è finito per trovarsi incagliato in passaggi istituzionali che non pare essere riuscito a superare. Per insolito destino, vi è per esso come una inversione dell´onere della prova. Esso non deve tanto difendersi da opinioni contrarie di costituzionalisti più o meno all´opposizione, come normalmente accade per i disegni governativi. Il progetto deve invece provare di essere in regola rispetto a parametri ad esso precostituiti o a pronunciamenti che provengono da autorità che con l´opposizione non hanno nulla a che fare. Sembra così pesare su di esso un automatismo negativo che ha l´oggettività dei fatti e non la volatilità delle interpretazioni. Di questi fatti ce ne sono almeno tre, più uno.
Primo fatto: il vincolo della Corte Costituzionale. Ha detto la Corte: la situazione di fatto non garantisce l´attuazione del pluralismo informativo.
Perciò entro il 31 dicembre 2003 – data «definitiva, certa e non prorogabile» – o si introduce la nuova televisione digitale (che consente più canali) o l´attuale duopolio sarà drasticamente ridotto. Per la legge, invece, la data diviene non più certa né definitiva e viene prorogata con un nuovo periodo transitorio. In cambio la legge promette in questo periodo l´inizio di una sperimentazione del sistema digitale. Questo significherà, nella migliore delle ipotesi (documento Rai) una copertura digitale pari al 50 per cento del paese. Nello stesso documento la Rai chiede, però, investimenti per i contenuti dei nuovi canali, l´aumento straordinario del canone, e incentivi per la diffusione degli speciali decoder. Mancano tre mesi, il rimedio, ingegnoso, appare potenziale. Significa che i programmi «agevolmente accessibili ad una larga fascia di utenti» sono ancora una chimera. Un pluralismo immaginario non sembra in grado di sanare il deficit attuale di pluralismo.
Secondo fatto: il no delle autorità garanti delle comunicazioni e della libera concorrenza. Ha detto Enzo Cheli: in Europa per capire come si debbano valutare i limiti della quota di pubblicità da attribuire alle televisioni, per evitare le posizioni dominanti, si fa riferimento al cosiddetto «mercato rilevante». Che è quello dei «servizi di diffusione radiotelevisiva per la trasmissione di contenuti agli utenti finali». Per la legge, invece, il «mercato rilevante» non è solo quello del settore televisivo e neppure quello della «comunicazione elettronica». Esso comprende, invece: «Le imprese radiotelevisive e quelle di produzione e distribuzione, qualunque ne sia la forma tecnica di contenuti per programmi televisivo-radiofonici; le imprese dell´editoria quotidiana, periodica, libraria, elettronica anche per il tramite di Internet; le imprese di produzione e distribuzione, anche al pubblico finale, delle opere cinematografiche; le imprese fonografiche; le imprese di pubblicità, quali che siano il mezzo e le modalità di diffusione» .
Ha detto di tutto questo Giuseppe Tesauro: «estraneo al diritto della concorrenza. un insieme di settori troppo eterogenei e non può costituire un parametro antitrust per un´impresa». Non sono state valutazioni discrezionali di giuristi illustri: ma atti dovuti di autorità indipendenti, giudizi emessi in base a criteri europei, precisati in direttive comunitarie: che hanno ora valore costituzionale nel nostro ordinamento.
Terzo fatto: il giudizio degli editori di giornali. Rientra di diritto fra i fatti istituzionali perché non è una corporazione a protestare ma un soggetto essenziale di quel pluralismo dei media, così presente nelle garanzie dell´Unione europea. Ma costante anche nella storia del nostro ordinamento dell´informazione che ha sempre legato un braccio (almeno) al gigante televisivo con la sua «abnorme capacità di raccolta pubblicitaria». E con le sue imponenti risorse che, tra qualche anno, in base alla legge, potranno essere libere di comprare la proprietà di giornali...
Il terzo fatto più uno è il messaggio del presidente della Repubblica del 23 luglio 2002. Chiedeva una legge di sistema e l´ha avuta. Ma conteneva anche una serie di punti di riferimento: specialmente fissati sulla giurisprudenza della Corte Costituzionale e sull´attuazione delle direttive comunitarie. Esso concludeva con la chiara affermazione: «Non c´è democrazia senza pluralismo e imparzialità dell´informazione». Finito il gran frastuono, sarà questo il parametro finale riassuntivo, come lo fu al principio. In quella che gli americani usano chiamare «la solitudine del presidente» .
Ecco allora che quando si sente circolare, anonimamente ma significativamente, la frase «votazione di fiducia mascherata» ci si chiede se veramente di tutto quello che era necessario si è tenuto conto per evitare l´impasto tra politica «politichese», o addirittura personale, e politica costituzionale.