CAMERA DEI DEPUTATI

 

COMMISSIONI RIUNITE VII (CULTURA) E IX (TRASPORTI)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL RIASSETTO DEL SISTEMA RADIOTELEVISIVO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AUDIZIONE DEL PROFESSOR GIUSEPPE TESAURO

 

PRESIDENTE DELL’AUTORITA’ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO

 

 

 

 

 

 

 

ROMA, 12 DICEMBRE 2002

 

 

 


Premessa

 

L’introduzione di una nuova normativa di riassetto del sistema radiotelevisivo nazionale rappresenta per l’Italia un passaggio essenziale e ineludibile per l’affermarsi di effettive condizioni concorrenziali nei mercati dei media e di quello televisivo in particolare, condizioni tali da garantire una miglior qualità e varietà del servizio radiotelevisivo, nonché idonee a meglio contribuire allo sviluppo del pluralismo interno ed esterno dell’informazione.

 

 

Il contesto economico del mercato italiano ed europeo

 

Il mercato televisivo nazionale è caratterizzato da un elevato grado di concentrazione, nonché dalla presenza di elevate barriere all’entrata, prevalentemente di carattere normativo ed istituzionale, tali da ostacolare l’ingresso ed impedire la crescita ai potenziali nuovi entranti.

 

Siffatta situazione ha determinato il costituirsi di un mercato fortemente concentrato, poco dinamico e caratterizzato da un basso grado di innovazione. Nel corso dell’ultimo decennio il contesto competitivo si è progressivamente deteriorato: il tasso di concentrazione, in termini di audience share dei primi due gruppi televisivi, pur partendo da livelli estremamente elevati (nel 1992, era pari all’89%), si è ulteriormente incrementato, raggiungendo, a fine 2001, il 90,2%, valore che non ha eguali in Europa (infatti, il tasso di concentrazione è pari al 66% in Germania, 65% in Gran Bretagna, 74% in Francia ed al 54% in Spagna). Tale struttura di mercato si riflette inevitabilmente anche sul mercato della raccolta pubblicitaria su mezzo televisivo, che presenta in Italia un tasso di concentrazione particolarmente elevato e pari al 96,8%. Ciò a fronte, in Europa, di valori meno elevati, pari all’88% della Germania, all’82% della Gran Bretagna, al 77% della Francia ed al 58% della Spagna.

 

Tale peculiarità del mercato radiotelevisivo nazionale e la correlata esigenza di assicurare un maggior grado di concorrenza, nonché il pluralismo dell’informazione, sono state di recente autorevolmente sottolineate dal Presidente della Repubblica, con il messaggio alle Camere del 23 luglio 2002, con cui si è evidenziato, tra l’altro, come “la garanzia del pluralismo e dell’imparzialità dell’informazione costituisce strumento essenziale per la realizzazione di una democrazia compiuta”. La Corte Costituzionale, nei suoi diversi interventi in materia, ha più volte posto in rilievo la necessità che il sistema radiotelevisivo sia improntato a tali principi. Nel 1988, con sentenza n. 826, la Corte ha sottolineato come “il pluralismo in sede nazionale non potrebbe in ogni caso considerarsi realizzato dal concorso tra un polo pubblico e un polo privato che sia rappresentato da un soggetto unico o che comunque detenga una posizione dominante nel settore privato”. In seguito, nel 1994, la Corte, con sentenza n. 420, ha ribadito che “il legislatore è vincolato ad impedire la formazione di posizioni dominanti nell'emittenza privata e favorire il pluralismo ("esterno") delle voci nel settore televisivo (così da garantire il diritto all'informazione e la libertà di manifestazione del pensiero); […]; nel senso che l'esistenza di un'emittenza pubblica non vale a bilanciare la posizione dominante di un soggetto nel settore privato”. Infine, in data 20 novembre 2002, la Corte, con sentenza n. 466, ha evidenziato come “rispetto a quella esaminata dalla sentenza n.420 del 1994, la situazione di ristrettezza delle frequenze disponibili per la televisione in ambito nazionale con tecnica analogica si è, pertanto, accentuata, con effetti ulteriormente negativi sul rispetto dei principi del pluralismo e della concorrenza e con aggravamento delle concentrazioni”.

 

 

Osservazioni in merito agli effetti concorrenziali sui punti rilevanti del disegno di legge

 

La necessità di assicurare condizioni di effettiva concorrenza nel settore delle comunicazioni ispira le recenti Direttive del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea. Le direttive prevedono, tra l’altro, che il legislatore nazionale introduca, entro il luglio 2003, una disciplina organica dell’intero settore delle comunicazioni, settore che ricomprende nel proprio ambito anche i mercati della trasmissione radiotelevisiva e di reti per la fornitura di contenuti radiotelevisivi agli utenti finali. Il progetto di riforma in esame non può non tener conto dei principi contenuti nelle citate direttive, in quanto afferisce alla stessa materia ed è caratterizzato dalle stesse finalità. 

 

La ridefinizione della disciplina del settore radiotelevisivo dovrebbe perseguire altresì l’obiettivo di adeguare il contesto normativo alla recente riforma del titolo V della parte seconda Costituzione, introdotta dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che attribuisce, ex art. 117, terzo comma, della Costituzione, alla legislazione concorrente la disciplina dell’ordinamento della comunicazione. Sotto questo profilo le norme del disegno di legge tese a salvaguardare gli obiettivi di tutela della concorrenza nel mercato radiotelevisivo e dei mezzi di comunicazione di massa, nonché del pluralismo del sistema radiotelevisivo, dovrebbero rappresentare principi generali dell’ordinamento statuale ai quali la legislazione regionale concorrente dovrà conformarsi.

 

Quanto alle singole previsioni contenute nel disegno di legge, l’Autorità intende richiamare l’attenzione sulle principali problematiche di tipo concorrenziale, quali le disposizioni in materia di assegnazione delle frequenze, la definizione dei mercati, la disciplina dell’assetto competitivo – sia nella cosiddetta fase transitoria sia in quella successiva –, le concentrazioni di tipo verticale e diagonale, nonché il servizio radiotelevisivo pubblico. Rispetto a tali questioni, infatti, il disegno di legge non sembra fornire risposte adeguate.

 

I meccanismi di assegnazione delle frequenze

 

In via preliminare, si osserva che le previsioni contenute nel disegno di legge in materia di assegnazione delle frequenze rischiano di creare delle discriminazioni tra imprese che operano nella trasmissione televisiva in ambito nazionale su frequenze terrestri o che comunque hanno ottenuto una concessione. L’atto di generale assentimento, in forza del quale anche i soggetti privi di titolo abilitativo sono autorizzati di diritto alla prosecuzione dell’esercizio dell’attività radiotelevisiva, determina, infatti, l’effetto di legittimare quelle società che finora hanno operato, occupando, in virtù di provvedimenti temporanei intervenuti ex post, risorse frequenziali. Ciò a scapito di quei soggetti che, pur in possesso del titolo concessorio all’esito di una procedura di selezione concorsuale, non sono stati tuttavia posti in grado di esercitare l’attività economica, non essendo stati immessi nell’uso delle frequenze. Il perpetuarsi di tale situazione rischia di compromettere la certezza del sistema delle regole, che governa i meccanismi di selezione competitiva e che guida le corrette dinamiche di mercato, cristallizzando la struttura duopolistica venutasi a creare in questi anni, come peraltro ha recentemente sottolineato la Corte Costituzionale con sentenza n. 466 del 2002.

 

Il meccanismo prefigurato nel disegno di legge non appare, inoltre, in sintonia con il sistema previsto dalle nuove direttive comunitarie in materia di comunicazioni elettroniche. Le citate direttive comunitarie impongono (estendendo anche al settore televisivo principi già stabiliti per il settore delle telecomunicazioni) rigorosi criteri di assegnazione e uso delle risorse frequenziali, prevedendo, in particolare, che la loro allocazione e assegnazione sia fondata su criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati.

 

In tal senso, da un punto di vista concorrenziale, l’Autorità ritiene più opportuno il ricorso a meccanismi  rispettosi dei suddetti principi e che consentano l’allocazione ottimale delle risorse frequenziali, creando le condizioni per l’entrata di nuovi e più efficienti operatori nel mercato nazionale della televisione in chiaro.

 

Il limite al cumulo dei programmi nella cosiddetta fase transitoria

 

Il limite del 20% alla titolarità di autorizzazioni per la diffusione di programmi televisivi o radiofonici sarà operativo a regime, con il definitivo abbandono delle trasmissioni in tecnica analogica terrestre. Ed infatti, benché l’articolo 22, comma 5, del disegno di legge preveda il medesimo limite anche durante la fase transitoria di attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze digitali, il successivo comma 6 consente una deroga a tale limite, prevedendo per le cosiddette reti eccedentarie la possibilità di proseguire l’esercizio della propria attività. La durata di tale periodo transitorio, essendo legata all’introduzione della tecnologia digitale terrestre, rischia di protrarsi per un periodo eccessivamente lungo.

 

In base  alla legge n. 66/2001 le trasmissioni televisive dei programmi e dei servizi multimediali su frequenze terrestri devono essere irradiate esclusivamente in tecnica digitale a partire dall’anno 2006. Al riguardo, occorre tuttavia osservare come in Italia – a differenza di Paesi quali il Regno Unito, la Spagna, la Svezia, la Finlandia e l’Olanda – non sia ancora operativo, se non in via sperimentale e in alcuni limitati ambiti geografici, alcun servizio di televisione digitale terrestre. Nonostante tali ritardi, l’Italia è, dopo la Norvegia, il Paese europeo che ha fissato la data più ravvicinata (il 2006) per il definitivo passaggio dalla tecnica analogica a quella digitale. Deve dunque ritenersi, come peraltro diversi studi di settore hanno evidenziato, che la fissazione in via normativa del 2006 per il passaggio totale delle trasmissioni televisive terrestri dall’attuale tecnologia analogica a quella digitale appare assai poco realistica.

 

Ciò comporta il rischio di una elusione del termine del 31 dicembre 2003, termine che la Corte Costituzionale, con la citata sentenza n. 466, ha ritenuto non più procrastinabile, al fine di garantire il rispetto dei principi costituzionali posti a salvaguardia della concorrenza e del pluralismo dell’informazione.

 

Il limite alla raccolta delle risorse nel cosiddetto sistema integrato delle comunicazioni

 

Nella fase transitoria sarà invece applicabile il limite alla raccolta delle risorse nel cosiddetto “sistema integrato delle comunicazioni”, espresso in termini di rapporto tra i ricavi di un operatore sul totale delle risorse del settore integrato delle comunicazioni. Tale sistema integrato delle comunicazioni comprende attività eterogenee, quali la produzione e distribuzione radiotelevisiva, l’editoria, la produzione e la distribuzione cinematografica, l’industria fonografica, la raccolta pubblicitaria su qualunque mezzo.

 

Al riguardo, l’Autorità, pur nella consapevolezza che nel lungo periodo si potrà assistere ad un processo di convergenza tra i vari mezzi di comunicazione, ritiene che un’aggregazione che tende ad includere mercati tra loro così distanti appare priva di giustificazioni economiche.

 

L’individuazione, a fini regolamentari, del settore integrato delle comunicazioni come base su cui calcolare le quote di mercato degli operatori non trova riscontri internazionali. La definizione di un settore composto da una serie eterogenea di beni e servizi appare, inoltre,  in contrasto con la filosofia che sorregge il nuovo quadro normativo comunitario in materia di comunicazioni elettroniche. Il nuovo assetto regolamentare comunitario richiede infatti, ai fini dell’eventuale sottoposizione a forme di regolazione dei singoli mercati interessati, una rigorosa applicazione dei principi e delle metodologie proprie dell’analisi antitrust nella definizione degli stessi.

 

La fase successiva al completo passaggio alla tecnica trasmissiva digitale terrestre

 

Con riguardo alla fase in cui sarà completo il passaggio delle trasmissioni terrestri dalla tecnica analogica a quella digitale, si rileva quanto segue. In primo luogo, l’articolo 12 del disegno di legge impone un limite, pari al 20% dei programmi televisivi, soltanto ai fornitori di contenuti e non anche agli operatori di rete. La mancata previsione di una soglia in capo agli operatori di rete permette che si determini il trasferimento dell’attuale duopolio nel mercato nazionale televisivo in tecnica analogica al futuro mercato della fornitura di reti per la trasmissione di programmi in tecnica digitale. Inoltre, i due operatori incumbent, rimanendo liberi di acquisire una posizione di dominanza nel mercato delle infrastrutture trasmissive, potranno controllare, nonostante il limite del 20% sulla fornitura di contenuti televisivi, la futura evoluzione della struttura competitiva del settore. Si corre pertanto il rischio, in tali condizioni, che un operatore in posizione dominante nel mercato delle infrastrutture trasmissive, essendo in grado di condizionare l’accesso al mercato a valle della fornitura di contenuti, possa indirizzare l’evoluzione della struttura competitiva di tale secondo mercato.

 

Al fine di assicurare una struttura di mercato concorrenziale, e in considerazione del fatto che le frequenze costituiscono delle risorse scarse ed essenziali per la fornitura del servizio televisivo, appare pertanto più opportuno prevedere che i limiti che si applicano ai fornitori di contenuti si estendano anche agli operatori di rete.

 

Limiti alle concentrazioni di tipo verticale e diagonale

 

La preoccupazione di ordine concorrenziale relativa all’insufficienza del suddetto limite del 20% trova ulteriore conferma nella circostanza che la  regolamentazione del settore televisivo recata dal disegno di legge in commento non prevede alcuna limitazione alla raccolta in capo alle concessionarie pubblicitarie controllate da (o collegate ad) emittenti pubbliche o private. In sostanza, la mancata previsione di limiti alle concessionarie pubblicitarie controllate dai maggiori gruppi del settore (limiti alla concentrazione cosiddetta di tipo diagonale, ossia quella forma di aggregazione tra due o più soggetti che operano in mercati orizzontalmente connessi, quali l’emittenza radiotelevisiva e la raccolta pubblicitaria sullo stesso mezzo), nonché la posizione di rilievo che questi ultimi, in assenza di un qualsiasi tetto agli operatori di rete, avranno nel mercato delle infrastrutture trasmissive (concentrazione di tipo verticale, ossia quella forma di aggregazione di due o più soggetti che operano in mercati appartenenti ai diversi livelli della catena produttiva, quali le infrastrutture di rete e la fornitura di contenuti), pone i soggetti fornitori di contenuti, privi di una propria rete, in una posizione di forte dipendenza rispetto a tali maggiori operatori. Siffatto scenario di mercato non appare garantire né un aumento della pressione concorrenziale, potenziale ed effettiva, tanto meno il principio del pluralismo dell’informazione.

 

Con riferimento all’eliminazione dei limiti all’integrazione tra editoria e televisione, si osserva che, nell’attuale contesto normativo e di mercato, tale intervento potrebbe comportare un’ulteriore riduzione della concorrenza e del pluralismo dell’informazione. In primo luogo, l’assenza dei suddetti limiti rischierebbe di determinare una sostanziale riduzione degli operatori di comunicazione indipendenti presenti in Italia. In secondo luogo, l’esperienza internazionale mostra che, anche laddove si intende perseguire un modello di drastica deregolamentazione del settore dei media (come sta avvenendo nel Regno Unito) vengono comunque mantenuti dei limiti alla detenzione di partecipazioni azionarie incrociate (cross ownership) tra gruppi editoriali e televisivi.

 

La disciplina del servizio pubblico radiotelevisivo

 

Per quanto concerne le previsioni in materia di servizio pubblico radiotelevisivo contenute nel disegno di legge in commento, va innanzitutto evidenziato che la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, essendo destinata a divenire società quotata sui mercati azionari, dovrà competere nella raccolta pubblicitaria radiotelevisiva, massimizzando i propri profitti. In considerazione del fatto che il prezzo borsistico di una società è dato dal valore scontato dei profitti attesi futuri, la concessionaria pubblica dovrà necessariamente tendere a massimizzare il valore dei ricavi derivanti dalla raccolta pubblicitaria. La creazione di una società quotata in borsa, dotata peraltro di peculiari regole di corporate governance che non garantiscono un controllo stabile da parte degli azionisti delle attività del management, potrebbe risultare incoerente con l’obiettivo di affidare, per concessione e sulla base di contratti di servizio stipulati con il Ministero delle Comunicazioni e gli enti locali, lo svolgimento del servizio pubblico generale radiotelevisivo. Tale servizio, infatti, comporta qualificati obblighi in termini di estensione e contenuti dell’informazione e di missioni di utilità sociale.

 

Considerato che i due obiettivi affidati all’azienda -- svolgimento per concessione del servizio pubblico generale radiotelevisivo e massimizzazione dei profitti -- risultano difficilmente conciliabili, ne consegue, all’evidenza, che il soddisfacimento di entrambi da parte di una società destinata ad essere quotata sul mercato borsistico potrebbe non risultare adeguato al perseguimento delle due funzioni. Di conseguenza, le previsioni del disegno di legge sul punto non appaiono idonee alla costituzione di un soggetto che possa svolgere in modo efficiente l’attività di servizio pubblico generale e, contemporaneamente, competere efficacemente con gli altri operatori nel mercato della raccolta pubblicitaria.

 

La complessità e delicatezza del tema in questione richiederebbero, invero, uno specifico approfondimento, tale da poter necessitare, a mio avviso, una sede sua propria interamente dedicata. Nella misura in cui, viceversa, se ne ritenga necessaria la regolamentazione nell’ambito di una normativa unitaria di riforma del sistema radiotelevisivo e, dunque,  secondo le linee tracciate dal disegno di legge in commento, l’Autorità ritiene di dover sottolineare che la mera  separazione contabile non appare uno strumento sufficiente a disciplinare il comportamento societario e garantire l’effettiva separazione delle attività dell’azienda regolamentata.

 

In tale prospettiva, infatti, è sicuramente più coerente con il perseguimento dell’obiettivo di servizio pubblico generale, nonché con l’esigenza di assicurare un’adeguata pressione concorrenziale nel mercato nazionale della raccolta pubblicitaria, un intervento strutturale quale la separazione societaria, ovvero la creazione, così come avviene nel Regno Unito, di due società distinte.

 

 

Osservazioni conclusive

 

In conclusione, l’Autorità ritiene che l’introduzione di una nuova normativa di riassetto del sistema radiotelevisivo nazionale rappresenti per l’Italia un’insostituibile opportunità per assicurare l’apertura dei mercati dei media al gioco della concorrenza e garantire il rispetto del pluralismo dell’informazione.

 

Un progetto di riforma complessiva del sistema radiotelevisivo nazionale deve poter incidere significativamente sull’attuale  struttura del mercato televisivo, allo scopo di ridurre la situazione di elevata concentrazione che attualmente lo caratterizza negativamente. Siffatto obiettivo dovrebbe essere perseguito adottando incisive forme di regolazione che siano al contempo conformi alla normativa recata dal nuovo quadro regolamentare comunitario e rispettose dei limiti fissati dalla Corte Costituzionale.

 

In particolare,  l’Autorità non può non ribadire, in primo luogo, la necessità  di introdurre modalità e meccanismi di allocazione e uso delle risorse frequenziali che evitino la prosecuzione, con termine incerto, dell’attuale situazione di occupazione di fatto di tali risorse e che siano conformi ai principi di obiettività, trasparenza e non discriminazione, contenuti nelle recenti disposizioni comunitarie. In secondo luogo, ed in considerazione della circostanza che il definitivo passaggio alla tecnica digitale terrestre avverrà in un periodo di tempo che si ha ragione di prevedere ben più lungo di quello previsto dalla legge n. 66/01, occorre che sia data effettiva attuazione al limite del 20% al cumulo dei programmi radiotelevisivi, estendendolo anche agli operatori di rete, non oltre il 31 dicembre 2003, in conformità  a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale. Infine, tenuto conto della metodologia e dei criteri analitici antitrust, quali richiesti dal quadro normativo comunitario, è necessario che, ai fini della determinazione dei limiti alla raccolta pubblicitaria, non sia individuato un macrosettore quale il sistema integrato delle comunicazioni.

 

 

Alla luce delle suddette considerazioni, l’Autorità auspica che, nel corso dell’esame del disegno di legge in commento, vengano apportati dei correttivi tali da condurre all’approvazione di una legge che assicuri una reale apertura alla concorrenza del mercato televisivo e garantisca il rispetto del pluralismo dell’informazione.