EUROPA

3 dicembre 2003

 

RINVIO COERENTE

di Enzo Balboni

 

Con l’ormai consueta procedura blindata il parlamento ha approvato la legge Gasparri, che si sforza di legittimare – illegittimamente – la situazione attuale di duopolio televisivo Rai-Mediaset. Già una volta Berlusconi aveva ottenuto una simile “grazia”, con il decreto legge dell’84 che cancellò l’oscuramento delle sue reti (ricordate la «rivolta dei puffi»?), con un provvedimento del governo Craxi. C’è tuttavia da attendersi che, questa volta, il presidente della repubblica non si premuri di firmare subito la promulgazione (come è accaduto per le leggi Cirami, Schifani etc.) ma, anzi, rinvii la legge alle camere. In realtà, la materia del pluralismo nel settore televisivo ha una sua delicatezza del tutto speciale. Il messaggio presidenziale ricorda che il principio del pluralismo nell’informazione radiotelevisiva è stato particolarmente sottolineato nella sentenza n. 420/94: ed, in effetti, in quella decisione, la Corte chiarisce che «il principio del pluralismo delle voci deve avere specifica e settoriale garanzia nel campo dell’emittenza radiotelevisiva (anche) in ragione della già ricordata peculiare diffusività e pervasività del  messaggio televisivo». «Già ricordata diffusività e pervasività»: sì, perché molti anni prima la Corte aveva chiarito che la televisione «per la sua notoria capacità di immediata e capillare penetrazione nell'ambito sociale attraverso la diffusione nell'interno delle abitazioni e per la forza suggestiva della immagine unita alla parola, dispiega una peculiare capacità di persuasione e di incidenza sulla formazione dell'opinione pubblica nonché sugli indirizzi socio-culturali, di natura ben diversa da quella attribuibile alla stampa» (sentenza n. 148/81). Quindi, occorre che sia stabilito un congruo limite alle concentrazioni nello specifico settore della televisione: ogni tentativo di diluire questo nitido concetto nell’immagine fumosa di un settore delle comunicazioni gonfiato ad hocsi pone in diretto contrasto con le regole puntualmente enucleate dal giudice delle leggi. Il limite del 20% del Sic potrà forse essere un limite ulteriore, ma come garanzia unica è del tutto insufficiente, anzi è distorcente. Il presidente della repubblica può sindacare con ampia discrezionalità il “merito  costituzionale” delle leggi per le quali è richiesta la promulgazione: ma proprio la trama di riferimenti disegnata nel suo stesso messaggio di fatto lo vincola, oggi, a rinviare alle camere la legge Gasparri, nel testo appena approvato. A questo punto, non è più una questione di discrezionalità, ma di coerenza: non si tratta di «tirare per la giacchetta» il presidente, ma di attendersi che resti fedele alle parole da lui medesimo spese spontaneamente e solennemente pronunciate. Il rinvio presidenziale non impedisce, in linea di principio, la promulgazione della legge, ma si limita ad imporre un altro passaggio parlamentare: dopo che la legge fosse riapprovata, il presidente della repubblica sarebbe tenuto alla sua promulgazione. Quali scenari si aprirebbero, tuttavia, se la legge giungesse ugualmente in Gazzetta ufficiale? Certo, dopo alcuni mesi, sarebbe pressoché inevitabile un giudizio su di essa della Corte costituzionale, per le ragioni descritte. Ma questo metterebbe nelle mani dei giudici di palazzo della Consulta un altro caso “politicamente scottante” (dopo il lodo Schifani, il condono edilizio, la legge Lunardi, quella sulle rogatorie etc.), anzi forse il caso più rovente degli ultimi anni, esponendo i supremi giudici a pressioni ed attacchi di intuibile aggressività. Per la verità, i precedenti descritti sono così consolidati e precisi e la legge Gasparri, nel fotografare e irrigidire l’attuale regime, è talmente in contrasto con essi, che non è inverosimile supporre che il presidente possa accompagnare il rifiuto di promulgazione con uno specifico messaggio alla Nazione, allegando il rischio lesione dei principi fondamentali della Costituzione. Forse basterà anche solo ventilare una siffatta ipotesi, perché, al ritorno della Gasparri in parlamento, la parte più moderata e consapevole della maggioranza ritrovi la voce e il coraggio che sinora le sono mancati. E, con ciò, si lasciano in disparte – ma solo per ragioni di spazio – i rilevanti problemi di compatibilità con il diritto comunitario, anch’esso evocato nel messaggio presidenziale, recentemente lumeggiati da diversi richiami dell’Antitrust e da un intervento di Guido Rossi: addirittura, il contrasto potrebbe essere tanto grave e palese, da indurre i giudici a  disapplicare la legge (magari invocando una pronuncia della Corte di giustizia del Lussemburgo). Comunque, l’attività degli organi di garanzia – Antitrust, giudici comuni e costituzionali – diventerebbe molto meno ardua, se essi operassero non in solitudine istituzionale, ma in armonia con un segnale forte e chiaro dal Colle, anche solo con un semplice rinvio, accompagnato da motivazioni forti e stringenti.