INDICE EDIZIONI Mercoledì 3 Dicembre 2003

IL COMMENTO
Aspettando
il pluralismo

Francesco Paolo Casavola
Il disegno di legge approvato dall’assemblea di palazzo Madama tocca un tema, quello della radiotelevisione, che avremmo voluto vedere trattare con una proposta di legge parlamentare, frutto di serena e responsabile collaborazione della maggioranza e dell’opposizione. Perché vi sono questioni centrali della vita democratica di cui non possono disporre unilateralmente né questo né quello degli schieramenti in Parlamento. Vi sono problemi non riducibili alle fluttuanti congiunture degli interessi di persone, gruppi sociali e partiti, e che appartengono a quel patrimonio dei diritti di cittadinanza su cui può intervenire solo un legislatore imparziale, portatore della volontà generale della nazione, e non di quella peraltro presunta di una temporanea maggioranza elettorale.
Un deficit di cultura democratica si deve purtroppo registrare nel nostro ceto politico. Il consenso elettorale abilita alle responsabilità di governo, ma queste vanno esercitate nella concretezza degli atti legislativi e di amministrazione nell’interesse di tutti i cittadini e non di una parte o di alcuni tra essi. È invalsa invece la prassi che chi ha ottenuto il favore degli elettori decide e legifera senza ascoltare l’opposizione parlamentare, senza tener conto delle valutazioni e degli orientamenti dell’opinione pubblica.
Una democrazia priva di dialogo parlamentare e di colloquio sociale usurpa il suo titolo. È una dittatura a termine, sempre che le regole della consultazione elettorale nel frattempo non siano sovvertite. È appunto l’esigenza di conservare libera e critica la formazione della volontà dei cittadini elettori che carica il tema tecnico della radiotelevisione del valore costituzionale del pluralismo informativo.
Se il pluralismo e l’imparzialità della informazione non avessero per una democrazia la stessa indispensabilità vitale dell’aria che respiriamo, il presidente della Repubblica, così attento a non invadere spazi del Parlamento e del governo, avrebbe inviato alle Camere, il 23 luglio dell’anno scorso, l’unico messaggio del suo mandato fino ad oggi esercitato? In quel messaggio si elencano le leggi del 1981, del 1990, del 2001, le sentenze della Corte costituzionale del 1988, del 1994, del 2002, nonché le quattro recenti direttive del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea, tutte in materia di radiotelevisione. Vi si ricorda che con la riforma in senso federalistico del titolo quinto della Costituzione una nuova legge nazionale dovrà combinarsi con la legislazione concorrente delle regioni. È citato il Trattato di Amsterdam che vincola i Paesi dell’Unione Europea a valorizzare il sistema di radiodiffusione pubblica. Ma un passaggio va riletto testualmente: «Nel preparare la nuova legge va considerato che il pluralismo e l’imparzialità dell’informazione, così come lo spazio da riservare nei mezzi di comunicazione alla dialettica delle opinioni, sono fattori indispensabili di bilanciamento dei diritti della maggioranza e dell’opposizione: questo tanto più in un sistema come quello italiano, passato dopo mezzo secolo di rappresentanza proporzionale alla scelta maggioritaria».
Qui emerge il dato di contestualizzazione per avere una chiave di comprensione dell’intera vicenda. L’esperienza troppo recente del sistema maggioritario fa temere che chi ha il potere lo usa per conservarselo a tempo indeterminato. Legiferare sui mezzi di comunicazione facendo cadere l’accento sul bacino delle risorse, ricomprendendo nel cosiddetto sistema integrato delle comunicazioni radiotelevisione, editoria quotidiana, periodica, libraria, elettronica, Internet, cinematografia, imprese fonografiche e di pubblicità, quali che ne siano il mezzo o le modalità di diffusione, va verso i fini del pluralismo o verso quelli della concentrazione proprietaria, in un universo così composito e difficilmente assoggettabile a controlli antitrust? La innovazione tecnologica con il passaggio al digitale e al satellite garantisce un pluralismo futuro, consentendo di sottrarsi ai limiti temporali stabiliti dalla Corte costituzionale, o aprirà nuovi orizzonti a megaimprese di emittenza? Insomma, anche data per scontata la buona fede del legislatore, non è contestabile la buona fede di quanti, negli spazi applicativi di questa legge, vedono pericoli non dappoco per l’avvenire della nostra democrazia.
Francesco Paolo Casavola