Europa

Argomenti solidi perché la Gasparri non venga promulgata.

La legge mostro.
di Leopoldo Elia

La legge Gasparri arriva in stazione come un treno a grande velocità non tanto per la durata del viaggio in sé (meno di due anni) quanto per il peso del materiale che trasporta. Un contenuto normativo senza precedenti nell’Europa liberaldemocratica, che viola tutte le regole e i principi del nostro ordinamento e di quello dell’Ue. È impossibile trovare nel museo degli orrori del capitalismo italiano una legge che per tutelare gli interessi di un monopolista privato infrange più regole di sistema
Fin qui le leggine – da dieci anni a questa parte – allungavano i tempi per favorire Rete 4 che altrimenti sarebbe diventata satellitare; stavolta la Gasparri si lancia nel futuro, compromettendo le già deboli chances del pluralismo radiotelevisivo italiano e sanando retroattivamente la vita abusiva (senza concessione) della terza rete di Mediaset. Tutto ciò avviene con due trovate assolutamente geniali: creando col Sic (Sistema integrato delle comunicazioni) un enorme, eterogeneo paniere, in cui, scavalcando la normativa antitrust in vigore oggi, si consente a tutto il complesso Mediaset di restare nei limiti antimonopolistici, con un buon margine per crescere ancora. Non importa che questa riforma si scontri con tutta la giurisprudenza della Corte costituzionale e con le ultime direttive dell’Unione: è essenziale invece che sia col sistema analogico, sia col sistema digitale terrestre Mediaset non abbia veri confini.
La seconda invenzione consiste nella fuga in avanti nel digitale. E’ già grave che si imponga con legge (e non per dinamica di mercato) una tecnologia considerata di esito aleatorio (successo problematico) nel resto del mondo. Più dannoso che si voglia violare le regole (tra cui quella contenuta nella sentenza n. 466/2003 della Corte) in nome di una avventura che si finge già in parte realizzata, mentre per almeno un decennio faticherà a concretarsi. Alessandro Pace ha dimostrato con argomenti inconfutabili che oggi l’unico termine di riferimento per giudicare ciò che è legale (se cioè si rispetta il pluralismo televisivo) è l’analogico terrestre, in base al buon senso oltre che alla sentenza della Corte. Perciò l’articolo 25, terzo comma, della legge Gasparri prende in giro la sentenza n. 466 perché elude col rinvio a future verifiche, a tempo indeterminato il termine del 31 dicembre 2003 fissato come «ineludibile» in quella pronuncia per la cessazione dell’analogico terrestre dell’attività televisiva di Rete 4. Peggio, si compromette il pluralismo futuro giacché le concessioni di frequenze per il digitale privilegiano le emittenti operative oggi nell’analogico. Tutto ciò costituisce l’esatto contrario non solo della linea giurisprudenziale della Corte, ma anche del contenuto dell’unico messaggio finora indirizzato al parlamento dal presidente Ciampi proprio a tutela e promozione del pluralismo televisivo. La legge Gasparri umilia dunque le Autorità, quella della comunicazione e l’Antitrust, la Corte costituzionale, il Capo dello stato e in definitiva l’Italia denunciando a caratteri cubitali il degrado della democrazia nel nostro paese. Parlare di incostituzionalità palese della Gasparri significa ricorrere ad un eufemismo perché diventa inadeguato il linguaggio di ieri di fronte al misfatto di oggi. Come siamo potuti arrivare a tanto? Secondo Giuliano Amato la destra ora al potere ha «istinti di mercato, comportamenti di mercato, ma non una cultura di mercato». In altri tempi Amato rimproverava i cattolici democratici di non amare la concorrenza, il mercato e l’impresa. Ma bisogna riconoscere che i democristiani crearono due monopoli pubblici (l’Eni e l’Enel) mentre si dovette attendere l’era craxiana per vedere un governo favorire in misura decisiva la crescita di un monopolio privato, anche se con la complicità di alcuni democristiani immemori delle loro origini. Certo, ci pesa addosso l’ultima “abilitazione speciale” conferita a Rete 4 priva, come ripeto, di concessione, dal ministro delle poste Cardinale. Ma anche qui bisogna distinguere: Cardinale, sia pure sbagliando, disponeva in re aliena, cioè disponeva su affari di altri soggetti. Stavolta il legislatore agisce in re propria, celebrando il trionfo del conflitto di interesse sulle rovine del pluralismo italiano. Sulla sorte della Rai possiamo oggi limitarci a dire che si restaura, con altre modalità, il predominio governativo precedente il 1975. Un’ultima, amara constatazione. Quando agisce in re propria il premier-legislatore diventa premier assoluto. C’è chi in presenza delle baruffe padane crede di vedere una coalizione di maggioranza rissosa e indisciplinata. Ma su ciò che interessa veramente al premier la disciplina di voto è pavloviana e il resto è ciacola per i gonzi.