EUROPA, 17 dicembre 2003

Che cosa può fare il governo. Rispondono i costituzionalisti

Perché non è costituzionale il ricorso a un decreto legge

 

di ALESSANDRO PACE

 Il rinvio, da parte del presidente della repubblica, della Gasparri alle camere per una nuova deliberazione (e, quindi, per una nuova discussione, non necessariamente limitata ai soli punti evidenziati nel messaggio presidenziale del 15 dicembre) solleva numerosissimi problemi. Qui di seguito cercherò non già di dare ad essi una soluzione, ma, quanto meno, di individuare i punti da tener fermi nel dibattito che già si è aperto.
Il presidente Ciampi, nel suo messaggio, ha puntato il dito sui seguenti vizi di incostituzionalità, che sono i più macroscopici (ancorché non i soli). Il 31 dicembre 2003 deve essere considerato come il termine insuperabile per una disciplina del sistema televisivo che garantisca effettivamente il pluralismo delle emittenti che trasmettono in analogico. (Ciò è desumibile dalla sentenza numero 466 del 2002 della Corte costituzionale, che aveva sottolineato le ripetute elusioni, da parte del legislatore, della sentenza 420 del 1994 e, ancor prima, della sentenza numero 826 del 1988); - la Gasparri, approvata entro tale data, anziché risolvere ora questo problema, si limita a porre le premesse per risolverlo in un futuro, entro una data tecnicamente imprecisabile. In altre parole, per far ritenere che attualmente esiste un sistema televisivo pluralistico, la Gasparri opera la sommatoria delle emittenti che trasmettono ora in analogico con quelle che trasmetteranno domani (rectius, dopodomani) in digitale. Pertanto, la Gasparri pone in essere non già una disciplina definitiva, bensì un’ennesima disciplina transitoria delle trasmissioni televisive operanti con impianti analogici terrestri (si noti bene: è dal tempo del decreto legge 807 del 1984 - adottato dal governo Craxi per salvare tutte e tre le tre reti Fininvest - che in Italia si va avanti con regimi transitori in attesa dell’effettivo pluratismo!); - il Sistema Integrato delle Comunicazioni (Sic), previsto dalla Gasparri ai fini dell’individuazione della soglia delle posizioni dominanti vietate, costituisce uno specchio per le allodole, come autorevolmente sottolineato dal professore Giuseppe Tesauro, presidente dell’Antitrust. Il Sic ricomprende infatti elementi assolutamente estranei al cosiddetto mercato «rilevante» (e cioè il mercato televisivo), e pertanto anziché limitare lo strapotere attuale del gruppo Mediaset (come lamentato già nella sentenza numero 420 del 1994), ne amplia le possibilità, con la conseguenza che ne viene precostituita la dominanza anche nel futuro mercato delle televisioni operanti in digitale; - deve essere garantito il pluralismo non solo nel settore dell’emittenza televisiva ma anche in quello della stampa periodica. Poiché le risorse a cui attingono i due settori sono soprattutto quelle offerte dal mercato pubblicitario, è evidente che deve essere previsto un limite complessivo all’approvvigionamento del settore televisivo, se non si vuole inaridire il settore della stampa scritta.
Ciò, ancor prima della sentenza numero 231 del 1985 (a cui si è esattamente riferito il capo dello stato), era stato energicamente sottolineato dalla Corte costituzionale già nella sentenza numero 225 del 1974 (paragrafo 8, terzo capoverso, lettera f).
Poste queste premesse, ci si deve chiedere (retoricamente): a quale scopo deve intervenire il legislatore, con una disciplina sostitutiva della legge numero 249 del 1997, prima del 31 dicembre 2003? La risposta è semplice: evitare che Retequattro debba non già “chiudere”, bensì continuare a trasmettere esclusivamente dal satellite.
Questo evento non coglie però di sorpresa Mediaset.
La Corte costituzionale aveva già individuato nel 27 agosto 1996 (sentenza numero 420 del 1994) il termine ultimo per la sopravvivenza della terza rete Mediaset. Vari decreti legge del governo Prodi avevano poi spostato (illegittimamente) tale termine fino all’approvazione della legge numero 249 del 1997. Questa legge, a sua volta, ha consentito alla terza rete Mediaset di “sopravvivere”, a patto però di operare solo sul satellite, una volta che fosse stato superato il termine previsto a tal fine dall’Autorità delle garanzie nelle comunicazioni. La delibera numero 346 del 7 agosto 2001 del AgCom - che il capo dello stato richiama nel suo messaggio - ha fissato appunto tale termine al 31 dicembre 2003, e la Corte costituzionale ha statuito che tale termine non sia ulteriormente prorogabile.
E allora? Tre sono le eventualità possibili: 1) che le camere non riapprovino tempestivamente la Gasparri. In tal caso la delibera dell’AgCom (blindata dalla Corte costituzionale) dovrà essere eseguita. Conseguentemente Retequattro cesserebbe le sue trasmissioni in chiaro il 31 dicembre 2003 (ma potrà essere seguita su Sky Tv, come fin d’ora è possibile); 2) che le camere riapprovino la Gasparri così com’è, anche a maggioranza semplice (lo consente l’articolo 74 comma 2 della Costituzione), il che però non mi sembra politicamente praticabile (lo sarebbe, forse, solo se la maggioranza di governo fosse costituita da Forza Italia e dalla Lega); 3) che il governo adotti un decreto legge.
A quest’ultimo riguardo, il problema non è quello -riportato da alcuni quotidiani - se il consiglio dei ministri debba essere presieduto da Berlusconi o no (per allontare il sospetto… di un conflitto d’interessi). Per vero il governo non cessa di essere il governo Berlusconi solo perché Berlusconi, per cinque minuti, sta fuori della porta (magari col telefonino acceso…). Piuttosto, il problema vero è che il decreto legge deve essere firmato dal presidente della repubblica, e sarebbe assai strano se Ciampi firmasse dopodomani ciò che non ha firmato l’altro ieri.
Ebbene, cosa potrebbe indurre Ciampi a firmare? Non oso lontanamente sostituirmi all’autorità e alla sensibilità del presidente della repubblica. Dico soltanto che non esiste quell’emergenza occupazionale dei dipendenti di Rti-Retequattro che è già stata ventilata come ragione giustificatrice della straordinarietà del decreto legge.
A parte il fatto che sono anni ed anni che sentenze, leggi e provvedimenti amministrativi ci dicono che, prima o dopo, Retequattro dovrà andare sul satellite (sempre che il sistema resti il medesimo; e cioè se il numero delle concessioni assentibili alle imprese televisive nazionali operanti con frequenze analogiche terrestri rimanga determinato in undici, il che tecnicamente è già eccessivo e non realistico)… ebbene, a parte ciò, è evidente che alla “liberazione” delle radiofrequenze di Retequattro (che opera senza concessione!) non potrà non seguire l’assegnazione delle stesse frequenze alle altre imprese le quali, benché titolari di concessione, non hanno la stessa copertura televisiva delle tre reti Rai, di Canale 5 e di Italia Uno. Si pensi a La7, a Mtv e a Europa 7 (quest’ultima ha bensì la concessione, ma non ha nemmeno una frequenza!).
Conseguentemente è ragionevole ritenere che l’ingresso di nuovi soggetti e il potenziamento dei soggetti già operanti riassorbirebbero certamente quell’esubero determinato dal passaggio di Retequattro sul satellite.
Allo stato, non mi sembra perciò che esistano alternative seriamente prospettabili (e costituzionalmente legittime) al trasferimento di Retequattro sul satellite, a partire dal primo gennaio 2004. Sta di fatto che anche una modifica del Sic che non faccia altro che confermare il paniere già previsto dall’articolo 2 comma 8 lettera d) della legge 249 del 1997 ovvero l’inclusione delle telepromozioni nel tetto dell’affollamento pubblicitario orario, per quanto auspicabili - a tutela della stampa quotidiana (a proposito, perché si deve tener conto della diminuzione di personale a Retequattro e non la crisi che attraversano quotidiani, anche importanti, come La stampa?) -, non credo risolverebbero il problema di fondo che Ciampi ha giustamente posto rinviando la Gasparri alle camere.