la Repubblica, DOMENICA, 05 OTTOBRE 2003

 

Pagina 1 - Prima Pagina

 

LA LEGGE GASPARRI E LA FIRMA DI CIAMPI

 

 

EUGENIO SCALFARI


Non voglio qui sostenere che la sorte del disegno di legge Gasparri sia l´elemento dominante nell´orizzonte della politica italiana delle prossime settimane; altri e assai rilevanti appuntamenti si affollano in questo scorcio del 2003: l´andamento dell´economia, la legge Finanziaria e il decretone a essa collegato, la riforma pensionistica e i suoi effetti sulla pace sociale e infine la conferenza intergovernativa sulla Costituzione europea cominciata ieri a Roma e guidata da Berlusconi in funzione di presidente semestrale.
Ma la legge Gasparri ha una caratteristica speciale che è quella di incrociare una quantità di problematiche la cui soluzione in un senso o nell´altro può produrre mutamenti profondi nel tessuto politico e costituzionale della Repubblica. Anzitutto estende e legalizza il monopolio televisivo e pubblicitario già esistente mettendolo al riparo dalle pronunce delle autorità garanti della concorrenza e proiettando la situazione anche alle nuove tecnologie digitali quando entreranno pienamente in funzione. E poi: vanifica la legge sul conflitto d´interessi di cui il nostro premier è portatore, nel momento in cui blinda la proprietà delle reti Mediaset e la dipendenza degli organi dirigenti della Rai dal governo; contraddice palesemente le sentenze della Corte costituzionale sul pluralismo dell´informazione; ignora la sostanza del messaggio di Ciampi alle Camere sullo stesso argomento; viola le risoluzioni della Comunità europea sulle concentrazioni televisive; arreca consapevolmente danni molto gravi all´editoria giornalistica. E rischia di aprire un contrasto molto serio tra il presidente della Repubblica da un lato e il potere esecutivo e quello legislativo dall´altro.
Tra i tanti possibili effetti di questa legge sciagurata quello di una crisi istituzionale è il più preoccupante di tutti poiché potrebbe aprire la strada a un vero e proprio regime autoritario mortificando, depotenziando o assorbendo tutte le autorità di garanzia e imboccando risolutamente la strada della dittatura della maggioranza, già largamente invocata e praticata da quanti vogliono procedere a colpi di spallate successive contro l´assetto democratico-liberale, all´insegna del nuovismo, della potenza mediatica, della sistematica e scientifica manipolazione del consenso con la non celata finalità di rendere irreversibile l´attuale assetto del potere nel nostro Paese.
Ce n´è dunque d´avanzo per concludere che le prossime vicende di questo contrastatissimo disegno di legge rivestono una decisiva importanza e provocheranno durature modifiche nella struttura portante delle nostre istituzioni.

Può darsi, anzi è assai probabile, che questo aspetto sfugga all´attenzione dei più. Può darsi anche – ma personalmente non lo credo, anzi credo esattamente il contrario – che i sostenitori della Gasparri non siano pienamente consapevoli della catena di conseguenze che essa sta mettendo in moto. Ma tutto ciò non cambia la natura delle cose: la Gasparri è il braccio di leva spregiudicatamente usato per far saltare le ultime resistenze che ancora si oppongono alla dittatura della maggioranza. Siamo dunque molto al di là di una legge settoriale che sicuramente accrescerà la già enorme ricchezza di un´azienda, di una famiglia, di una persona.
Per queste ragioni mi pare utile esaminare quale scenario si può aprire nei prossimi giorni, nel momento in cui il disegno di legge sarà stato trasformato dal voto delle Camere in legge dello Stato e il testo arriverà sulla scrivania del presidente per esser da lui firmato e promulgato.

* * *
Il presidente della Repubblica non può e non deve giudicare le decisioni del potere legislativo sulla base del merito, cioè se siano a suo giudizio buone o cattive ai fini del cosiddetto interesse generale. Usare questo criterio gli è precluso. Egli può esprimere la sua opinione in un messaggio (nella fattispecie l´ha già fatto) auspicando e suggerendo un indirizzo, ma nulla di più. Può invece richiamare l´attenzione del Parlamento su una legge da esso approvata rimandandola indietro senza averla firmata quando ravvisi la sua palese incostituzionalità. State attenti a quell´aggettivo: palese. Se l´incostituzionalità non è palese ma controversa il presidente deve firmare; un giudizio più approfondito e definitivo verrà poi espresso dalla Corte costituzionale se essa verrà chiamata a giudicare nelle previste forme procedurali.
Non c´è contraddizione tra la firma del presidente e l´eventuale pronuncia d´incostituzionalità della Corte poiché il primo giudica solo sull´incostituzionalità palese, la seconda invece sulla congruità sostanziale dell´atto parlamentare alla Costituzione.
Quanto al Parlamento, qualora la sua legge gli venga rinviata dal presidente, esso può seguire due strade: accogliere i rilievi del capo dello Stato ed emendare la legge, oppure rispedirgliela confermandone integramente il testo. In questo secondo caso il capo dello Stato ha l´obbligo di firmare e promulgare. Sono cose note, ma è bene ripeterle perché siano chiare a tutti e senza equivoci.
Veniamo al caso specifico, cioè alla legge Gasparri. Per alcuni costituzionalisti essa è palesemente incostituzionale per il semplice fatto che contraddice una sentenza della Corte. La Corte ha stabilito un anno fa che una delle tre reti Mediaset deve cessare di trasmettere via etere entro il 31 dicembre di quest´anno; la Gasparri proroga invece la scadenza senza stabilire una data certa di cessazione. Rendere inoperante una sentenza della Corte è una palese violazione della Costituzione, ergo il presidente non deve firmare.
Naturalmente altri costituzionalisti argomentano in modo diverso. Le forze politiche sono divise, l´opinione pubblica anche. Quanto al capo dello Stato la responsabilità della decisione, il giudizio su quell´aggettivo «palese» è unicamente suo. Poi il Parlamento deciderà.
Tutto è dunque chiaro, tutto è previsto in Costituzione; dal punto di vista giuridico la mancata firma non è uno schiaffo dato al Parlamento ma il corretto esercizio di una facoltà, così come la conferma della legge da parte delle Camere non è uno schiaffo al presidente ma l´esercizio di un diritto da parte del potere legislativo. Dopo di che la vita costituzionale riprende il suo normale corso in attesa dell´eventuale sentenza – quella sì, definitiva e non appellabile in nessun modo – della Corte costituzionale.

* * *
Ho ricordato, spero con chiarezza, le varie tappe di questa complessa procedura dal punto di vista giuridico-formale. Ma non c´è dubbio che al di sotto di essa esista un contenuto politico che non si può fingere di non vedere.
In fondo ciò che il presidente chiede – per quanto è dato di capire – è che il Parlamento scavalchi la data fissata dalla Corte stabilendo però un´altra data certa e non remota. Il ministro Gasparri sostiene che questa data certa si "induce" tra le righe del suo testo; se così fosse perché allora non modificare il testo rendendo esplicita e chiara l´induzione? Il rifiuto a compiere questa semplicissima operazione suscita il legittimo sospetto che quell´induzione, arrivati al punto, possa ancora una volta (e sarebbe l´ennesima) scavalcata rendendo definitivo il precario. Non è con questa modalità, consentita dalla ferrea amicizia di Bettino Craxi, che fu edificato l´impero mediatico di Silvio Berlusconi? Alla faccia delle leggi, delle sentenze della Corte, del mercato e della libera concorrenza? Il fatto che un imprenditore riottoso di fronte alla legalità sia diventato attraverso libere elezioni presidente del Consiglio dovrebbe averlo reso rispettoso dell´autorità della legge; invece non pare sia stato così, almeno in materia di pluralismo dell´informazione.
Questi, naturalmente, sono punti di vista miei e di chi la pensa come me.
Non mi scandalizzo che altri la pensino diversamente. Ma la questione politica esiste in tutta la sua rilevanza: se il presidente rifiuta la firma, il Parlamento gli risponderà obbligandolo a firmare «contro coscienza»? Come si comporteranno le forze politiche che fanno parte della Casa delle Libertà? Il partito di Follini e quello di Fini nelle cui file si sono manifestati segnali di disagio sulla Gasparri e che hanno votato per disciplina di coalizione e «turandosi il naso» sceglieranno ancora una volta la blindatura imposta da Forza Italia e butteranno dalla torre Ciampi per ottemperare agli ordini di Berlusconi? Con quali riflessi sulla pubblica opinione quando sarà chiamata a votare?

* * *
Alcuni osservatori immaginano il seguente scenario: Ciampi non firma la legge, il Parlamento la conferma e gliela rimanda indietro, Ciampi la firma e si dimette, il Parlamento accetta le dimissioni ed elegge Berlusconi al Quirinale.
Se questo fosse lo scenario – dicono altri osservatori – sarebbe bene che Ciampi, «turandosi anche lui il naso» firmasse; meglio infatti la Gasparri promulgata che Berlusconi al Quirinale.
Altri osservatori ancora (l´Italia ne è piena) dicono: Forza Italia intimidisce Ciampi proprio facendo suoi questi ragionamenti; per conseguenza si sta tentando di estorcere la firma del capo dello Stato facendogli balenare uno scenario tale da consigliargli di cedere.
Tutto ciò naturalmente dà per certo che la maggioranza berlusconiana resti di acciaio inossidabile anche nel caso d´un conflitto di questo rilievo. Ma aggiungo: tutto ciò si basa anche sul fatto che il presidente sia fatto di una pasta diversa da quella che è propriamente la sua. Inviterei dunque i vari osservatori a rifletter bene su questo punto che è di capitale importanza, visto che anche le firme costituzionali, date o non date, dipendono dalla mano di chi le appone.

* * *
Forse io mi sbaglio e pazienza, ma io la vedo così: 1) Il Presidente firmerà o non firmerà secondo che il testo della legge sia «palesemente» incostituzionale oppure no. È lui che decide su questo punto e solo lui. Non credo che faccia altre considerazioni. Una delle sue massime è sempre stata: «Fai ciò che la coscienza ti detta» .
2) Se decidesse di non firmare e il Parlamento dal canto suo confermasse il testo originario, il presidente adempirà all´obbligo costituzionale ma non si dimetterà. Dimettersi equivarrebbe infatti a disconoscere il dettato previsto in Costituzione e sarebbe un atto di arroganza e non è nella sua natura.
3) Il botta e risposta tra Quirinale e Parlamento non sarebbe privo di effetti sulla pubblica opinione e sulla stessa maggioranza parlamentare. Ma qui entriamo nella teoria dei giochi, che non credo abbia adito nei comportamenti di Carlo Azeglio Ciampi, che non è e non vuole essere un uomo politico ma il custode delle istituzioni.
Può darsi che io mi sbagli, l´ho già detto, nel valutare uomini e cose. Un amico mi ha raccontato di un suo colloquio con un importante uomo politico di destra. Il mio amico suggeriva all´uomo politico di comportarsi in modo «sportivo» ma ne ebbe questa risposta: «Tu sarai pure sportivo, ma noi semo figli de una m...» .
Se non è vera è ben trovata. C´è sempre un imponderabile a determinare le vicende politiche e quello sfugge per definizione ad ogni ragionamento.