Avvenire 4 Agosto 2000 - Citato Gregorio di Nissa

Rassegna stampa

Dibattito. L'imperatore Giuliano e il pluralismo religioso:
una lezione che affascina ancora il laicismo contemporaneo

I nipoti dell’Apostata

Da Voltaire a Evola, un maestro dell'intolleranza?
Parlano Introvigne, Ronchey e Sordi

Maurizio Cecchetti

C'è un convitato di pietra nel dibattito attuale sullo Stato laico e la religione? Forse sì, il suo nome è Giuliano l'Apostata. Scrivendo a Leo Strauss, Alexandre Kojève (uno dei principali responsabili della fortuna critica di Hegel a sinistra), confessò: "Ho scoperto tre autentici e completamente sconosciuti filosofi: Giuliano, Salustio e Damascio". Si era, se non erro, a metà degli anni Cinquanta. E Kojève aggiungeva che i tre misconosciuti si rivelavano a lui come "Voltaire di prima classe".

Quest'annotazione ci mette sulla strada giusta: Giuliano l'Apostata profeta di un laicismo della "tolleranza religiosa" che in realtà diventa discriminatoria verso i cristiani nel momento in cui detta la legge sulla scuola che impedisce loro l'accesso all'insegnamento? Kojève, del resto, scrive a Strauss, il fine studioso della lettura interlineare, ovvero della dissimulazione, quell'arte di dire cose tra le righe, mentre ciò che si afferma non sempre è condiviso. La verità di Giuliano qual era? L'intolleranza affermata con il suo contrario, la tolleranza. "Non era solo intollerante, ma anche fanatico e seguace dei culti orientali, teurgia, riti caldei e simili", sbotta Marta Sordi, antichista e docente alla cattolica. "La sua legge sulla scuola - continua la studiosa - è la prova ecclatante della sua intolleranza, di cui restano tracce nel testo del Codice teodosiano e in una lettera dello stesso Giuliano che ne spiega le ragioni. Alcuni storici sostengono che non era discriminatoria verso i cristiani, il fatto è che Giuliano assumeva come assodato che la letteratura da Omero in poi fosse letteratura religiosa, e in base a questo vietò ai cristiani l'insegnamento sostenendo che per poter insegnare bisognava credere agli stessi dèi celebrati dagli autori pagani. Sul versante greco, scrittori cristiani come Gregorio di Nissa, Basilio di Cesarea e Gregorio di Nazianzo mettevano in luce invece che la lingua greca era di tutti e pertanto anche i cristiani potevano usarla e insegnarla legittimamente. L'equivoco di fondo di Giuliano fu equiparare la cultura greca alla religione. Il contrario di un sano laicismo. Non volle la persecuzione aperta, ma pretese di difendere la religione tradizionale, il paganesimo, finendo però per appellarsi ai teurgi e ai culti orientali". Due dei tre sommi filosofi scoperti da Kojève, tornano a far coppia in una edizione recente del trattato Sugli dèi e il mondo di Salustio, edito da Adelphi. L'autore era, come pare ormai assodato, il collaboratore e il degno successore dell'Apostata. L'introduzione di Riccardo di Giuseppe è una infervorata difesa della "tolleranza" di Giuliano, che lo fa apparire come vittima di un cristianesimo ottuso (poco colto, in definitiva) reo anzitutto di non aver capito la sua scommessa di laicità. C'è voglia di santificazione di un profeta che potrebbe rivelarsi il lontano e segreto ispiratore di certi intellettuali nostrani che predicano lo Stato laico e la "tolleranza religiosa"? Saranno solo indizi, ma preoccupano, dice Massimo Introvigne, studioso delle religioni. "Giuliano è una figura sostanzialmente minore, che è sempre stata rivalutata in epoche in cui la polemica anticristiana impazzava. Ebbe fortuna con l'illuminismo e curiosamente è stato poi rivalutato da ambienti neopagani in epoca fascista sempre in chiave anticattolica. Parlo del milieu che ruotava attorno all'Evola dell'Imperialismo pagano, che non va confuso con l'Evola successivo. Ma anche nella Francia dell'Ottocento Giuliano fu la bandiera di ambienti massonici. Si vede dunque che ispirò gruppi diversi, accomunati però dall'anticristianesimo". Compagnia non proprio entusiasmante, nel complesso. Ma dobbiamo fiutare un ritorno di anticristianesimo dietro i proclami del laicismo di oggi? "È certo - replica Introvigne - che tutte le volte che Giuliano fu rivalutato si ebbe un processo abbastanza tipico: vi fu una prima generazione che fece dell'anticristianesimo teorico e dichiarò che in nessun modo bisognava usare la violenza, venne poi una seconda generazione che prese questa bandiera e la tradusse in comportamenti violenti. Così dalla tolleranza di Voltaire si passa all'intolleranza del terrore giacobino, dai primi marxisti che parlavano di libertà si arriva allo stalinismo e ai gulag, e anche dai primi autori di ambito fascista che rivalutano il paganesimo in chiave di maggior pluralismo si giunge alle giustificazioni e alle complicità col nazismo". Anche oggi si predica molto il pluralismo e il liberalismo: ma chi sarebbero i profeti di questa intolleranza dissimulata, faccia dei nomi? "Basta seguire certe polemiche sui mass media laici - risponde Introvigne -. Se devo indicare chi parla dello Stato laico sempre con una chiave polemica verso il cristianesimo direi Eugenio Scalfari, ma è solo la punta di un iceberg che in Europa ha voci anche più virulente. Sono ancora fresche nella memoria le reazioni di Scalfari quando i media hanno parlato del documento su Fatima o dopo la marcia gay: la sua apologia del pluralismo ha una vena sottilmente anticristiana. Non bisogna commettere però un errore di prospettiva, che consiste nel dire che tutti coloro che in qualche modo parlano di pacificazione tra le religioni e di gestione del pluralismo siano anticristiani. Il Papa stesso (anche recentemente ricevendo l'ambasciatore francese) ha parlato spesso del rispetto delle minoranze religiose". Per la storica Silvia Ronchey è difficile dire se Giuliano sia un profeta nascosto del laicismo contemporaneo, dato che non è certa se esista ancora un laicismo. "Sono molto scettica su questo mito - dice - che si è creato in epoche storiche molto ideologiche. Giuliano è il rappresentante di una forte ideologizzazione dello Stato che ha poco a che fare con la tolleranza pagana che, come scrissero Gibbon o Renan, s'identificava semmai in Marco Aurelio e gli Antonini. Allora esisteva uno Stato tollerante e un cristallo fatto di tante superstitiones, credenze diverse e tra queste anche il cristianesimo che era chiamato nova superstitio, nel senso non necessariamente spregiativo poiché superstitio era ogni fede contenuta in questo cristallo il cui vero nome era religio, non come la intendiamo oggi, bensì come legame con la natura, con la terra, tra gli uomini, col destino, una religiosità fatta di intenti etici e doveri sociali. Questa religio teneva in sé credenze, fedi, rituali". Ma Giuliano, che governa dopo Costantino, raccoglie i cocci del prisma. "Il cristallo - risponde la Ronchey - si spezza già prima di Costantino, anche se l'editto di tolleranza ne diventa la data emblematica, che poi si tradurrà a partire da Teodosio con una intolleranza di cui Giuliano è un degno rappresentante: il suo platonismo e il suo paganesimo sono, come si dice oggi, piuttosto trash. Chi ebbe, in fondo, come maestro? Massimo di Efeso, che era un costruttore di automi, un veggente, un simpatico cialtrone, un Rasputin del suo tempo. Se pensiamo alla cultura neoplatonica di Gregorio di Nazianzo, che demonizzerà poi Giuliano, capiamo la differenza di spessore e il grado minore di Giuliano". Le riprese di Giuliano in epoca illuministica sembrano precise. Lo Stato laico moderno dunque ha alla base una idea di tolleranza viziata... "Ma basta leggersi la voce "chiesa" nel Dictionaire, per capire che uno come Voltaire non avrebbe mai accettato uno Stato-chiesa come invece volle Giuliano che portava il diadema sacerdotale e il mantello del filosofo. Anche l'assunzione delle liturgie religiose nei riti rivoluzionari è lontanissimo da quell'idea di laicità che c'era nel vero paganesimo. Si tratta di settarismo e ideologizzazione dello Stato, ma questo è il contrario del laicismo".

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