Avvenire Venerdi 1 Settembre 2000 - Citato Gregorio di Nissa

Rassegna stampa

Dibattito. Le cime, una scoperta dell'umanesimo. No, della patristica... Due libri a confronto

Alpinisti sacri o profani?

Mentre Sofri chiede a Messner di salvare la religiosità dei monti dall'assalto di Haider,
l'arrampicata moderna cerca i suoi "fondatori": tra Leonardo e san Benedetto

Roberto Beretta

Petrarca come Haider. Hegel contro Adriano Sofri. Ma la montagna è "illuminista" o "cattolica"? Consumista o sacra? Verso dove ascendiamo, quando saliamo in direzione di un rifugio oppure di un laghetto alpino: verso Dio o verso la New Age? L'ex leader di Lotta continua Sofri impancava un recente articolo sul concetto che Messner e i veri alpinisti dovrebbero contrastare il "doppio sacrilegio" compiuto dal discusso politico austriaco Jorg Haider, quando si fa immortalare per fini elettorali sulla cima di un monte e con crocifisso di vetta alle spalle: un impeto di ribellione all'"Europa alpina e cattolica, bella e avara" in nome di un sacro più atavico, magari più pagano? Ma, quanto al fatto che le montagne siano un'espressione di per sé "religiosa" (lassù hanno sempre abitato gli dei, chi vi ascende s'avvicina al cielo, e via astraendo), adesso un libriccino di Eugenio Pesci - La montagna del cosmo. Per un'estetica del paesaggio alpino, Edizioni Cda, pp. 240, £. 25.000 - ci mette nello zaino qualche distinzione in più.

"La vista di questi massi eternamente morti a me non ha offerto altro che la monotona rappresentazione, alla lunga noiosa, del: è così": firmato Hegel (dopo aver visitato le Alpi bernesi). "Queste montagne elevate mi soffocano... fra le loro masse pesanti. Le montagne non sono belle che come orizzonti": così Chauteaubriand, reduce dal Monte Bianco, a Madame de Stael. Eh già: il "partito anti-montanaro" annovera fra i suoi adepti parecchi spiriti "elevati"; vedi Omero (monti "mostruosi fardelli della terra"), Michel de Montaigne, per non parlare del vescovo e apologeta Bossuet, che a metà del Seicento quasi "scomunica" le catene alpine come immagini del disordine e del peccato. Certo: nell'immaginario culturale di tutti i popoli e di ogni epoca sembrerebbe che le scalate facciano inevitabile coppia con l'ascesi; la purezza dell'aria con la trascendenza. Lo documenta pure un altro nuovo volume, La montagna e il suo simbolismo di Marie-Madeleine Davy (Servitium, pp. 202, £. 22.000): dai Padri della Chiesa ai guru induisti, dal Sinai al Fujiama, le cime sono sempre state una scala fra il mondo e Dio, un luogo di passaggio dalla materia allo spirito. "La virtù è cosa leggera e porta in alto" (Gregorio di Nissa); "L'uomo perfetto muore su una montagna" (Origene); mentre già la Genesi raccomandava: "Non fermarti in pianura". In realtà Pesci rinviene piuttosto gli antenati del moderno alpinismo (il cui atto di nascita, ascensione del Petrarca al Monte Ventoso a parte, egli individua nella spedizione militare di Antoine de Ville nel 1492 al Mont Aguille, metri 2097) in una cordata assolutamente "laica" che inanella, nell'ordine: umanesimo/rinascimento, illuminismo, una certa corrente del romanticismo e nichilismo. Le prove? Mentre fino al "cattolico" Medioevo prevale nell'immaginario popolare una visione orrifica dei monti, recetto di draghi e di pericoli per l'anima e per il corpo, è con gli umanisti che la considerazione del paesaggio alpino cambia radicalmente di segno: "L'alta montagna è una creazione dell'umanesimo, sia cattolico che protestante", può sostenere lo studioso Philippe Joutard. Ecco infatti Leonardo e il suo interesse scientifico per rocce e fossili, eccone precisi disegni delle Grigne e del Monte Rosa; ecco i primi viaggiatori-scrittori tipo Josua Simler (Zurigo 1574); ecco - un secolo dopo - gli scienziati-filosofi come Leibniz e la sua teoria cosmogonica e orografica. Del resto, è con intenti di ricerca che l'illuminista De Saussure promuove le prime spedizioni al Bianco (1786). Col romanticismo e con Nietzsche, invece, il monte diventa terreno in cui l'uomo può sperimentarsi e/o superarsi: a un passo da certe concezioni eroico-agonistiche dell'alpinismo moderno. "L'immagine della montagna che raggiunge le masse oggi - conclude Pesci - riproduce in sé modelli distanti nel tempo, spesso del tutto lontani per essenza, come quello retorico, eroico, atletico, bucolico". Un bel crepaccio insomma fra l'idea "religiosa" delle cime e l'attuale pratica dell'arrampicata, che pare nata da un incrocio tra il superuomo e l'Encyclopédie sotto gli occhi compiacenti di qualche sponsor... (Anche se per Pesci una certa ascetica si sarebbe salvata proprio nella leggerezza del free climbing: forse un po' troppo tecnologica, però, un po' orientaleggiante e "pagana"). Tutt'altro - comunque - rispetto al simbolismo benedettino invocato dalla Davy (non per nulla san Benedetto voleva che le sue abbazie fossero edificate sui monti), la quale rammenta anche la solida "montagna sacramento" degli eremiti e dei monaci o addirittura la teologia di Cristo come roccia. Secoli di faticosa cristianizzazione della cultura montana finiranno dunque in escursioni di massa alla New Age? Chissà. "Tutto ciò che sale converge", sosteneva ottimista Teilhard de Chardin. Non era Messner, ma...

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