Avvenire 21 Aprile 2000 - Citato Gregorio di Nissa

Rassegna stampa

Tradizioni. Longino, il soldato romano che trafisse il costato di Cristo

E il centurione inventò il Graal

Forse era emiliano e morì a Mantova Per gli apocrifi era cieco, guarì e si convertì
Divenne patrono della cavalleria ed entrò nel ciclo di Parsifal

Roberto Beretta

Dal Calvario al Terzo Reich, passando per la Cappadocia, Mantova e il Santo Graal. C'è un filo rosso che congiunge luoghi lontanissimi: un filo sottile di sangue prezioso. È la storia - leggendaria ma teologicamente istruttiva - di Longino, il centurione che trafisse il costato di Cristo. È la storia della sua mitica lancia: un oggetto che interessò addirittura Hitler.

L'ordine impone di principiar dai Vangeli: dove Longino - sia chiaro - non c'è. O, meglio, di Longini ce ne sono ben tre: il centurione che per i Sinottici assiste al trapasso di Gesù e subito proclama la sua fede ("Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!"); il soldato che secondo Giovanni colpisce il fianco del morto ("E subito ne uscì sangue e acqua"); infine il capo delle guardie poste al sepolcro perché i discepoli non trafugassero il cadavere. Sono queste le tre anonime figure che verranno unificate dalla tradizione (soprattutto occidentale) sotto il nome di Longino; anche se poi al leggendario veterano verranno attribuite pure altre funzioni, come quella di porgere la spugna imbevuta di aceto a Cristo o d'introdurre il condannando nella corte di Pilato. Longino - dicono quasi tutti i commentatori - deriverebbe dal greco longké, lancia. Quell'asta, però, non era un'arma qualunque, bensì l'insegna del potere regale; e colui che la recava rappresentava sul Calvario l'autorità al massimo grado. Anche per questo il nome di Longino compare con tanta frequenza negli apocrifi: dal cosiddetto "Ciclo di Pilato", in cui il milite impersona il buon alleato di Procla (la moglie del proconsole romano) per convincerlo a non uccidere Gesù; al Vangelo di Nicodemo o a quello di Gamaliele: che però parla più genericamente di un "lanciere" e di un "capitano" guercio, il quale - venuto a contatto col sudario di Cristo – guarisce istantaneamente e si converte.

Il "feritore" del cuore di Gesù che resta "ferito" nello spirito: è una tradizione ovunque radicata, benché in versioni diverse. Secondo la Legenda aurea, per esempio, Longino avrebbe perso la vista per punizione dell'aver colpito il corpo santo di Cristo, riacquistandola però subito dopo essersi bagnato col sangue che colava dalla lancia stessa (curioso: secondo il mito greco, anche la lancia di Achille aveva il potere di sanare le ferite che causava). Secondo altra variante, invece, il pio Longino era già ciecuziente (tuttora, in alcuni dialetti della Calabria, una persona con gli occhi sfregiati è ceculancinu) e si guadagnò la guarigione perché impedì che a Gesù fossero spezzate le gambe come ai due ladroni: prevenne infatti i soldati e colpì il defunto col famoso pilo, alla "nobile" maniera usata dai romani per constatare il decesso d'un nemico sul campo di battaglia. Lo spagnolo Miguel de Unamuno propende per questa seconda ipotesi nel suo Cristo di Velazquez (1920): "Fu Longino cieco che nulla vide... e di quel sangue lorde le mani, alzatele, sul viso se le recò, toccò e aperse gli occhi... in te credé: fu salvo".

Comunque sia - gesto temerario o atto di rispetto - l'effetto di quel colpo di lancia fu il medesimo: il rispetto delle profezie (Salmi: "Non gli sarà spezzato alcun osso", e Zaccaria: "Guarderanno colui che avranno trafitto"), nonché un lavacro di sangue che ridona il lume, agli occhi e all'anima. In seguito al miracolo infatti Longino si converte, viene battezzato dagli apostoli, lascia l'esercito e torna nella natìa Cesarea di Cappadocia, dove vive santamente per trent'anni da monaco - o fors'anche vescovo - morendo infine decapitato e martire (altra versione: accusato per invidia dagli ebrei a Pilato, viene da questi fatto uccidere). Cosicché già Gregorio di Nissa chiama Longino evangelizzatore della Cappadocia.

Esiste però un altro filone, tutto italiano. Il buon Longino avrebbe avuto infatti origini emiliane, perché la X Legione - allora di stanza in Palestina - faceva la sua leva appunto in quella zona; il suo vero nome era Caio Cassio - nota bene: un Cassio Longino è citato nella Guerra Giudaica di Giuseppe Flavio come repressore di una rivolta palestinese nel 53 a.C.-, mutato in Longino col battesimo. Subito dopo il quale l'ex militare sarebbe ritornato in padania, portando in una cassetta di piombo la terra del Golgota impregnata del sangue di Cristo e la spugna da cui Gesù bevve l'aceto.

Nel 36 d.C., narra una cronaca del XII secolo, Longino sotterrò il suo tesoro nell'orto dell'ospizio dei pellegrini a Mantova; quindi si dedicò alla predicazione, subendo il martirio il 2 dicembre del 37. Il suo corpo fu sepolto accanto all'urna delle reliquie (guarda caso, in una località detta Cappadocia): proprio dove oggi sorge la basilica di Sant'Andrea che - in una cappella affrescata da Giulio Romano - conserva tuttora il sarcofago coi resti di san Longino. Le reliquie mantovane del "lateral Sangue di Cristo" vennero riscoperte una prima volta nell'804 e definitivamente nel 1048, attirando un impressionante flusso di illustri pellegrini, papi da Leone III a Giovanni Paolo II, e imperatori da Carlo Magno a Enrico III e Carlo V...

Ma il culto a Longino era attestato già dal IV secolo, epoca in cui il suo nome ricorre in iscrizioni sacre su amuleti e capitelli e la sua festa entra nei martirologi sotto la data del 15 marzo. Longino è anzi un santo molto considerato; a tal punto che nel Seicento la sua statua colossale, scolpita da Gian Lorenzo Bernini, poteva essere collocata in una delle 4 logge "delle reliquie" in San Pietro a Roma, immediatamente a ridosso dell'altar maggiore. Insieme al velo della Veronica, infatti, alla croce ritrovata da sant'Elena e al cranio di sant'Andrea, proprio la punta della lancia del vecchio Longino viene considerata una delle "reliquie maggiori" e dei tesori spiritualmente più preziosi della Basilica vaticana, a cui venne donata dal sultano turco Bayazid II alla fine del XV secolo.

Roma, peraltro, non è l'unica città a vantare il possesso della prestigiosa reliquia. Un'altra punta di lancia stava a Parigi nella regale Sainte Chapelle: giunse in Francia nel 1214 da Costantinopoli come pagamento di un debito al santo re Luigi IX, interessò Tommaso d'Aquino e scomparve durante la Rivoluzione francese.

Un terzo frammento di lancia, conservato a Gerusalemme, finì nel 615 nel bottino del conquistatore persiano Cosroe II ma fu ripresa dall'imperatore bizantino Eraclio e riposta nella chiesa del Santo Sepolcro nel 629. Un'altra lancia è conservata dai cristiani armeni: sarebbe quella trovata ad Antiochia da Pietro l'Eremita durante la prima crociata nel 1098. L'ultima, quella detta di Norimberga, reca incorporato un chiodo della croce di Cristo, fa parte del tesoro degli Asburgo e forse fu usata per le incoronazioni imperiali; oggi è conservata a Vienna ed è la stessa cui s'interessò molto da vicino Hitler.

Gli Asburgo, i re di Francia, i Papi, Hitler... Perché tanto coalizzato interesse dei "potenti" intorno alla lancia di Longino? Ma perché essa toccò il sangue di Cristo e gode quindi dei suoi misteriosi poteri: come il Graal. Non a caso c'è chi, nel Parsifal di Chrétien de Troyes, ha chiamato Longino lo scudiero che apre il Corteo del Graal recando un'asta stillante sangue. In mancanza della favolosa coppa che avrebbe raccolto il liquido vitale di Cristo in croce, ecco dunque svilupparsi nei secoli una "cerca" cavalleresca sulle tracce dell'asta di Longino. Il quale, del resto, secondo una curiosa tradizione iconografica tedesca era cavaliere lui stesso e nel Medioevo - insieme a san Giorgio e all'arcangelo Michele - veniva spesso invocato come protettore della cavalleria. Il contatto col sangue incorruttibile di Cristo poteva rendere invincibili in battaglia e legittimava l'autorità dei sovrani, se non prometteva addirittura il dominio del mondo. Proprio questo, secondo Trevor Ravenscroft che sulla Lancia del destino (Mediterranee) ha scritto un saggio fitto d'occultismo, sarebbe stato l'intento di Hitler quando - poco dopo l'annessione dell'Austria – fece trafugare la lancia degli Asburgo come una sorta di "amuleto del potere" già passato tra le mani di Costantino, Teodorico, Ottone il Grande, Barbarossa... Ma, lasciando perdere le incerte e inquietanti interpretazioni esoteriche (anche René Guénon ricorda la complementarietà tra l'arma di Longino e il Graal), la "santa lancia" resta pur sempre lo strumento con cui fu aperta la feritoia alla quale s'aggrapparono l'incredulo san Tommaso e le mistiche in estasi, la quinta piaga di Cristo da cui sono zampillate le interpretazioni eucaristiche della patristica e la devozione al Sacro trafitto Cuore.

Nel 1930 l'ortodosso Sergei Bulgakov gli dedica un sorprendente saggio. Il sangue e l'acqua sgorgati dal costato - scrive il teologo - sono gli unici resti corporei di Cristo che "siano rimasti in questo mondo" anche dopo la sua assunzione in cielo. Il Golgota se ne impregna e così "il mondo intero diventa il Santo Graal, perché ha ricevuto e contiene il prezioso sangue e l'acqua di Cristo, ne è il calice... Tutto il sangue e tutta l'acqua di Cristo, colati sul mondo, l'hanno santificato... l'hanno preparato alla trasfigurazione futura... Il mondo è divenuto indistruttibile e incorruttibile". Longino: altro che Parsifal.

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