La Lunga Estate del '63

capitolo 1

 

Il primo tiepido sole di Giugno, ci trovò come al solito seduti sulla traballante panchina situata sotto l’ormai ombroso viale che conduce dalla stazione verso la piscina comunale; si, proprio li, di fronte la casa di Beppe, per gli amici “Pipen”.

Quel sabato pomeriggio c’eravamo proprio tutti: Pipen, Piero lo Smilzo, Giancarlo detto Scià, Paolo detto Ga, Ennio detto Rospo, Agusten ed io, Gianni.

L’interminabile anno scolastico era fortunatamente terminato e per tutti noi, l’esito era stato sufficientemente positivo,  ci aspettava quindi una formidabile, divertente, entusiasmante e lunga estate, si; La lunga estate del 1963.

Si doveva decidere come passare la serata e le varie proposte si susseguivano; “ Andiamo au Giason (soprannome del vecchio cinema Dante ed attuale cinema Corso) a far casino” propose Ennio Rospo,” Questa sera è in programmazione Maciste contro tutti, ci divertiremo”.

“Andiamo a suonare i campanelli nei palazzi” propose Paolo Ga.

“Andiamo a rubare l’insalata negli orti dei ferrovieri” disse Giancarlo Scià, ma anche questa proposta non ci entusiasmò.

Mentre si stava discutendo sul da farsi, arrivò Gianni Conti che, dopo essersi seduto accanto a noi disse: “Mi è venuta un’idea esagerata”. Lo guardammo con interesse e lo incitammo ad esporci il suo programma.

Dopo qualche istante di voluto silenzio per aumentare la nostra attenzione continuò: “Sono riuscito a procurarmi le cariche della pistola sparachiodi di mio zio (che faceva il carpentiere) e questa sera potremmo andare a farle esplodere sul greto del Tanaro dietro la piscina”.

Al suono di quella proposta i nostri occhi si misero a brillare di gioia e la proposta accolse la totalità dei consensi.

Nel frattempo erano giunte le 18,30, ora canonica del ritorno a casa per la cena.

Ci salutammo e ci demmo l’appuntamento per le ore 21 sempre sotto il viale.

 

La serata era fresca e tutti quanti ci trovammo all’appuntamento abbondantemente in anticipo rispetto l’ora stabilita indossando giubbotti tipo “BLUSON NOIR”.

Gianni Conti, arrivò tutto euforico con una scatola rossa sotto il braccio; stava per iniziare l’avventura.

Ci dirigemmo in gruppo verso la piscina ed ivi giunti, scendemmo dalla riva del Tanaro verso il greto del fiume.

Era buio pesto e faceva abbastanza freddo perché il tiepido vento del giorno, aveva cambiato direzione e spirando da nord, aveva fatto scendere notevolmente la temperatura.

Giunti sul greto del fiume, iniziammo le operazioni.

Paolo Gà, munito di coltellino SVIZZERO MULTILAME, tagliò alcuni arbusti secchi e ne fece un fascio, munito di torcia elettrica, Agusten, indicò il luogo dove io ed Ennio Rospo accatastammo i rami.

Mentre erano in corso i preparativi, Piero lo Smilzo, che era di vedetta sulla riva, scese di corsa per avvisarci  che stava giungendo qualcuno.

Ci riunimmo e ci nascondemmo poco oltre in mezzo alle frasche.

Giancarlo Scià ebbe una grandiosa idea:

“Accendiamo il fuoco, quindi, rimanendo nascosti, attendiamo che l’ignaro passante si avvicini a curiosare e noi dal nascondiglio lanciamo le cartucce nel falò”.

“Formidabile” gridammo all’unisono ed, in men che non si dica, il fuoco ardeva vivo e scoppiettante.

Piero lo Smilzo, che era tornato di vedetta, ci comunicò con gesti disarticolati, che l’ignaro passante stava accingendosi a scendere sulla riva del fiume e, dopo questa informazione, ci raggiunse carponi.

La nostra bravata stava poco a poco compiendosi.

L’uomo dall’apparente età di settant’anni circa, un poco malfermo sulle gambe, iniziò la discesa probabilmente per andare ad espletare un urgente bisogno corporale ma, attratto dal fuoco e mosso da curiosità, ivi si diresse.

La nostra euforica tensione stava raggiungendo il suo apice.

Gianni Conti dopo aver aperto la scatola rossa, diede ad ognuno di noi una manciata di lucenti capsule.

Nel frattempo l’ignara vittima, con un bastone stava rovistando fra gli sterpi ardenti.

Era giunto il momento magico; lanciammo nel fuoco la prima capsula, pochi istanti dopo una seconda, una terza; iniziarono i botti, uno dopo l’altro, forti, potenti, consecutivi.

La nostra euforia era al massimo e l’uomo era immobilizzato dalla sorpresa e dalla paura.

Gettammo tutte le capsule nel rogo ed iniziarono i fuochi d’artificio.

Non ancora soddisfatti di quanto era stato fatto, tutti a tempo uscimmo dal nostro nascondiglio e gridando come pazzi ci dirigemmo correndo verso il malcapitato che, dopo essersi leggermente ripreso, cominciò ad apostrofarci con epiteti degni della migliore scuola alessandrina coinvolgendo con le sue parole parecchie nostre generazioni.

Ci allontanammo correndo a gambe levate, l’uomo però, stranamente non si mosse; probabilmente aveva espletato il suo impellente bisogno corporale, stimolato dalla paura, ritto in piedi e soprattutto senza calarsi i calzoni.

 

La nostra corsa finì nei pressi del bar Zerbino, era passata da poco la mezzanotte e nel bar c’erano pochi avventori quindi non entrammo.

Ci guardammo soddisfatti, la bravata era perfettamente riuscita e la nostra vittima non avrebbe mai potuto riconoscere.

Attraversammo i giardini pubblici e ci dirigemmo verso c. Roma per tornarcene a casa.

L’euforia ormai era spenta e camminavamo in ordine sparso.

Giancarlo Scià dava calci ad una lattina vuota assumendo atteggiamenti alla Gianni Rivera, Ennio Rospo e Gianni Conti illudendosi di imitare i Beatles, lanciavano al vento ululati da veri cani di razza, Smilzo, Gà, Agusten ed io, discutevamo animosamente facendo l’impari confronto tra le tette di Rita Pavone (misere misere) e quelle di Margaret Lee (sempre presente nei nostri sogni erotici di sbarbati quindicenni).

Giungemmo così in P. Savona (p. Garibaldi), ci stavamo salutando, quando sentimmo due voci che ci stavano chiamando.

Erano Franchen Vottero e Gianni Adone Vittadelllo, i due baristi del bar Zerbino che avevano da poco terminato il loro turno di lavoro.

Si avvicinarono e dopo averci salutato dissero:

“Domani aprono la piscina comunale, noi andiamo, venite anche voi?.