PETER EISENMAN - Architettura critica

Progetto per uno stadio-centro congressi a Mesa, Arizona
Nell' articolo riportato su CASABELLA, n.673/674 dicembre 1999, Eisenman spiega le ragioni e i percorsi che sono alla base di questo progetto. Il tema dello stadio gli permette di confrontarsi con esperienze quali lo spettacolo, lo spettatore, il tempo, in un continuo rimando tra reale e virtuale. Scavando all'interno di questi concetti, arriva a quella che considera <<architettura critica>>.
Eisenman ragiona sulla funzione dello spettatore, dell'osservatore. Questo nello spettacolo, "e' rimosso dal presente" entra nello spettacolo, e' un tutt'uno con questo. Inoltre esiste un osservatore virtuale: e' un dirigibile che Eisenman immagina di far librare sulla struttura e che e' un occhio onnipresente.
Lo spettatore esiste quale presenza indefinita piuttosto che come pubblico reale, lo spettacolo diventa un evento mediatico.
"Una volta che lo spettatore comincia a simulare di essere spettatore, una volta che il contenitore non sia che un palcoscenico per la rappresentazione, lo spettacolo si riduce a mera costruzione di immagini".
Un concetto fondamentale analizzato e' il tempo. In questo spazio si produce un tempo che e' staccato dalla esperienza fisica dell'osservatore, ne deriva una distinzione tra tempo reale e tempo virtuale.
Esiste un tempo cronologico dell'architettura e quello virtuale della rappresentazione nel quale e' immerso anche l'osservatore.
"Il nuovo spazio puo' creare una condizione di oscillazione, una condizione intermedia che mette in discussione la realta' nello stesso tempo in cui e' realta': lo spazio non si conforma piu' alla funzione meccanica, ma mette in discussione la funzione".
Per creare questa condizione Eisenman parte non dalla costruzione a forma di stadio ma affronta la questione dal suo aspetto: "se non dovesse apparire come stadio".
Non parte dalla forma precostituita di stadio, nega la forma gia' data.
Il suo stadio e' un fluire di linee che evocano le dune del deserto (quello dell'Arizona nel quale e' inserito).
E come le dune si muove e si modifica continuamente, con le strutture tensili di copertura che si aprono e chiudono come un diaframma. Eisenman conclude:
"Una architettura critica deve permettere esperienze inattese e inintenzionali, letture diverse da parte di soggetti diversi, non puo' mirare a fornire la stessa esperienza a ogni osservatore. Non puo' essere ripetizione della stessa cosa ma deve essere ripetizione di differenze.
Si e' disgiunta immagine e funzione dello stadio, e questo concetto di disgiunzione ha prodotto una nuova autonomia dell'oggetto architettonico".
Da queste analisi si possono scorgere in trasparenza delle attinenze con il percorso di Terragni. Anch'egli possiamo pensare che affronti la questione dall'aspetto: " se [il Novocomum] non dovesse apparire come edificio classico".
Anche Terragni nega la forma precostituita, gia' data, monumentale.
Compie operazioni di disgiunzioni tra funzione e forma. Rende autonoma l'architettura, liberandola da una monumentalita' classica legata a una certa funzione come nella Casa del Fascio.
Terragni contempla nei suoi progetti lo stupore dell'inatteso, del non programmato, che e' l'essenza dell'esperienza architettonica secondo Eisenman. Le sue architetture inducono a girarvi intorno per un continuo disvelamento, perche' ogni superficie e' diversa, e' nuova. In questo modo quella di Terragni e' sicuramente una architettura critica.
Giuseppe Mosetti


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