ARCHITETTURE IN MOVIMENTO
Nel riflettere sull'architettura dell'informazione, su quelli che potrebbero essere
possibili spazi della societa' informazionale, osservando le ricerche e le direzioni
su cui si muovono grandi architetti, ha attratto la mia attenzione un progetto
dello studio Diller e Sconfidio.
Si tratta del progetto di una istallazione permanente per il Moscone Convention
Center in San Francisco, ( Casabella 673/674, dicembre 99).
Il progetto prevede di realizzare un grande schermo piatto a led, lungo 9 m. e
alto 4,5 m, che scorre lentamente lungo la facciata a vetri del centro congressi.
Allo schermo e' collegata una telecamera puntata verso l'interno dell'edificio,
dando ai passanti in strada accesso visivo agli spazi del centro, ma con effetto
ingrandito e deformato. L'effetto ricorda quello che succede passando una lente
di igrandimento su un testo.
Nell' altra faccia dello schermo, sono invece proiettati testi elettronici per
chi si trova all'interno dell'edificio.
Mano mano che il congegno si muove, l'immagine passa dalla trasmissione "dal
vivo" a filmati preregistrati che si sovrappongono, generando spazi reali
e ingannevoli.
Questo sistema mobile diventa ora lente d'ingrandimento, ora scanner, ora schermo
illusorio.
La facciata cosi' si anima, " esiste" perche' "comunica".
Racconta quello che succede nel suo interno, diventa un continuo fluire di immagini
deformate che si perdono come onde.
Chi e' all'esterno, in strada diventa parte attiva, e' coinvolto in questo gioco.
In questo modo l'architettura non e' mai la stessa, e non e' mai immobile, sempre
modellata da chi vi e' all'interno. Non e' nuovo l'uso della facciata come schermo
di proiezione, ma in questo progetto, e' lo stesso ambiente interno che viene
"esploso" all'esterno in una dimensione diversa e illusoria. Si perde
il significato del dentro e fuori, dentro cosa e fuori da dove?
Una architettura che non e' piu' statica ma sempre in movimento, dinamica,
in-formazione, mai uguale, che si modifica anche "nel tempo". Come le
coperture dello stadio di Eisenman in Arizona, mobili come le dune nel deserto.
Come i diaframmi nella facciata dell'Istituto del Mondo Arabo di Jean Nouvel,
che variano con la luce.
Non si tratta piu' di una architettura che induce l'osservatore a girarvi intorno,
ma e' essa stessa che "ruota" intorno all'osservatore, che "gli
va incontro".
E' la volonta', la tensione dell'architettura di conquistare nuove dimensioni,
di interagire con l'osservatore di coinvolgerlo di raccontargli anche di cose
drammatiche come il museo ebraico di Libeskind.
Sembra quasi l'architettura senta drammaticamente l'esigenza di comunicare, di
raccontare, in tutti i modi, di esistere. Senta la necessita' di coinvolgere l'uomo,
di lasciarlo stupito, e renderlo partecipe nei suoi spazi, asplodendo verso l'esterno
senza piu' tracciare confini, e questo lo aveva gia' capito Terragni oltre settanta
anni fa.
Giuseppe Mosetti