EUCLIDE
 

 

 


Tra le figure più eminenti della scuola alessandrina, emerge indiscussa quella di Euclide. Della sua vita si sa molto poco; sotto il regno di Tolomeo I, nel 300 a.C., insegna ad Alessandria, occupandosi di matematica, astronomia, ottica e musica. È probabile che sia stato educato ad Atene nella scuola platonica e che sia arrivato in Egitto attratto dalla fama della scuola alessandrina. Alla sua misteriosa figura sono legati numerosi aneddoti. Al re Tolomeo che gli chiede se non esista un modo più semplice e più comodo per imparar e la geometria, Euclide risponde orgogliosamente che "non esiste una via regale che porti alla geometria", sottolineando con questa frase che la conquista del sapere è frutto di impegno e di fatica a cui non possono sottrarsi nemmeno i potenti. E al discepolo che gli domanda a che cosa serva la geometria dà una moneta come compenso della sua attività di discente, a significare che il sapere è solo una conquista interiore che non ha uno scopo utilitaristico e materiale.

Di Euclide è rimasta un'opera colossale, gli “Elementi”, composta di tredici libri in cui sono raccolte ed esposte con sistematicità e rigore logico tutte le conoscenze matematiche sino ad allora acquisite.

L'opera inizia, nel I Libro, con una introduzione nella quale vengono presentati definizioni, postulati e nozioni comuni. Euclide si preoccupa immediatamente di chiari

re quali elementi ideali intervengono e dà alcune definizioni. "Un punto è ciò che non ha parti", "una linea è una lunghezza senza larghezza": con queste due proposizioni l'autore esordisce e non tanto con l'intenzione di definire in modo rigoroso il punto e la linea (concetti che più tardi, peraltro, verranno assunti come primitivi, cioè non definibili scientificamente) ma con lo scopo di delineare fisicamente ciò di cui parla.

Altre definizioni riguardano la perpendicolarità e il parallelismo: "Quando una retta innalzata su un'altra retta forma gli angoli adiacenti uguali, ciascuno dei due angoli è retto e la retta innalzata si chiama perpendicolare alla prima"; e ancora: "parallele sono quelle rette che, essendo nello stesso piano e venendo prolungate illimitatamente dall'una e dall'altra parte, non si incontrano da nessuna delle due parti". Definisce poi i poligoni, che chiama figure rettilinee, e in particolare i triangoli e i quadrilateri, nonché il cerchio con i suoi elementi caratteristici.

L'autore passa poi a elencare cinque “postulati” e cinque “nozioni comuni” (o “assiomi”). Attualmente non si fa più distinzione tra il postulato e l'assioma; entrambi i termini indicano affermazioni non dimostrabili, da accettare come vere.

Aristotele aveva invece assegnato alle due espressioni significati diversi: entrambe sono affermazioni indimostrabili, ma solo i postulati, e non gli assiomi, dovevano possedere un'intrinseca caratteristica di evidenza.

È evidente che, in riferimento a queste proposizioni, la parola "uguale" deve essere intesa in senso lato, potendosi riferire, per esempio, a uguaglianza di area e non a uguaglianza di forma.

Nel I libro Euclide espone poi i teoremi sulla congruenza dei triangoli (i “criteri” di congruenza), i teoremi sulle proprietà delle rette parallele e sui parallelogrammi, la dimostrazione sulla somma delle ampiezze degli angoli di un triangolo e un'originale dimostrazione del teorema di Pitagora.

II libro è sostanzialmente dedicato alla “algebra geometrica” che all'epoca sopperiva alla mancanza dell'attuale algebra simbolica; al tempo di Euclide, infatti, le grandezze erano pensate e rappresentate solo da segmenti e non, come oggi, da lettere sulle quali operare algebricamente. Attraverso quattordici proposizioni vengono introdotte, e quindi dimostrate avvalendosi di strumenti e ragionamenti meramente geometrici, regole algebriche quali:

 

a* (b + c + d) = ab + ac + ad,

 (a + b)2 = a2 + 2ab + b2

oppure:

a2 - b2  = (a + b) *  (a - b).

 

Certo gli enunciati, e le relative dimostrazioni, oggi non possono che apparire decisamente prolissi, ma la loro validità assumeva una notevole oggettività grazie alla visualizzazione dei concetti espressi. I libri III e IV trattano le proprietà del cerchio (certamente avvalendosi ampiamente dell'operato di Ippocrate) e dei poligoni regolari inscritti e circoscritti a un cerchio.

Il V libro sviluppa la teoria delle proporzioni già elaborata da Eudosso: è presumibile che Euclide non si sia limitato a presentare il lavoro compiuto dal matematico di Cnido ma vi abbia aggiunto importanti contributi.

Nel VI libro, applicando alla geometria quanto viene trattato nel V libro, si occupa dei poligoni simili, con una generalizzazione del teorema di Pitagora per la quale la somma delle aree di due figure simili costruite sui cateti di un triangolo rettangolo è uguale all'area di una figura, simile alle prime due, costruita sull'ipotenusa .

La vastità degli argomenti trattati da Euclide nei primi sei libri e la precisione logica con cui vengono affrontati è certamente sorprendente, ma l'ammirazione per l'opera del matematico alessandrino aumenta con la lettura dei successivi tre libri che sono di carattere aritmetico. In essi Euclide espone la teoria dei numeri interi, si occupa dei numeri (dimostrando che sono infiniti) e fornisce un procedimento per il calcolo del Massimo Comun Divisore.

Ovviamente, per quanto già detto, anche in questi libri ogni numero è rappresentato da un segmento. Nel X libro, che è certamente il più complesso, partendo dai concetti di commensurabilità, l'autore affronta con puro linguaggio geometrico questioni riguardanti lo studio di forme irrazionali quadratiche e biquadratiche, cioè di forme che utilizzando il linguaggio simbolico oggi scriviamo:

 

      

 

con a e b, se sono della stessa dimensione, commensurabili. Nei libri XI, XII, XIII si occupa principalmente di geometria solida, riproponendo il metodo di Eudosso per il calcolo di aree e volumi e concludendo di conseguenza con lo studio dei poliedri regolari.

I primi quattro postulati di Euclide sono:

1) si possa condurre una linea retta da un punto qualsiasi a un altro punto qualsiasi;

2) si possa prolungare indefinitamente un segmento;

3) si possa descrivere un cerchio con qualsiasi centro e qualsiasi raggio;

4) tutti gli angoli retti siano uguali tra loro.

Le cinque “nozioni comuni” elaborate da Euclide sono le seguenti:

1) cose uguali a una stessa cosa sono uguali anche tra loro;

2) se cose uguali sono addizionate a cose uguali, le totalità sono uguali;

3) se cose uguali sono sottratte da cose uguali, i resti sono uguali;

4) cose che coincidono l'una con l'altra sono uguali l'una all'altra;

5) il tutto è maggiore della parte.

Il presupposto essenziale dell'opera di Euclide è costituito dall'introduzione di “enti geometrici non definibili” (punto, retta, piano), da definizioni di altri enti derivati da questi e dall'accettazione delle nozioni comuni e dei postulati.

A proposito del parallelismo tra rette nasce una questione che merita attenzione. Euclide ha dimostrato che certe relazioni tra gli angoli formati da due rette con una trasversale, permettono di stabilire il parallelismo. Euclide perviene quindi alla tesi che date due rette tagliate da una trasversale, se le ampiezze degli angoli coniugati interni che esse formano hanno per somma 180° le due rette sono parallele.

Quando però tenta di invertire il teorema, cioè di provare che l'ipotesi "le rette sono parallele" conduce alla tesi "gli angoli a e b hanno ampiezze che sommate formano un angolo piatto", fallisce nel suo intento. Del resto Euclide si rende conto che l'accettazione di questa affermazione è fondamentale per tutte le proprietà che ne derivano, per cui è "costretto" a chiedere che la sua validità sia assunta come postulato.

È il 5° postulato del I libro che dice che “due rette tagliate da una trasversale si incontrano dalla parte in cui la somma degli angoli coniugati interni a e b è minore di un angolo piatto”.

Ora, per quanto evidente possa apparire questa proprietà, si tratta di un'affermazione che non solo sfugge a una dimostrazione logica, ma risulta anche di difficile verifica sperimentale, dato che il prolungamento delle rette fatto con un disegno su un foglio, anche grande, potrebbe rivelarsi impraticabile a causa delle dimensioni, ovviamente finite, del foglio stesso.

Il 5° postulato è stato modificato in forme equivalenti. La più nota è quella in cui si ammette l'unicità della retta parallela a una data e passante per un punto a essa esterno.

Ai matematici venuti dopo Euclide l'accettazione di questa proposizione come postulato sembro una lacuna nella perfezione dell'opera euclidea e, convinti che il geometra alessandrino non ne fosse stato capace, si affannarono per secoli nel tentativo di trovare una dimostrazione. Ma senza alcun risultato.

La questione e stata risolta nel secolo scorso: “il postulato di Euclide è indimostrabile, o si accetta o si nega”.

L'accettazione del postulato implica evidentemente la validità della geometria euclidea; la negazione il suo rifiuto. Ma se si nega il 5° postulato con che cosa si può opporre, in alternativa, alla tradizionale geometria euclidea?

L'aspetto più interessante di questa disquisizione consiste proprio nella risposta a questa domanda: sostituendo il 5° postulato con proposizioni che lo negano, nascono nuove geometrie, logicamente ineccepibili anche se sono poco vicine alla nostra intuizione.

Molto importanti sono anche i due teoremi sui triangoli rettangoli.

Il primo teorema di Euclide enuncia che:

“in un triangolo rettangolo ciascun cateto è medio proporzionale tra l'ipotenusa e la proiezione dello stesso cateto sull'ipotenusa”.

Con una diversa formulazione si può anche dire che:

“in un triangolo rettangolo il quadrato costruito su uno qualsiasi dei cateti è equivalente al rettangolo che ha per dimensioni l'ipotenusa e la proiezione dello stesso cateto sull'ipotenusa” .

Il secondo teorema ci dice che:

“in un triangolo rettangolo l'altezza relativa all'ipotenusa è media proporzionale tra le proiezioni dei cateti sull'ipotenusa”.

Oppure, usando una diversa versione:

“in un triangolo rettangolo il quadrato costruito sull'altezza relativa all'ipotenusa è equivalente al rettangolo che ha per dimensioni le proiezioni dei cateti sull'ipotenusa”.