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Premessa
Dopo l’avventura del Mondiale e dopo un’estate di finto riposo, riprendono le avventure sedentarie del Mago, del Cinico e del Savio. Con la loro passione per il calcio (e per lo sport, più in generale) e quella per la vita, tornano a dar voce a un diario fatto di rari eventi e lunghe conversazioni.
Chi non ha seguito i diari mondiali, dovrà imparare a conoscere pian piano i tre protagonisti, che altro non sono che scissioni dell’animo dell’autore: il Mago sognatore e idealista, il Cinico razionale e disilluso, il Savio informato e analitico. Ciascuno con i propri travagli, i dubbi e le contraddizioni, oltre che con la compagnia delle rispettive mogli che fanno di frequente capolino nella storia. Per i neofiti non sarà inutile, avendono il tempo, provare ad approcciare preliminarmente qualche pagina dei diari mondiali, soprattutto nei primi capitoli, per meglio inquadrare fin da subito le caratteristiche peculiare dei tre protagonisti.
Chi invece è dall’inizio nostro compagno di viaggio, sappia fin d’ora che alcune cose cambieranno, rispetto all’avventura mondiale. Il diario non sarà più quotidiano, ma avrà una cadenza di due o tre puntate settimanali. La scena non sarà più rigidamente limitata alla casa del Mago, riedizione della villa decameroniana, che ha fatto da unico sfondo a tutta l’avventura mondiale.
Resta invece invariata la possibilità di interagire con la storia e con i protagonisti. Chi vorrà farlo, potrà apporre il proprio commento alla puntata. Le parti più interessanti verranno riprese, sceneggiate e inserite nel diario, nel quale compariranno, come attori, gli amici che avranno voluto far sentire la loro voce.
Non essendoci più un filo conduttore preciso, con un inizio e una fine come fu per il mondiale di calcio, l’avventura seguirà binari meno prevedibili, e sarà l’autore dei diari a decidere, in base all’evoluzione narrativa, quando chiudere questa storia.
In attesa, ovviamente, di iniziarne quanto prima un’altra.

Zucche vuote
(...) Stavano allegramente cenando, quando hanno sentito improvvisamente animarsi il pianerottolo a pochi metri da loro. Si è sentito il suono attutito del campanello dei vicini, seguito da una giovanissima vocetta fessa e cantilenante che recitava «Dolcetto o scherzetto?» senza entusiasmo né attesa. (...) Quando hanno avuto la certezza che i bambini erano scivolati a un altro piano, i tre si sono finalmente rilassati. «È così tutti gli anni – si è lamentato il Mago – Da qualche tempo bisogna barricarsi, la vigilia di Ognissanti, per evitare di sottoporsi alla tortura di questi imbecillotti che festeggiano una cosa che neppure loro sanno cosa sia. Non li sopporto. Sono totalmente imbesuiti di mode e costumi appiccicati a forza. Sono privi di qualunque senso critico. Ma avete sentito con che tono rituale e annoiato quel bambino faceva la sua richiesta?».
La Pasionaria ha dato sulla voce al suo compagno. «È inutile che te la prendi con i bambini. Io me la prendo piuttosto coi genitori e, ancor di più, con le scuole. Ma vi rendete conto che questi cazzo di insegnanti, che si lamentano sempre di non avere tempo per svolgere tutte le importanti attività educative di cui sono investiti, dedicano giornate intere a scavare zucche e preparare maschere di mostriciattoli?» ha concluso irosamente, memore delle resistenze che i maestri oppongono alle proposte di laboratori formativi presentate dalla sua associazione in tema di educazione allo sviluppo. (...) Il Mago, invece, ha voluto correggere la rotta della moglie. «Non è tanto una questione di americanismo – ha puntualizzato sconsolato – Il problema è che ogni occasione è buona per imporre le più stupide mode consumistiche. Si assiste a un costante lancio o rilancio di festine e ricorrenze prive di senso e di ancoraggio. Dai papà alle mamme, dai nonni agli innamorati, alle importazioni esterofile come Halloween. Tutto fa brodo per organizzare feste costose, vendere costumi, spacciare gadget e memorabilia. Questo è il nuovo mercato delle zucche, diventate una componente del fantasy orrorifico che si nutre di maghetti, streghe, morti deambulanti e altra paccottiglia. Solo per fare affari puntando, come sempre, sulla fascia più debole e condizionabile: i bambini».(...)

Derby
(...)«Parliamoci chiaro – ha esplicitato il Mago – Questa è la sera del derby. Tutto il resto è puro ornamento». «Sì – ha confermato il Savio – Peccato che, nell’insieme, non si sia vissuta veramente un’atmosfera da derby. Non c’è quell’attesa spasmodica, quell’inseguirsi di sfottò e provocazioni, quel tambureggiare mediatico che dovrebbe circondare una partita di questa portata».
Il Mago si è sfregato la fronte. «Peccato davvero – ha commentato – perché il derby d’andata è il derby vero. È quello che apre il cuore alla speranza, quello che vede di solito affrontarsi due squadre ancora convinte di poter far bene, quello che lancia verso un futuro radioso il vincitore. Il derby di ritorno, al confronto, è una partita priva di magia. (...)». Così ha ripreso il filo: «L’andata, invece, è il tempo della speranza. Le due squadre si apprestano alla sfida con le loro possibilità intatte o quasi: se anche c’è qualche punto di distacco, è l’occasione buona per chi sta dietro di rilanciarsi. C’è ottimismo, convinzione che il derby possa preludere a una grande annata. E i pareggi, infatti, sono abbastanza rari. Quand’eravamo bambini il derby d’andata finiva spesso in parità, ma poi abbiamo assistito molto più frequentemente ai successi dell’una o dell’altra: sempre sofferti, tirati, ben lontani da quelle gare a senso unico che spesso hanno reso i ritorni soltanto umilianti».
Incontenibile, il Savio ha nuovamente cominciato a enumerare. «Già, ricordo bene quei derby dei primi anni settanta che il Milan vinceva candidandosi allo scudetto, salvo perderlo sempre nelle ultime giornate. O il derby della doppietta di Buriani in contropiede, che segnò l’inopinata rinascita di una squadra che pochi mesi prima aveva rischiato la B. O ancora la vittoria rossonera dell’anno dopo, con un golletto di Maldera, in una partita orrenda che lanciò il Milan verso lo scudetto della stella. E, sull’altro fronte, il grande derby di Beccalossi che mandò in orbita l’Inter di Bersellini, o quello di Serena che indicò la strada tricolore all’Inter del Trap. E quanti derby puramente illusori, con successi che sembravano preludere a chissà che e invece non portarono da nessuna parte: come il 2-1 firmato da Facchetti nell’autunno del ’73, seguito da un anonimo torneo di entrambe; o come, una decina d’anni dopo, quel derby vinto dal Milan con il fotografatissimo stacco di testa di Hateley, mezzo busto sopra Collovati, che convinse il popolo rossonero di aver trovato un campione e una grande squadra, illusioni presto sopite. O, più recenti, quel sorpasso rossonero nel finale con gol di coscia di Shevchenko e incornata di Weah allo spirare di una partita tragica, con l’espulsione di Ronaldo e le sofferenze di un Milan alfine vincitore, ma poi comprimario come i cugini. O, giusto lo scorso anno, quel 3-2 di Adriano allo scadere, che nulla di buono ha portato all’Inter, ma che ha tolto al Milan punti importanti».
Stanco delle citazioni dell’amico, il Mago ha bruscamente ripreso la parola, togliendo al Savio l’acqua del ricordo storico in cui sguazzare. «C’è poi un altro motivo per cui ritengo quello d’andata il vero derby di Milano: la stagione. L’atmosfera che circonda il derby d’andata è una vera atmosfera milanese, a differenza di quella imprevedibilmente piovosa o primaverile del ritorno. Milano è città autunnale, identificata con i suoi quadri grigi e le luci gialle, come cantava Alberto Fortis. Città di alberi spogli e di foglie gialle ammucchiate, di strade bigie e cieli bassi, di colori tenui e sfocati, che ben si adattano a quel nero che predomina in entrambe le divise e che si vivifica di colori forti ma non brillanti come il rosso e l’azzurro cupo. Sono i colori di Milano, del Milan e dell’Inter: i colori del derby d’andata. In una stagione che ben si sposa all’attesa febbrile ma ovattata, che tutto pervade ma che non esplode in maniera troppo chiassosa e vistosa. Nulla di più milanese. Perché niente rappresenta Milano quanto la stagione che va dal derby autunnale alla sera di Sant’Ambrogio con la prima della Scala».(...)

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Diario d'autunno (3 settembre-13 dicembre 2006)