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Premessa
Il tempo trascorso nel silenzio è stato sufficiente. Forse anche troppo lungo, ma non poteva essere diversamente.
Ora è giunto il momento che i nostri protagonisti tornino a parlare e a svelarsi agli amici che li seguono. Il Mago, il Savio e il Cinico, con le loro mogli, i familiari, gli intimi e meno intimi personaggi che si alternano sulla scena della rappresentazione, sono pronti per cominciare una nuova avventura.
Dopo l’incalzante diario dei Mondiali e quello dedicato a un Autunno sospeso e incerto, i nostri tornano con un nuovo resoconto periodico in stile diaristico, che avrà stavolta per protagonista principale il Savio (ben spalleggiato dalla Santa) con i suoi racconti cubani, frutto di quel viaggio voluto e temuto che tanto ha tenuto sulla corda i nostri amici nei primi giorni di dicembre, che ha suscitato un grato e appassionato dibattito sulla rete, che si è infine materializzato e compiuto nella seconda metà di gennaio.
Il canovaccio dell’opera sarà apparentemente immutato, rispetto al passato: un diario cronistico periodico, con gli incontri fra i tre protagonisti principali, le loro famiglie e i loro amici a far da scenografia costante; e con il calcio a far da pretesto principale di ogni ritrovo, quasi un focolare intorno al quale si riunisce la tribù.
Ma stavolta – senza perdere d’occhio la quotidianità, la vita sociale, le considerazioni filosofiche e politiche – saranno i racconti cubani del Savio e della Santa a occupare uno spazio centrale in ogni puntata, a costituire il vero filo rosso di questa narrazione. Attorno al focolare telecalcistico, gli amici si ritroveranno soprattutto per ascoltare i resoconti, le impressioni, le considerazioni, le emozioni vissute dai due viaggiatori.
Un reportage intimo, ma ambiziosamente nel solco di quelli dei grandi viaggiatori-narratori dei tempi moderni. Con la convinzione che questi racconti potranno stimolare – quanto e più delle vicende calcistiche – la voglia di partecipare, porre domande, tentar di capire, obiettare, comunicare esperienze e sensazioni diverse.

Luce e colori
(...)«Per la verità, la prima nota dominante che ho avvertito con forza a Cuba non è stata quella della luce, ma quella del buio. Ripenso al giorno del nostro arrivo. Eravamo partiti verso la una del pomeriggio da Malpensa, con un sole scintillante che riverberava sulle Alpi, compagne di viaggio per una buona oretta. Poi, in undici interminabili ore di trasvolata, abbiamo continuato a inseguire il sole: sull’Europa, sull’Atlantico, al primo apparire delle isole americane. Il nostro viaggiare verso ovest ci portava ad aggrapparci a quella palla luminosa che si avviava lentamente a tramontare, rimandando però continuamente l’appuntamento con l’oscurità. (...)
Però, una volta a terra, nel giro di pochi minuti ci siamo ritrovati immersi nell’oscurità, calata rapida e senza fasi intermedie, come avviene regolarmente ai Tropici. (...) Quindi siamo usciti, attraversando la scintillante hall del nostro cinque stelle per affacciarci sul grande viale prospiciente. (...) Si tratta di un viale che mette in comunicazione due mondi, quello dei turisti e quello degli habaneros, collega alla zona monumentale, è circondato da palazzi importanti, da cinema e teatri; ha un disegno che richiama quello delle Ramblas, con due corsie per le auto separate dal vasto passeggio centrale alberato. Bene: come siamo usciti su questa grande via, appena ci siamo scostati dal riverbero luminoso delle quattro vetrate dell’hotel affacciate sulla strada, ci siamo ritrovati nel buio più nero che si possa immaginare. Una sensazione incredibile, e mai provata in un centro cittadino: il buio pesto, rotto qua è là da qualche timido lampione o appena rischiarato da un’insegna o dalla vetrina di un ristorante, di una caffetteria. Sul grande viale si vedevano scorrere i lampioni: uno acceso uno spento, uno acceso due spenti, e così via. Le strade laterali erano solo parzialmente illuminate, e solo se erano mete turistiche; le altre sprofondavano nell’oscurità assoluta. Ma quel che colpiva era che quel buio non portava con sé quel silenzio e quel vuoto cui siamo abituati ad associare l’assenza di luci; al contrario, per la strada si accalcava una folla debordante e rumorosa, in veloce trasferimento o in coda davanti ai locali, assiepata in attesa di un mezzo pubblico o saltellante in cerca di un passaggio privato. Una folla non caotica ma viva, fatta di gente vestita in colori chiari ed estivi, che contrastava con l’oscurità immanente. Infilandosi nelle vie laterali, come abbiamo fatto, recuperavi però quel senso di assenza in cui il buio ti sprofonda, anche se qua e là lampeggiavano quei segnali di vita che ci ricordavano sempre che il tempo non era quello di una notte profonda ma di una prima serata domenicale con tutti i suoi traffici e movimenti vitali. Epperò, alzando la testa, potevi vedere le stelle. Le stelle in una grande città! E non pallide e rade stelline sfuocate e lontane, ma tutto il firmamento incombente, quasi appoggiato alle volte dei palazzi oscuri con tutta la sua precisa mappa di costellazioni che si poteva leggere a occhio nudo». (...)

Virgilio e Beatrice
(...) Così ha insistito: «Li avete citati tante volte, ma sempre in termini generici ed evasivi. Ma come erano, concretamente, questo Virgilio e questa Beatrice che vi hanno condotto alla scoperta dei drammi e degli splendori di Cuba?». (...)
«Simpatico, il paragone con le due guide dantesche. E anche in parte pertinente, benché noi si sia stati scortati dapprima da Beatrice e poi da Virgilio. Ma certo, in qualche misura, la nostra guida fanciulla aveva davvero un qualcosa della Beatrice che conduce Dante alla scoperta dei cieli paradisiaci. Infatti ci ha scortato all’Avana, e in particolare nei quartieri più borghesi e raffinati, e in altre località gentili e leggiadre, come la ordinatissima Viñales. Ci ha accompagnato per luoghi tranquilli, talvolta persino lussuosi, lasciando a noi soli l’incombenza di attraversare quel purgatorio che sono i quartieri popolari pulsanti di vita vera. (...)
Non per nulla, la nostra Beatrice era una guida prudente e persino discretamente difensiva sul piano ideologico, mentre era aperta e pronta a mettersi in gioco sul piano personale». (...) «Con lei si poteva parlare di tutto, lasciando magari un po’ ai margini la politica strettamente intesa, e cercando semmai di affrontare questioni di carattere sociale per rendersi conto delle sue opinioni sulla realtà del paese. Ma per il resto non ci siamo negati davvero nessun argomento. Cultura in tutte le salse, con istruttive chiacchierate sui film passati nelle sale cubane e quelli trasmessi in tv; oppure con divagazioni sul teatro, sulla produzione televisiva, sui costi minimi di accesso alle attività culturali. E poi musica, con un occhio di riguardo alla ricchissima tradizione e ai suoi storici rappresentanti. O ancora il cibo, con consigli di ricette, informazioni sulle materie prime, confronti tra le preparazioni gastronomiche cubane e quelle italiane. (...) C’era sempre dietro una forte passione personale, un senso di curiosità che andava ben oltre la spiegazione didascalica della brava professionista. (...)
«Lui, il nostro, Virgilio, era davvero tutt’altra cosa – ha ripreso il Savio – Ad un tempo più popolano, perché nativo di un paese dell’interno, e più scafato, perché con base lavorativa a Varadero, cioè il posto più turistico e border-line dell’isola. Una guida perfetta per visitare realtà meno ciroscritte e protette. Uno capace di indicarti sempre la strada giusta per raggiungere una meta (Beatrice era un disastro, in questo senso); uno che ti cava dagli impicci contrattando con poliziotti e guardiani, come ci è capitato quando abbiamo avuto necessità di bagni non aperti al pubblico; uno sfrontato che riusciva a farci mostrare da riluttanti gestori i menu di tutti i ristoranti di ogni città, cosicché noi potessimo scegliere al meglio dove cenare e avere al contempo un quadro esaustivo utilissimo per il nostro lavoro. (...)
Peraltro, uno che quando era con noi non nascondeva affatto la sua voglia di sapere e capire di più, di prendere informazioni, di migliorare la lingua, di farsi spiegare cose di cui non conosceva il senso. Restano indimenticabili le spiegazioni che abbiamo dovuto fornirgli sull’esistenza di un partito chiamato Forza Italia (espressione con cui i cubani, ignari, salutano le comitive italiane suscitando reazioni opposte nei turisti a seconda dell’appartenenza politica; fenomeno che aveva incuriosito il nostro Virgilio che non sapeva spiegarsi perché alcuni italiani rispondessero gioviali e contenti, altri si incazzassero di brutto) o su tutti i tipi di condono esistenti, da quello penale a quello fiscale, passando per quello edilizio che più lo ha appassionato (e forse convinto che non è che in Italia tutto vada per il meglio)». (...)

Burocrati
(...) Memore di certi accenni del giorno prima, il Mago ha stuzzicato il Savio chiedendogli di approfondire le allusioni buttate là sulla burocrazia cubana. «È davvero così terribile?» gli ha chiesto speranzoso. «Una tragedia – ha confermato il Savio – Qualcosa che mette insieme i paradossi kafkiani e l’ottusità ostentata, l’indolenza latinoamericana e il disprezzo per l’individuo mutuato dall’educazione comunista». (...)
È stata la Santa a concretizzare il discorso. «Appena arrivi a Cuba, già la burocrazia ti si presenta col suo volto peggiore. Il controllo dei passaporti e dei visti d’ingresso, per i quali hai già speso mezza giornata in Italia, è esasperante. Ti fanno domande incomprensibili, ti squadrano, ti mettono in luce e ti fanno una foto con una telecamera fissa. Procedono soprattutto con una lentezza, immotivata, indifferenti alle lunghe code. (...) Ma allora mi chiedo perché ti fanno fare cento pratiche per il visto giornalistico qui in Italia, se poi ti fanno rifare tutta la trafila quando arrivi là».(...)
«E poi è stato sempre peggio – si è inserito il Savio – Perché ogni volta che devi fare un permesso, spostarti, noleggiare un mezzo o qualsiasi cosa, ti tocca ricompilare sempre gli stessi moduli, rispondere alle medesime domande, elencare tutto minuziosamente fino all’esaurimento. “Chi siete? Da dove venite? Per chi lavorate? Dove andate? Dove vi fermate?” Francamente mi aspettavo ogni volta che alla fine concludessero la requisitoria con l’imperioso “un fiorino!”. E poi, l’assoluta inutilità di tutto questo. Perché tu perdi ore per fare permessi, ma poi scopri che sono inutili, che gli accrediti per i giornalisti dovrebbero essere vistati in ogni sede locale, che non valgono per certi musei, che non ti risparmiano ulteriori lungaggini burocratiche. (...)
Cuba è un paese in cui non puoi mai sapere se una cosa funziona e ti devi spesso arrangiare. Manca la corrente, manca l’acqua, non ci sono le macchinette per le carte di credito, non ci sono mezzi per spostarsi, mancano questo o quello, che dovrebbero esserci ma non ci sono. E ciascuno si industria a modo suo, si inventa le soluzioni, si fa dare una mano, improvvisa. Questo nella vita quotidiana. Ma se hai a che fare con la burocrazia, tutto questo non vale più: lì si osservano rigidamente le regole. Se manca la corrente elettrica, non ti fanno i permessi perché i computer non funzionano: punto e basta. Ti fanno buttar via una giornata in attesa, e solo al pomeriggio si decidono a farti il permesso a mano, cosa che potevano fare subito senza infrangere nessuna regola, visto che stiamo parlando di un paese che con l’emergenza ci deve fare i conti di continuo. Non si capisce davvero se è il gusto di esercitare con sadismo quel piccolissimo potere che il burocrate ha, o se invece è l’accidia invelenita di chi si schifa di fare un lavoro repellente, malvisto, ripetitivo e noioso. (...)

Si sta bene anziché no
(...) Il Savio ha provato a fare ordine: «Speriamo di non avervi stancato. Se c’erano cose da ripetere, è perché la storia lo richiedeva. Ma abbiamo posto sempre l’accento su temi diversi, e credo che li abbiamo sviscerati tutti. Abbiamo raccontato i luoghi, da quelli più noti a quelli da scoprire. Abbiamo descritto città e natura. Abbiamo narrato come si vive. Abbiamo espresso considerazioni sulla società e sulla politica. Abbiamo cercato di rendere l’idea dei caratteri delle persone, delle loro usanze, del loro modo di porsi. E naturalmente abbiamo cercato di trasmettervi le nostre emozioni interiori, le nostre passioni e i nostri disagi durante la scoperta di una realtà non semplice da affrontare, non univoca, certamente in buona parte imprevista».
«Sì – ha confermato la Santa – Noi abbiamo detto tutto quello che ci sembrava giusto e importante. Onestamente non avremmo davvero da dire nient’altro. Al limite, sareste voi a doverci dire se qualcosa siamo riusciti a trasmettervi, con questo nostro sforzo narrativo».(...)
Poi, quasi all’improvviso, l’Ingenua si è resa conto che un dubbio le era rimasto. «Una cosa non ho capito – ha quasi esclamato – Ma quanto vi è piaciuta Cuba? Ci siete stati bene? Ci tornereste volentieri? E magari, in ipotesi, pensereste di poterci vivere?». (...)


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Racconti cubani (2 febbraio-14 maggio 2007)