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Premessa- La casa del Mondiale
Che scusa prendere per raccontare un Mondiale di calcio. A quale appiglio aggrapparsi per esternare, commentare, riflettere, dialogare, mettere in comune i propri pensieri e confrontarli con quelli dei lettori? Quale canovaccio utilizzare per rendere godibile un esperimento narrativo e comunicativo che, pur avendo il calcio al centro, offra spunti per parlare anche d’altro, stimolare, provocare e far circolare idee più o meno nuove e intelligenti?
L’idea non è nuova, anzi è piuttosto abusata, partendo dal Boccaccio del Decameron per arrivare ai più triti format dei reality contemporanei. Immaginiamo, nel nostro viaggio attraverso il Mondiale, che tre amici si ritrovino in una casa, per seguire tutte le partite di Germania 2006, commentarle, lasciarsi andare all’onda dei ricordi, tirar fuori le loro passioni, i loro sogni, i loro caratteri. Stavolta, per la verità, l’artifizio narrativo non è del tutto tale. I tre protagonisti della storia, in quanche modo, esistono davvero e davvero convivono. Essi altro non sono che le sfaccettature della personalità dell’autore, che, come tutti, convive con una complessità di “io” a volte in contraddizione tra loro, ma sempre dialoganti e attori di quel processo interiore che normalmente chiamiamo riflessione. Per questo i tre protagonisti sono maschili: solo perché questo è il genere dell’autore, e non certo per rivendicare un’esclusiva maschile sul territorio calcistico o per una malcelata forma di machismo, che è quanto di più lontano dalle intenzioni.
I nomi dei tre personaggi dicono già molto sulle caratteristiche di ciascuno e sul ruolo in commedia che è chiamato a recitare. Chi seguirà il blog avrà modo di conoscerli passo dopo passo, esplorandone la personalità e conoscendone vizi e virtù, pregi e difetti.
Tuttavia, per brevità e chiarezza, ricorreremo qui a una brevissima presentazione dei tre; cosa che in un romanzo o in un racconto non si farebbe mai, ma che forse non è del tutto inutile nell’ambito di uno strumento diverso e interattivo.
Il Cinico si approccia al calcio con il suo carico di livore e di sarcasmo: è dietrologo, polemico, provocatore, capzioso nelle analisi e un po’ qualunquista nelle conclusioni. Il Mago ha uno sguardo aperto sul futuro, ama il rischio della sfida, è il sognatore che guarda al domani e non ha paura di mettersi in gioco con pronostici, previsioni, prese di posizioni forti. Il Savio è sempre documentato, un vero ricercatore storico che pesa le parole e si basa sempre sulla capacità analitica, supportata da un sapere enciclopedico (almeno nei campi che conosce, e il calcio mondiale è sicuramente uno di questi).
Poiché nella Casa del Mondiale non si parlerà solo di calcio, gli amici del blog potranno comunque notare che le caratteristiche dei tre restano invariate anche quando si affrontano gli altri temi della vita, rimodellando la realtà in un loro quadro d’insieme in bilico tra il disincanto, la passione, i valori, il razionalismo.
La forma scelta per narrare queste vicende è quella del racconto-diario, costruito principalmente sui dialoghi, ma più spesso sui monologhi, dei protagonisti.
Così, l’autore avrà modo di unire alle ambizioni (frustrate) di commentatore sportivo quelle di novellista e persino di opinion maker.
Tuttavia, essendo questo racconto pubblicato su un blog, esso si presterà anche ad alcune interazioni sperimentali. Chi invierà commenti, domande, annotazioni e quant’altro, potrà essere sfruttato dall’autore ed entrare come personaggio nella storia, dialogando con i tre protagonisti attraverso artifizi scenici decisi di volta in volta. Per questo, chi parteciperà al blog potrà corredare i propri commenti con qualche nota biografica, così da consentire all’autore di contestualizzare al meglio i nuovi personaggi.

Il Mondiale perfetto
È il giorno. Il giorno del calcio d’inizio, dell’evento in sé che dà ragione e sostanza all’avventura dei tre amici.
Quando gli altri sono comparsi nel salone hanno trovato il Savio pimpante e garrulo. Appena ha avuto a tiro il Cinico, dato che con il Mago, a quell’ora, è inutile parlare, il Savio lo ha subito sollecitato. «Ci siamo, oggi si comincia. Non sei eccitato? Non bruci dalla voglia di goderti lo spettacolo?». Il Cinico ha smorfiato e non gli ha dato soddisfazione. «Capirai – ha detto – sai che bell’esordio. Una partita scontatissima che la Germania, Ballack o no, vincerà in qualunque modo. Risultato già scritto, e magari anche qualche porcatina arbitrale tanto per cominciare».
(...) Il Savio ha sorriso compiaciuto. Era venuto il suo momento di esternare le regole per un mondiale perfetto.
«La prima regola è che il mondiale non lo deve assolutamente vincere la squadra di casa» ha sentenziato il Savio tanto per cominciare. «Anzi, meno va avanti e meglio è. I mondiali migliori sono quelli in cui gli ospitanti si sono tolti dai piedi rapidamente, tipo Usa 94 e Spagna 82. Quello che ha combinato la Corea quattro anni fa grida ancora vendetta, e non lo dico tanto pensando all’Italia ma al clima generale. Io dico sempre che un mondiale vinto dai padroni di casa è un mondiale dimezzato».
(...) «Il mondiale perfetto viene vinto da una squadra blasonata, una che ha già qualche mondiale precedente nel suo carniere. E tra le prime quattro devono esserci nomi nobili: le ex vincitrici, oppure squadre come Spagna, Olanda e Svezia, di solide tradizioni e con titoli europei o finali mondiali perse nel loro palmarès».
«Nei quarti, invece, è buona cosa che arrivi almeno una sorpresa. Una squadra “nuova”, magari anche in parte inattesa, che però abbia meritato con il bel gioco il titolo di rivelazione del torneo. E che esca tra gli applausi, appagata e senza recriminazioni. Ancora di più devono essere le rivelazioni negli ottavi. Dai gironi eliminatori è opportuno che vadano avanti le favorite vere e le squadre fresche e innovative, non le mezze figure utilitaristiche ma inadeguate. Vi dico anche che mi piacerebbe non ci fossero troppe europee tra le prime sedici: vada per i grandi nomi, ma poi ci vogliono rappresentanti di tutti i continenti, perché un mondiale sia degno di questo nome».
(...)«Da ultimo ci metto un elemento che di solito viene poco considerato, ma che per chi è malato come noi e si guarda tutte le partite è invece fondamentale: la varietà dei risultati. Perché se uno guarda poche partite, può accontentarsi di vedere sfide accese, equilibrate, magari con qualche gol; ma se uno guarda tutto ha bisogno di un menu più diversificato. Quindi servono gare tirate, a volte su punteggi bassi e a volte con molti gol, ma servono anche gare sorprendentemente stravinte. Penso a gare tipo quelle dell’86: Urss-Ungheria 6-0, Danimarca-Uruguay 6-1, Spagna-Danimarca 5-1; gare equlibrate sulla carta ma poi risoltesi con punteggi fragorosi. E servono persino i materassi, perché anche le cinquine (tipo quelle del ’98 in Argentina-Giamaica e Olanda-Corea) sono indispensabili per spezzare la monotonia».(...)

Vite da mediani
(...)Eppure il pomeriggio del venerdì era iniziato in un clima disteso, e con una bella sorpresa. I tre avevano appena finito di bere il caffè, e stavano disseminati in salotto dediti alle loro abituali occupazioni del dopo pranzo, con il sottofondo televisivo delle semifinali maschili del Roland Garros. Il Mago stava leggendo “la Repubblica”, l’unico quotidiano che degni della sua attenzione, a differenza dell’onnivoro Savio (quanto al Cinico, lui preferisce l’ufficialità televisiva, da confrontare poi con le tesi più ardite che riesce a scovare su Internet). «Ma pensa te - ha esclamato a un certo punto il Mago – Ma guarda questo che mi copia i pronostici mondiali». Stava leggendo l’articolo di Gianni Mura dedicato appunto alle previsioni, alle analisi e alle attese, ed evidentemente vi aveva trovato delle similitudini con quanto affermato da lui stesso il giorno prima.
Il Mago mostrò l’articolo ai due compari, che lo lessero velocemente, anche perché piuttosto breve e didascalico. Effettivamente, c’erano diverse affinità con quanto aveva strologato il Mago la mattina precedente. Il Savio e il Cinico potevano immaginare quanto, questo, facesse intimamente godere il Mago. Spesso, infatti, il Mago ripeteva che per quanto riguardava i giornalisti sportivi (quelli di “Repubblica”, ovviamente, perché gli altri neppure li conosceva) gli unici due veramente imperdibili erano Emanuela Audisio, per la sua capacità narrativa e affabulatrice, e lo stesso Gianni Mura, per la sua colta versatilità e la nitidezza di prosa. Quando si sentiva generoso, il Mago aggiungeva anche Gianni Clerici, che però gli sembrava fin troppo raffinato, addirittura decisamente snob. Quanto agli altri, il Mago li giudicava dei semplici cronisti: qualcuno bravo, qualcuno meno, ma non certo artisti della scrittura.
Era chiaro quanto potesse far piacere al Mago scoprire una certa identità di opinioni con una delle poche persone che stimava. «È abbastanza vero – gli confermò il Savio – Avete molti punti in comune». Il Mago puntualizzò sussiegoso: «Sì, anche se soprattutto per quanto riguarda le analisi. Se leggete bene, infatti, quando Mura esprime le sue opinioni ci ritroviamo alla perfezione: Argentina e Inghilterra favorite, qualche dubbio sul Brasile, una moderata fiducia all’Italia, rispetto per la Germania ma senza entusiasmi, critiche alla Francia, attesa della Spagna, riconoscimento del valore della Costa d’Avorio. Tutto coincide. Quando invece fa le sue profezie interrogando la mitica palla di lardo, allora qualche differenza c’è. In particolare trovo un po’ troppo eurocentrico il suo pronostico sulle qualificate della prima fase. Lui esclude solo i croati a vantaggio dell’Australia, ma dà per qualificate, in blocco, le “europee minori” come la Polonia, la Svizzera, la Cechia e l’Ucraina; io invece penso che almeno un paio di queste (almeno!) resteranno fuori dopo le prime tre partite; come dicevo ieri. A proposito: è una vera fortuna che io abbia reso pubblico il mio pronostico prima di Mura: altrimenti mi direbbero che ho copiato. Invece è chiaro che è vero il contrario» concluse sornione il Mago. Ma era chiaro che la coincidenza lo rendeva orgoglioso.(...)

Tricolori
(...) «Mondiale deludente» ha sintetizzato il Cinico. «È troppo presto per fare bilanci – ha smorzato il Savio. Con quella di stasera se ne sono andate 8 partite, un ottavo del totale. Credo si debba aspettare per trarre qualunque conclusione». Il Cinico, di fronte all’ignavo temporeggiare del Savio, è uscito dal salotto ed è andato in studio ad armeggiare col computer. Quindi il Savio ha proseguito concedendo qualcosa in più: «In realtà non sono tanto le singole partite a essere brutte. C’è stata qualche oscenità, ma ci sono stati tanti confronti equilibrati, comunque guardabili. Quello che manca è il guizzo, quel qualcosa che vivacizzi il quadro d’insieme. Certo, siamo molto distanti da quello che io ho immaginato nel mondiale ideale: quasi tutte le partite sembrano uguali, lente, scontate». «Sono partite prive di gioia, di voglia e di grinta» ha riassunto il Mago, che sembrava il più schifato di tutti.
 (...) Non era stata una gran giornata. E il Mago ha proposto di chiuderla subito in modo insolito. «Perché non ci caviamo via il dente dei commenti alle gare di oggi, stasera, prima di andare a letto? Tanto più che domani avremo altro di cui parlare» ha buttato lì. Il Savio non avrebbe voluto saperne. «Così, a caldo? – ha provato a resistere – Avevamo detto che era bene meditare un po’ sulle partite, prima di emettere giudizi». «Veramente questa è la tua esigenza – lo ha deriso il Cinico, che nel frattempo era rientrato nella stanza – Sappiamo che avresti bisogno di un mondiale lungo tre mesi, in cui si gioca un giorno sì e un giorno no, magari con una settimana di pausa fra un turno e l’altro».
Il Mago ha troncato la discussione: «Andiamo con le analisi, e poche balle». E ha cominciato a sviscerare la prima partita del pomeriggio. «L’Olanda ha colto un successo importante, ma non ha convinto. Io ho visto poca personalità e persino una tecnica approssimativa in diversi elementi. E la difesa non è per nulla sicura. La Serbia è solo buona a difendersi e ha pagato caro l’unico grosso errore; in attacco non è esistita, come si sapeva». Il Savio ha provato a dire la sua: «Robben mi pare abbia fatto la differenza da solo, in definitiva». Il Mago lo ha freddato: «Per me ha potenzialità enormi. Ma oggi non l’ho visto decisivo. Anzi, avrà buttato via dieci contropiede per la sua mania veneziana di andare in porta da solo». (...)
Il Mago si è inalberato: «Sì, noi saremo esagerati, ma un mondiale è un mondiale. Non si può parlare sempre e solo dell’Italia. Ho visto fior di giornalisti spendersi in una tortuosa esegesi della frase di Lippi su Totti che gioca “e questo significa tante cose”, cercando di scoprire chissà quali messaggi reconditi. E altri non si sono risparmiati nello scandagliare la conferenza stampa di Del Piero, magari soltanto allo scopo di fargli sapere che l’omerico Achille meditava sotto la sua tenda e non su una collina». Il Savio ha convenuto: «Hai ragione. E ti dirò che questo atteggiamento lo posso anche capire da parte della rai, che non ha tutto il mondiale da trasmettere. ma proprio non lo capisco da parte dei giornali o di Sky, che potrebbero promuovere tutta la manifestazione e invece si immiseriscono a inseguire le beghe nostrane». Il Cinico ha tagliato corto: «Strategie di marketing. Puntano forte sui prodotti che fanno vendere, in termini di copie, share e investimenti pubblicitari. Quindi l’Italia, innanzitutto, poi il Brasile, e infine un occhio alle squadre che potrebbero arrivare in fondo e che conviene tenersi buone, giusto per non avere un crollo di ascolti se alle finali dovessero esserci, che so, Spagna, Inghilterra, Francia e Argentina».(...)

Testa
(...) Di lì a poco, tranquillizzati dal gol avversario, come spesso accade, gli italiani avevano cominciato a usare la testa un po’ meglio. Soprattutto per colpire la palla. Come aveva fatto Materazzi impattando con stacco da grande bomber un corner e assicurando un rapido e promettente pareggio alla squadra che sembrava in risalita, che pareva poter prendere in mano la partita e condurla a piacimento verso lidi sicuri. E gli italiani avevano davvero continuato a usarla, la testa, ma quasi solo per spedire palloni terrificanti verso quell’incerto pelato portiere che la commissione di spogliatoio, per antica fratellanza, aveva voluto imporre al posto di un collega certamente migliore. Ma i francesi, specie dal secondo tempo, avevano cominciato anche loro a usare la testa, soprattutto per pensare, però, e per riprendere sempre più saldamente in mano la partita, per riorganizzarsi, per assumere un controllo del gioco che a volte sembrava sterile, ma che poi produceva accelerazioni mortifere. Così gli italiani avevano incornato con Toni sulla traversa e poi in porta due calci piazzati, con due prodezze da ariete comunque rese vane dalle segnalazioni arbitrali. E però i francesi avevano cominciato a macinare, a chiudere ogni spazio, a fare la partita come chi cerca solo l’attimo propizio per vibrare il colpo risolutore.
Avviandosi verso la fine, anche i francesi avevano incominciato a usare la testa non soltanto per pensare. Dapprima utilmente, con quella frustata di Zidane che aveva fatto pensare a un inevitabile gol. Poi, il capitano stesso, ha usato la sua lucida pelata per affondare taurinamente il petto di Materazzi, con un gesto di rara violenza che richiamava però, soprattutto nel suo significato recondito, il tuffo suicida del samurai che compie l’harakiri gettandosi ripiegato in due sulla punta della spada infissa nel terreno.
E infine il destino si era manifestato attraverso la testa, e la croce, di quella moneta che l’arbitro Elizondo ha usato per stabilire col sorteggio a chi sarebbe toccato battere il primo rigore (perché questa è la regola, che anche i commentatori televisivi ignorano: chi vince il sorteggio tira per primo, non c’è nessuna scelta affidata al capitano). Perché ancora una volta la legge statistica ha colpito impietosa; chi per primo ha calciato, ha vinto la sfida. E non servirà a nulla che ci raccontino che gli azzurri hanno vinto perché hanno avuto la testa più sgombra e più serena mentre andavano sul dischetto, mentre l’incupito Trezeguet trasmetteva in quel rigore tutte le frustrazioni di un mondiale vissuto da sopportato. Perché noi sappiamo che la testa che ha deciso i rigori è stata soprattutto quella della monetina.
Anche se neppure questa evidenza avevano avuto il coraggio di confessarsi, in diretta, i nostri amici. Anzi, il Savio, ricordando di aver detto in recente passato che l’ottanta per cento delle volte vince chi tira primo, aveva fatto un rapido e spaventoso calcolo mentale: essendo già andate tre partite ai rigori in questo mondiale, prima della finale, e avendo sempre vinto la squadra prima a tirare, per avvicinare la media statistica era possibile che stavolta toccasse vincere alla squadra seconda nel tiro. Così il Savio ha seguito tutta la serie facendo il più antico e virile degli scongiuri, per allontanare la sua statistica. Per fortuna, quella volta, il Savio era stato troppo stretto. E mentalmente, ma solo alla fine, ha riscritto la norma: ai rigori vince quasi sempre chi tira per primo. (...)

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Abba Mondiale (6 giugno-12 luglio 2006)