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Leggi di seguito qualche stralcio dal Diario
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Premessa
Piena estate, a ridosso di Ferragosto. Una data strana, forse poco logica e poco pratica, per riprendere a raccontare le avventure e i pensieri dei nostri amici. Un’idea balzana, riaprire il blog in questo periodo di assenze e di riposo. Ma l’urgenza narrativa, l’estro dell’artista e l’opportunità soggettiva seguono regole proprie, non codificabili e non sempre compatibili con i costumi delle masse.
Così, proprio nel pieno dell’estate, tornano il Mago, il Savio e il Cinico, con le mogli, gli amici e i personaggi di contorno. E noi riprendiamo a cantare per la strada le loro gesta, senza troppo curarci se la strada è ancora mezza vuota e il pubblico tarderà ad assieparsi per ascoltarci.Le gesta dei nostri, come sempre, si ancorano alla memoria di un passato che continua a segnarli e a indirizzarli, ma fanno rotta verso un futuro da definire, cui guardano talora con apprensione ma senza svicolare e sottrarsi al dovere di andare avanti. Il tutto, senza rinunciare a godersi appieno ogni attimo del presente, pur facendo i conti con le difficoltà quotidiane.
Tornano dunque le avventure dei tre amici e torna, quale struttura portante del racconto, l’ormai classica formula diaristica, che i nostri lettori gìà ben conoscono. Formula che resta, apparentemente invariata, e che tuttavia questa volta sarà meno impellente e meno rigida che in passato. Lo scorrere del tempo non sarà necessariamente uno degli attori principali, e la scena troverà a volte fondali e interpreti meno consueti rispetto ai canoni delle opere precedenti.
Meglio così, perché questo fra l’altro darà modo agli amici lettori di recuperare eventuali ritardi, di divorare a blocchi le puntate già pubblicate senza avere la sensazione di essersi persi qualche passaggio legato alla stretta attualità, di procedere anche in futuro a una consultazione più libera e consapevole delle nostre pagine.
Gli argomenti al centro delle avventure, invece, saranno quelli consueti. I nostri affronteranno la realtà, con un occhio agli eventi, alle novità e alle grandi tematiche suggerite dall’attualità cronistica o dalla speculazione filosofica, e scaveranno i personaggi della vita pubblica e privata andando oltre la crosta del banale. Il tutto, con le consuete priorità esistenziali e valoriali.
Tuttavia, i temi di sempre li ritroverete affrontati con uno spirito nuovo e una fierezza più marcata. Ci sarà qualche cattiveria in più, qualche spigolo non smussato che emergerà dalla lettura, qualche espressione arcigna e lapidaria nei giudizi ancor meno benevoli. Fatti e personaggi verranno presi di petto: “a muso duro”, appunto.
Perché l’estate non è passata senza lasciare traccia, e anzi ha profondamente segnato i nostri amici. Che non sono più cattivi di un tempo, ma sicuramente si sentono meno timorosi e hanno meno voglia di apparire lievi.
Il Mago, il Savio e il Cinico hanno voglia di incidere a fondo. Hanno gli strumenti e gli argomenti per farlo. Ma saranno grati a tutti voi se, interagendo con i vostri interventi e le vostre opinioni, ci permetterete di arricchire la storia e darete loro nuove materie su cui ragionare.

Giochi di memoria
La storia soggettiva non è costituita dai fatti, ma dalla nostra memoria che quei fatti ha selezionato, trattenuto, rielaborato e ricapitolato nel tempo. Ciò che sentiamo di aver vissuto, perciò, non corrisponde mai a una realtà oggettiva. La quale, peraltro, è molto probabile che non esista.
(...) Un giorno il Savio si è messo in testa di dedicarsi a un passatempo ludico che poteva però anche suggerirgli qualche spunto di riflessione, e che comunque rappresentava un bel modo di tenere in esercizio la memoria. Ha stampato su alcuni fogli tutti i risultati dei Mondiali di calcio cui aveva assistito nella sua vita con cognizione di causa, cioè quelli dal 1970 in poi. Dopodiché, armatosi di penne e matite, ha cominciato a distribuire i voti di gradimento a ogni singola partita di tutti quei Mondiali. Non se ne era persa una, diretta o differita, e i ricordi gli sembravano talmente vivi e presenti da consentirgli di svolgere con facilità e obiettività questo divertente lavoro.
Ha cercato di stabilire dei criteri mentali discriminanti e di fare uno sforzo mnemonico di attualizzazione, in modo che le rassegne più lontane non fossero penalizzate o premiate in ragione del semplice trascorrere del tempo. Inoltre, si è dato alcune regole precise. (...) Fissate le regole, ha proceduto attribuendo i voti. Quindi ha cominciato a giocare con la statistica per vedere che cosa gli dicevano le sue valutazioni. (...) Ha miscelato, calcolato, controllato, comparato.
Scoprendo che i risultati, che tendevano a ripetersi quasi uguali, lo lasciavano fortemente perplesso e che gli restituivano una fotografia in cui non riconosceva i suoi ricordi.
(...) La cena e il dopocena, accompagnato da dolci e grappe, avevano visto la compagnia perdersi nelle tradizionali rivisitazioni del passato, che erano sempre il piatto forte della ricorrenza. Eventi epici che avevano segnato la storia del gruppo, o di alcuni suoi componenti, sono stati rispolverati e riproposti, ovviamente trasformati da quella vulgata che si era consolidata nel corso degli anni e che aveva ormai reso il racconto orale lontanissimo dalla realtà cronistica dei fatti. Alle rievocazioni lontane si sono mischiati, da protagonisti, i più freschi ricordi di quel che era successo nell’ultimo anno, con il posto d’onore riservato all’epico viaggio del Savio e della Santa a Cuba, ma senza trascurare altri episodi, con particolare riguardo a quelli che avevano avuto per primattore il festeggiato, come la sua giornata da sindaco celebrante del matrimonio fra il Musico e la Trendy.
(...)Il Savio ha osservato la disposizione, ha valutato una certa stanchezza e reiterazione dei discorsi e ha deciso che era giunto il momento di raccontare agli amici i risultati di quel suo passatempo estivo che tanto gli aveva dato da pensare.
Il Savio ha iniziato spiegando agli amici come gli fosse venuta in mente quella stramba idea, come avesse proceduto nelle valutazioni e quali regole si fosse imposto. (...) Alla fine, o quando il Savio è sembrato aver concluso, il Mago è scoppiato in un’aperta risata e ha iniziato a sfottere l’amico: «Ma come ti viene in mente di sfogarti con certe stronzate?» gli ha domandato per riassumere il suo giudizio. Il Cinico è apparso quasi alterato e ha accusato il Savio di essere un piagnucoloso perdigiorno, uno che si era lamentato per mesi dei carichi di lavoro e che invece aveva passato ore a elaborare strani e personalissimi dati di nessuna utilità. (...) «Sbagliate a farmi passare per uno sciocco – ha proseguito imperterrito e serissimo il Savio – Perché questo giochino mi ha suggerito qualche osservazione che ha un valore assoluto, ben oltre i Mondiali o il calcio. In effetti, io mi ricordo benissimo che lo scorso anno, un paio di giorni dopo la finale di Berlino, a conclusione della nostra avventura mi invitaste a stilare una ideale classifica dei Mondiali, ordinandoli per gradevolezza e valore tecnico e agonistico, inserendo infine nella graduatoria quello che avevamo appena visto. Io non ebbi una grande difficoltà, e misi in fila le varie edizioni, almeno distinguendo quelle che ricordavo belle da quelle mediamente interessanti per finire con quelle brutte. (...) Ecco però che facendo le medie dei voti assegnati alle singole partite, valutazione soggettiva ma sempre mia quanto la classifica che avevo fatto a suo tempo, escono risultati assolutamente contraddittori rispetto alle mie antiche certezze. (...) La somma dei singoli episodi ricordati dalla memoria (le partite) dava un esito del tutto diverso a quel che la memoria ricordava nell’insieme».(...)
(...) «È chiaro no? – li ha stuzzicati con aria furba il Savio – La nostra memoria è estremamente selettiva. Alla fine, a incidere sui ricordi sono i picchi di qualità elevata, gli eventi davvero significativi o, in misura minore, le voragini e i disastri. A noi sembra di farci un’idea precisa di un evento o di un periodo o di una situazione, come se ricordassimo e soppesassimo tutto, come se avessimo una precisa sensazione del mood che caratterizza l’insieme. In realtà ricordiamo episodi, anche se abbiamo vissuto il tutto e ne abbiamo una generica cognizione; e ricordiamo in forma condizionante solo gli episodi più importanti e significativi. (...) Crediamo di giudicare in base a un ricordo complessivo, e invece lo facciamo sulla base di pochi e magari casuali accadimenti che ci hanno colpito».
(...) «Io però non sono d’accordo – ha poi fatto sapere il Mago con la massima calma – Perché anche a me, quest’estate, è capitato di riflettere sulla questione, partendo da tutt’altro approccio. (...) Allora per gioco, solo mentalmente, ho provato a ricordare le mete dei miei viaggi, le cose che avevo visto, ciò che mi aveva colpito, i luoghi che mi avevano impressionato e le sensazioni che avevo portato a casa da questa o quella vacanza. Curiosamente, sono giunto a conclusioni opposte alle tue. Nel senso che avevo ben in mente alcuni scenari straordinari, alcuni monumenti affascinanti, emozioni intense e attimi mozzafiato. Ma i viaggi che ricordavo con più piacere, nel complesso, erano invece quelli che meno avevano offerto brividi effimeri e che in compenso mi restavano impressi nella memoria per il senso di profondo appagamento, di benessere e di equilibrio psicofisico. A costruire la bellezza della vacanza non erano singoli picchi esaltanti, come dici tu, ma quelle sensazioni indefinite e tuttavia più complessive e totalizzanti».(...)
I ricordi si sovrapponevano, ciascuno citava momenti indimenticabili, grandi spettacoli naturali, meraviglie dell’uomo. La Pasionaria ha cercato di dare man forte al marito con un’affermazione perentoria: «Il Mago ha ragione. Io, per dire, faticherei a trovarvi un angolo o un monumento di Barcellona da suggerirvi per restare senza fiato. Non ci sono picchi, non ci sono meraviglie. Eppure in quella città mi trovo bene come in nessun altro posto, e questo lo sapete benissimo». Osservazione che non poteva essere contestata, tanto più quella sera, dopo che la Pasionaria aveva azzardato per la cena una fideuada catalana tutt’altro che semplice, giusto per onorare la città dei suoi sogni proibiti e ingolosire il marito.(...)
È stata l’Ingenua, dopo un significativo sbadiglio, a lanciare la ciambella di salvataggio. «Ma scusate, è proprio necessario stabilire delle regole per dire come si forma la nostra memoria?»(...)

Anniversari
(...) Le ultime due settimane hanno sbattuto in faccia ai nostri amici, come del resto a tutti, alcuni importanti anniversari pubblici, cui, nel caso specifico, si sono aggiunti anniversari privati...
(...) Se il decennale di quell’incidente sotto il tunnel parigino dell’Alma aveva incrociato le attenzioni del Savio, ben diverso era il discorso per quanto riguardava le strombazzatissime rivisitazioni cerimoniali dell’11 settembre. Da quelle, come sempre, i nostri amici si sono tenuti lontani, poco interessati a misurarsi con tesi preconfezionate che, comunque la si rigiri, scadono nel banale e nel risaputo. (...)
Caso un po’ diverso era, per il Mago, l’anniversario dell’omicidio del generale Dalla Chiesa. (...) Il fatto è che il Mago ricordava benissimo quella mattina di venticinque anni prima in cui aveva appreso della strage mafiosa. E la ricordava perché, al di là dell’importanza dell’evento, essa era coincisa con la partenza dei suoi genitori che festeggiavano con un viaggio i loro primi venticinque anni di matrimonio. Una ricorrenza che ora, come evidente, raddoppiava. (...) Spesso il Mago si sorprendeva a esplorare quale alchimia di amore e rispetto, affetto e coraggio, comprensione e tolleranza avesse consentito ai suoi genitori di vivere per cinquant’anni una solida vita di coppia, con tutte le loro diversità, ma persino con quelle somiglianze che a volte possono essere più un peso che un vantaggio. Era un’alchimia di sicuro diversa da quella che lo teneva unito alla Pasionaria, ed era giusto che fosse così. Quando pensava ai suoi genitori, e poi alla sua vita familiare, il Mago riconfermava mentalmente le parole che aveva detto al Musico e alla Trendy nel suo giorno da sindaco celebrante: ogni coppia, fondendosi, trova la propria strada verso la felicità; ed è una strada unica e irripetibile...
(...)Ci è già capitato di raccontare, in passato, di come i nostri amici rimpiangano spesso quegli antichi mercoledì di coppa farciti di partite spalmate in ogni orario, ben diversamente da quanto capita oggi. (...) Quelle splendide giornate, e serate, scandite dai cinque o sei incontri in successione erano diventate un lontano rimpianto, e in questo nulla aveva potuto l’abbonamento al satellite, giacché le nazionali sembravano del tutto snobbate dai palinsesti. Eppure questo mercoledì, di colpo, ripresentava un panorama seducente, e non solo e non tanto per merito del calcio, che pure aveva una discreta programmazione quantitativa (con il supporto di Eurosport e SportItalia) ma scontava gravi lacune
qualitative.(...) In compenso, al calcio si sommavano altri eventi, in questo settembre fin troppo gravido: dai mondiali di rugby agli europei di basket e pallavolo, la giornata prometteva di snodarsi in un intreccio e in una successione di partite ultimative e di emozioni forti, da non perdere per nulla al mondo...
(...) Il vero cruccio del Savio, però, è un altro. In questi giorni dovrà trovare la forza e il modo di chiedere nuovamente al Cinico di accompagnarlo a quell’appuntamento risolutivo col Piccolo Caimano che era saltato l’altra settimana. Immagina già le risposte dell’amico, tanto più incattivito dopo il bidone della volta precedente. Sarà un’operazione poco piacevole, ma anche questa volta dovrà armarsi di pazienza e sopportazione per arrivare al traguardo.
Ci sono grandi e piccole ricorrenze. Non solo le commemorazioni di eventi epocali, ma anche minuscoli ritorni di cose già fatte e già viste, che non si misurano con gli anni, i lustri o i decenni, ma si ripropongono ogni settimana o giù di lì. Ricorrenze continue che non hanno nulla di festoso, ma che danno il loro contributo per far girare, sempre sullo stesso quadrante, le lancette della vita.

Gli sbirri
Forse era quell’aria che avevano respirato una decina di sera fa nel centro sociale. Forse era un’indignazione antica, che emergeva prepotente, incattivita dalla sedimentazione e perciò ancora più potente. Il Mago e la Pasionaria avevano ridacchiato, quella sera al centro sociale, del “securitarismo” citato a ogni piè sospinto e dell’antagonismo lezioso e di maniera che sembravano sfoderare quei giovani. Erano sembrati vacui e prigionieri di un loro mondo e di un loro vocabolario. Ma ora, erano loro stessi, il Mago e la Pasionaria, a usare quei termini, e con ben altra forza, ben altro sdegno, ben altra rabbia. Nelle loro parole non vi era infatti nulla di rituale, ma una spontaneità che faceva quasi paura.
(...) Erano quasi le otto, quando il Savio e la Santa sono entrati nella casa del Mago, mentre gli altri stavano consumando gli ultimi bocconi di una cena veloce. Nulla lasciava pensare a un allegro convivio tra amici, d’altra parte. Le voci dei padroni di casa tuonavano lungo le scale, i toni non certo rilassati, le volgarità spese ad arte a condire una furia irrefrenabile.
Capitava spesso, al Mago, di ripensare a quei fatti di Genova di sei anni e passa fa. E a volte lo faceva con un certo disagio, come se per troppo tempo avesse sottovalutato l’accaduto, o comunque avesse accettato di pesarlo con le bilance del buon senso comune e dell’equilibrismo politico.
All’epoca, il Mago aveva osservato le cose da una certa distanza, pur seguendole passo dopo passo tra radio e tv. (...) Ma poi, con l’emergere dei particolari e delle notizie taciute in prima battuta, gli era montato dentro il disgusto, accompagnato anche dall’inquietudine. Perché quello che era accaduto nella caserma di Bolzaneto o l’irruzione premeditata alla scuola Diaz, assai più di quella morte in piazza che poteva pure passare per un incidente (a voler largheggiare in bontà assolutoria), erano qualcosa che andava ben oltre le regole del gioco.
C’era, in quelle violenze poliziesche, qualcosa che puzzava orrendamente di golpismo sudamericano, di desaparecidos, di tortura fisica e psichica. C’era la premeditazione e c’era l’accanimento. C’era la violenza brutale fatta di botte, pestaggi, insulti, minacce, costrizioni; e non era affatto una violenza cieca, quanto una precisa strategia punitiva e intimidatoria, a futura memoria. C’era una copertura politica, con quel fascista in doppiopetto a dirigere le operazioni, e c’era un’accurata scelta degli uomini giusti per portare a termine l’impresa. C’era l’omertoso difendersi gli uni con gli altri, l’insabbiare la verità, il complicare le indagini con la certezza di una protezione che assicurava l’impunità. C’era, al fondo, un protagonismo politico-militare delle forze dell’ordine, una voglia di farsi sentire e di menar le mani, una tentazione cilena che non si vedeva, in Italia, dai lontani decenni del tintinnar di sciabole e dell’invocazione ai colonnelli. (...)
Il Mago inveiva contro l’ennesima cortina fumogena che il potere aveva alzato per oscurare le sue malefatte. «Criminali impuniti! Ecco quello che sono. Bastardi che si rifiutano di rendere conto del loro operato. Alla fine, solo degli omuncoli vigliacchi capaci di sentirsi forti nel branco, armati e bardati, e timorosi di rispondere guardando le persone negli occhi. Gente che dovrebbe servire lo Stato, e che invece copre di merda tutto quel che sfiora. E i politici gli tengono bordone: a cominciare da quelli che hanno preso i nostri voti». (...) «Sono dei traditori, gentaglia eletta magari coi voti di quegli stessi che a Genova si sono presi le mazzate. Poi vanno in parlamento e insabbiano tutto, voltando il culo alla dignità». (...) La Pasionaria ha ripreso: «E così tutto il governo vira costantemente a destra. E ogni giorno fanno un consiglio dei ministri per varare qualche nuova misura in materia di sicurezza. Solo di quello sanno parlare: la sicurezza». «Sicurezza di facciata – ha puntualizzato il Mago – Un po’ di misure inutili, repressive a vanvera. Tanto per attizzare altre paure e fornire a queste qualche risposta demagogica. Robe che non risolvono alcun problema ma che deteriorano ancor di più il clima di una convivenza ormai incivile. E sempre senza sfiorare minimamente il tema della legalità vera».
«Di che vi meravigliate? – ha chiesto il Cinico col suo sorrisetto carogna – Mica prendono questi provvedimenti per inseguire Di Pietro o Mastella. È che anche i sedicenti Democratici sono fatti con questo impasto populista e privo di una propria cultura politica. Non fate finta di non sapere che anche in questo voto, quello che ha affossato la commissione sul G8, i centristi sono stati spediti in avanti, ma pure il corpaccione dei margheriti e dei diessini era contrario all’indagine parlamentare sugli sconci polizieschi. Qualcuno l’ha persino ammesso, come Violante»...
(...) «D’altra parte – ha poi detto il Mago con voce rassegnata – questa è la stessa gente che a Milano, alle ultime elezioni comunali, ha preferito candidare a sindaco un questurino, cioè uno sbirro, piuttosto che un premio Nobel per la Letteratura. Il che la dice sulla scala di priorità». (...) La Pasionaria ha sentito bruciarle nuovamente l’antica ferita mai rimarginata, dato che lei in quella campagna elettorale si era spesa parecchio in prima persona. «No – ha replicato decisa – Il fatto è che qui da noi Dario Fo è sottostimato. Punto e basta, senza troppe altre considerazioni di contorno. Altrove lo considerano un genio, si interessano alle sue attività politiche o culturali, lo premiano e lo inseriscono nelle classifiche delle grandi personalità viventi. Qui viene più o meno trattato come un povero imbecille, come un vecchio un po’ bislacco, uno fuori dal tempo e dai ritmi, svilito con inspiegabile masochismo anche da chi in qualche modo dovrebbe essergli debitore sul piano culturale»...

Il cerchio della vita
Gli appartenenti al genere umano, come tutti gli altri esseri viventi, hanno per caratteristica distintiva il fatto di nascere, crescere, riprodursi e morire. Tutto ciò che avviene tra i due estremi dell’esistenza è quello che ci qualifica e ci distingue gli uni dagli altri.

Il regalo dell’Indio di Tandil
Nessuno, onestamente, poteva giudicare meritato quel pareggio strappato in un avventurato finale dalla Juve, domenica scorsa, in quell’attesa rivincita contro la Storia e la Giustizia che era (appariva) la sfida con l’Inter. La partita era stata di quelle classiche e lineari, e doveva ragionevolmente concludersi con il classico 2-0. (...) Non era andata così. La Juve aveva tenuto botta, si era aggrappata al suo portierone per evitare quel secondo gol che avrebbe chiuso il discorso, si era un poco rivitalizzata con l’ingresso di quello sgherro e imprevedibile omarino con la faccia da indio; quell’italo-argentino di Tandil al quale era toccato in sorte di pareggiare pure i conti, con un tiro sghembo e sporco, deviato e impennato, favorito da uno scivolone di un difensore interista e dalla malaccorta copertura di un altro. Un gol rocambolesco, come si diceva un tempo, frutto del fato e della voglia più che della lineare logica tecnica. (...)
Non tutti avevano gioito, a quel gol. Tra quelli che non avevano cacciato l’urlo liberatorio e fiero vi era sicuramente il Brasseur. La mancata esultanza non dipendeva certo dal fatto che il Brasseur non fosse felice. Anzi. Non crediate che sia un interista, o comunque uno che non ha in simpatia le maglie bianconere. Al contrario, il Brasseur è uno juventino a tutto tondo, e di quelli paradigmatici, impregnati dello stile della Real Casa. Tra gli amici dei nostri, il Brasseur è il più autenticamente juventino, per dirla tutta. (...) Amico soprattutto del Savio, ma buon frequentatore anche della casa del Mago e spesso in sintonia con le sentenze disincantate del Cinico, il Brasseur è uomo di grande e piacevole compagnia, con una cifra stilistica nei rapporti che cela la formalità trasformandola in garbato solidarismo. Si occupa di affari, e chiamarlo procacciatore o mediatore sarebbe stato probabilmente più giusto. Ma i nostri lo hanno gratificato col nome di Brasseur, omaggio alle sue orgogliose origini sabaude e a un certo francesismo nei modi. Un vero juventino, insomma, forgiato inequivocabilmente nella Torino dei Savoia e degli Agnelli.
Non ha esultato, domenica sera, semplicemente perché in quegli stessi momenti il Brasseur era impegnato ad assistere alla nascita del proprio figlio. Il piccolo Erede Sabaudo aveva deciso, con più di una settimana di ritardo, di venire alla luce proprio in quei momenti, simultaneamente al finale di partita tra Juve e Inter...
(...) Quel parto non era giunto in modo naturale e improvviso. Era stato anzi un travaglio lungo e complesso, il cui esito felice rende ancora più contenti e sollevati coloro che aspettavano con ovvia ansia il momento della nascita. Con un parto così e un figlio tra le braccia, il Brasseur aveva tutto il diritto di non preoccuparsi, per una volta, delle sorti bianconere.
Quel gol, dunque, non è stato certamente apprezzato a dovere, sul momento. Eppure piace credere che sia stato un piccolo ma significativo omaggio dell’Indio di Tandil al Brasseur, per festeggiare con lui la nascita del piccolo Erede Sabaudo. Un dono consegnato in tempo reale, giusto qualche istante prima del parto, o forse subito dopo.
Vedendo le cose da un altro punto di vista, era anche un bel modo per ritagliarsi un eterno spazio nella memoria di una persona. Perché un domani, e per sempre negli anni, quando il Brasseur avrebbe ricordato la sera in cui nacque il suo primo figlio, pur con tutto il senso delle proporzioni e della relativa importanza delle cose, non avrebbe potuto evitare di farsi venire in mente che il bambino era nato giusto nello stesso momento in cui la sua amata squadra trovava la forza di ritornare alla vita del grande calcio.
E per l’autore di quel gol sporco e fortunoso era un bel modo di entrare in eterno nella memoria di un uomo.

L’eredità del Barone di Valdemarsvik
Dopo che il Mago aveva parlato della nascita, toccava occuparsi della morte. Ed era compito del Savio, con la sua enciclopedica memoria, ricordare la figura di Nils Liedholm, scomparso giusto il giorno prima...
(...) La grandezza del giocatore che era stato, sfuggiva per questioni anagrafiche al Savio e agli altri due: mai lo avevano visto calcare i campi di calcio, e quei frammenti di repertorio non bastavano certo a rendere giustizia, e forse neppure a dare l’idea.
Si poteva parlare, questo sì, di quel che il Barone aveva fatto nella sua carriera di tecnico. Una carriera breve, ha notato il Savio, che aveva concentrato le sue tappe più significative nell’arco di una dozzina di anni. (...) Sembrava una carriera bruciata verde, proseguita in provincia per un lustro abbondante, senza infamia e senza lode. Poi si era rilanciato con quel paio di stagioni alla Fiorentina dei giovani, dove aveva mostrato un calcio fresco e nuovo. E quindi aveva iniziato il suo pendolo tra Roma e Milan, con un terzo posto nella capitale salutato trionfalmente, un rilancio dei rossoneri presi in mano dopo una salvezza faticosa e portati a sfiorare prima e vincere poi lo scudetto; quindi il capolavoro del ritorno a Roma, con lo scudetto e un ruolo importante in Europa...
(...) Quelle mascherature, quelle provocazioni verbali, quel nascondersi dietro iperboli del Barone non entusiasmavano per nulla lo spirito diretto del Mago. Gli riconosceva però, e senza alcuna difficoltà, una grandezza tecnica che andava oltre i trofei conquistati. Il Barone era stato il primo ad applicare in Italia il gioco a zona, ignorando certe obbrobriose parodie di improvvisati santoni che lo avevano preceduto. Non era un inventore, né mai aveva preteso di esserlo, ma di sicuro un importatore, e adattatore, di un sistema di gioco che da noi era quasi sconosciuto. Si era costruito quel prototipo di zona brasiliana rivisitata, fatta di possesso palla, di studiata lentezza, di intuizione sagace negli anticipi e nelle chiusure degli spazi, di abbassamento voluto dei ritmi, di impennate improvvise affidate all’estro individuale. (...) Finché era stato l’unico zonista in un panorama di marcatori a uomo, il Barone aveva spopolato. Poi erano arrivati contaminatori della zona mista, e quindi gli epigoni del calcio olandese e i seguaci del sacchismo, con la loro zona trafelata, tatticista, basata sull’aggressione e sul fuorigioco. E per Liedholm, molto rapidamente, era giunto il tempo della pensione.
A quel punto il Savio ha ripetuto un suo antico giudizio, che già tante volte aveva espresso agli amici. Il succo era che il Milan di Berlusconi era stato grande perché aveva avuto la fortuna (o l’abilità, se l’antipatia umana non deve velare eventuali meriti) di azzeccare la successione dei tecnici tra la metà degli anni ottanta e la metà dei novanta.
Prima era venuto il maestro Liedholm (che era già lì, e che i nuovi dirigenti non si erano sentiti di cacciare subito), il quale non aveva vinto nulla, aveva portato a termine due campionati insipidi e mollicci, ma aveva rifinito i fondamentali tecnici di tutti quelli che poi sarebbero rimasti o arrivati(...). Troppi, il più delle volte, dimenticavano che quei due anni apparentemente fallimentari del Barone erano stati propedeutici, ed essenziali, a un ciclo di grandi successi. (...) Forse era questa la grande eredità lasciata dal Barone di Valdemarsvik: il lascito di un patrimonio tecnico invidiabile a una squadra che, con altri, sarebbe diventata grande grazie ai suoi insegnamenti...
(...) Oppure, come pensava il Mago, la vera eredità del Barone stava in quel gioco semplice e raffinato che aveva insegnato all’Italia. Quella zona cui il Mago stesso, da quegli anni, si era conformato nella sua piccola carriera di allenatore di ragazzini. Un calcio facile e allegro, gioioso e piacevole da giocare; una ricetta semplice, che poteva essere cucinata agevolmente anche da un cuoco amatoriale, alieno ai fronzoli e alle sperimentazioni ardite....


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A muso duro (10 agosto - 19 novembre 2007)