Intervista a monsignor Capovilla
segretario di Roncalli


"Ecco perché papa Giovanni
non rivelò il mistero"


di Orazio La  Rocca
(La Repubblica, 26 giugno 2000)


ROMA - Monsignor Capovilla, il cardinale Ratzinger nei giorni scorsi in un'intervista a Repubblica ha preannunciato che non ci saranno ulteriori grandi rivelazioni sul terzo segreto di Fatima. Anzi, secondo il cardinale ci sarà persino un "ridimensionamento di queste cose". Lei è uno dei pochi che conosce il documento: può confermarlo?
"Prima di rispondere, voglio sentire cosa dirà oggi il cardinale Joseph Ratzinger intorno al terzo segreto. Parlarne prima non è corretto".
Ma è vero che papa Giovanni XXIII, di cui lei è stato segretario, sottovalutò il documento?
"Non ci fu nessuna sottovalutazione. Piuttosto, il Santo Padre mostrò nei confronti del segreto grande attenzione e grande prudenza. Non a caso, prima di decidere di sigillare il messaggio, accompagnandolo con un suo personale commento, si consultò con alcuni tra i più alti esponenti della Curia, compreso il prefetto dell'allora Sant'Uffizio".
Ci può raccontare come Giovanni XXIII trovò il testo? "Il documento era stato inviato in Vaticano da suor Lucia nel 1954. Non ho mai saputo la reazione di Pio XII, predecessore di Giovanni XXIII, quando lo lesse prima di inviarlo al Sant'Uffizio. Escludo, comunque, che ci furono svenimenti. Il plico col testo fu portato al Papa il 17 agosto 1959 a Castel Gandolfo da padre Paolo Philippe, commissario del Sant' Uffizio. Era un lunedì. Lo lesse il venerdì successivo, il 21 agosto, alla presenza del suo confessore, monsignor Angelo Cavagna. Siccome il testo era scritto in dialetto portoghese, fu fatto tradurre da un monsignore portoghese, Paolo Tavares, della Segreteria di Stato. Io ero presente. Furono informati i capi della segreteria di Stato e del Sant'Uffizio, e qualche altro alto prelato, tra cui anche il cardinale Agagianian".
Papa Giovanni come reagì quando lesse di un "vescovo vestito di bianco" ferito da arma da fuoco?
"Dopo la lettura, il Papa mi dettò una sua nota che fu allegata al documento nella quale attestava che aveva preso visione del contenuto e che rimetteva agli altri l'incombenza di pronunciarsi. Mi disse solo "Lascio ad altri il giudizio" su questo documento. Per il resto, invitò tutti alla preghiera. Il plico fu poi messo nel tiretto dello scrittoio della camera da letto del Papa, dove in seguito lo trovò Paolo VI".
E Paolo VI, mai intervenne sul terzo segreto? "Me ne parlò 5 anni dopo la sua elezione, nel 1968, dicendomi che aveva semplicemente visto il plico. Ma, a quanto mi risulta, sul messaggio ha sempre osservato un forte riserbo".
E' difficile immaginare che nessun Papa, prima di Wojtyla, possa essere rimasto indifferente di fronte a una profezia circa un "vescovo vestito di bianco" che sarebbe stato colpito. Non è vero? "Il riserbo non significa indifferenza. Non è secondario il fatto che Giovanni Paolo II e i suoi immediati predecessori abbiano parlato di Fatima sempre con forte misticismo e con ripetuti richiami alla penitenza e alla preghiera. Non va dimenticato che Giorgio La Pira, prima di andare a Kiev - cioè nell'Est - in piena guerra fredda su sollecitazione papale si recò a pregare a Fatima...".
Ma lei, dopo la lettura del messaggio, non ha mai temuto, negli anni successivi, per la vita del Papa? "Vediamo cosa dirà oggi su questo aspetto il cardinale Ratzinger. Io, da allora, in verità ci ho pensato spesso. Specialmente nell'81. Ma al terzo segreto di Fatima ho pensato anche quando è venuto a Roma e in Vaticano per la prima volta l'ex presidente dell'ex Urss, Mikhail Gorbaciov, oppure quando il cardinale Slipy dopo anni di prigionia all'Est fu liberato e mandato in Vaticano. Erano i segni della conversione che incominciava a camminare, anche se a piccoli passi, all'Est e in Russia: frutti di preghiera e penitenza. Proprio come le predizioni della Madonna di Fatima".