Il Castello di Maddaloni

 L'edificio è situato a 170 metri sul livello del mare, ha una forma irregolare e nel corso degli anni ha subito molte trasformazioni, come si possono notare ancora oggi.

Il complesso della fortificazione è sviluppato intorno alla grande torre rettangolare che è alta più di venti metri.

Essa si sviluppa su due livelli: il primo è composto da due stanzoni, separati da un muro centrale, traforato da due archi a tutto sesto, che mantiene le due volte a botte; il secondo è formato da un unico ambiente, attualmente scoperto, ma tempo fa coperto da una volta a crociera.

Anticamente, al castello si entrava dal primo livello, con l’ausilio di un ponte levatoio ( sono ancora visibili delle mensole conficcate nel muro, al lato nord della torre insieme a buchi che tenevano le catene del ponte ) che veniva poggiato, dai militari, dalla torre al muro di cinta, dove vi erano delle scale che portavano al piano superiore.

L’accesso al piano terra è opera recente, e conduce ad un cortile, dal quale si entra nei due stanzoni descritti prima. Da qui si accede ad una grande sala, che doveva essere di rappresentanza; da questa si passa ad altri due vani più piccoli posti uno dopo l’altro.

La sala più grande è dotata di due finestroni a sesto acuto, che ( sul lato destro ) si affacciano verso la torre Artus, che dista una cinquantina di metri più giù.

Le volte delle tre sale furono ricostruite dalla famiglia De Sivo ( nel 1821 ) e decorate con affreschi che, ancora oggi, si possono ammirare, nonostante il tempo e l’abbandono li stiano sciupando.

Nelle volte delle due sale più piccole campeggia una insegna araldica, che raffigura un leone rampante su sfondo verde, con una fiaccola tra le zampe anteriori ( ed è disegnato ), su un busto di armatura, con un elmo con visiera, a feritoie leggermente inclinate. Sull’elmo ci sono tre pennicchi piumati bianchi e sul lato destro del cimiero c’è un’impugnatura di una spada e la punta di una lancia, mentre sul lato sinistro ci sono rappresentate la punta di una lancia ed un’ascia.

Ai lati del busto, dall’altezza delle spalle fino al bacino, ci sono due drappi bianchi con due lance, che fungono da aste. Lo stesso stemma è dipinto, come particolare, su un lato della sala grande ( sembra di fattura più antica e interessante ) ed ha inoltre una scritta “ VIS MIHI LUX “ e, a detta di qualcuno che conosce la storia, questa insegna doveva essere della famiglia Sabrano, che ebbe in suffeudo Maddaloni per poco tempo (concessione di Carlo II del 28 gennaio 1304 ad Ermengano Sabrano, di casa francese). Il De Sivo nel suo libro su Maddaloni scrive: “I Sabrani avean per insegna un leone d’argento in campo rosso”.

Però, con mio stupore, soffermandomi un giorno ad ammirare la cappella della famiglia De Sivo (sita nel cimitero di Maddaloni), ho notato che lo stesso stemma è inciso sul pavimento di marmo; ciò mi fa pensare che esso potesse essere il simbolo araldico della famiglia dello storico.

Le altre parti che costituivano il castello erano le cisterne ed il muro perimetrale che finiva ai piedi della torre Artus, scomparso dal lato della cava. Al lato nord sono ancora visibili tracce della merlatura e delle feritoie per la difesa.

Una torretta quadra, con ponte levatoio, controllava l’accesso ad una seconda cinta muraria merlata, composta da piccole torri quadrate, che racchiudeva tutto il perimetro della collina verso il centro abitato. Invece, per chi veniva dall’antico borgo murato l’ingresso al castello era da sud attraverso una torretta quadrata adiacente al grande torrione.

Tito Livio, narrando le vicende di Roma del 541 nel libro “ Historae  ”, nominò i nostri luoghi affermando che Annibale, mentre era impegnato a combattere in Puglia, ebbe la notizia che la sua Capua era stata assediata dai romani ed (egli), invece di continuare a lottare per la presa di Taranto, diede ordine ai suoi uomini di rientrare in Campania. Durante il cammino si trovò in una valle occulta dietro il monte Tifata, vicino Capua, vide il castel Galazia e decise di  occuparlo con la forza. Da lì corse per cacciare i romani da Capua che, a loro volta seppero resistere bene e Annibale per rabbia si avviò verso Roma, con l’intento di assediarla, ma anche lì fu respinto. Questo episodio fu scritto anche dal De Sivo nel suo libro “ Storia di Galazia Campana e di Maddaloni  ”. Maggiori informazioni, invece, si hanno in periodo normanno al quale si fa risalire l’edificazione del castello che diventa luogo strategico per la conquista del ducato di Napoli da parte di Ruggero II, come si evince dalla cronaca di Alessandro da Telese. Con la fine del regno normanno il valore strategico del castello diminuì come testimoniato da un diploma del 1209, dal quale si intuisce che lo stesso è considerato più un tenimento exstramoenia che un baluardo militare.

Con Federico II fu di nuovo al centro di vicende storiche importanti; nel 1230, a seguito della pace di Ceprano, fu dato in pegno al papa Gregorio IX. Acquisì di nuovo importanza nella guerra tra angioini e durazzeschi quando fu al centro di diverse operazioni militari.

Re Ludovigo d’Ungheria venne in Italia con sedicimila uomini per vendicare la morte del fratello Andrea, ucciso la notte del 18 settembre 1345, all’età di diciannove anni,nel castello di Aversa ( per una congiura organizzata da Carlo, suo cognato, duca di Durazzo, e fatta eseguire da un gruppo di sicari guidati da Carlo Artus ). Si fermò al Castello di Maddaloni, che occupò per fronteggiare meglio re Luigi, che stava a Capua e che aveva sposato Giovanna, moglie del giovane Andrea ucciso dalla congiura. Giovanna, che era sospettata da re Ludovigo, quando fu riconosciuta non colpevole dell’uccisione del giovane marito dal papa Clemente, il re, ( già pago di aver visto morire gli assassini di suo fratello e stanco di stare in Italia ), partì da Maddaloni per andare in Ungheria. Intanto la regina ritornò dalla Provenza, dove si era rifugiata e con il nuovo marito, Luigi, fu incoronata a Napoli.

Il Castello di Maddaloni  ospitò il re Luigi di Taranto nel 1353, quando di persona volle affrontare il ribelle conte di Caserta, Francesco della Ratta. Un giorno al re, che stava sul verone del castello, fu posto davanti un prigioniero amico del ribelle: tante persone si avvicinarono per vedere ed  all’improvviso, per la calca, crollò il verone, trascinando nel burrone i soprastanti, ( dei quali diciotto morirono ) e solo per la prontezza dei riflessi del principe di Taranto, il re Luigi non cadde anche lui, scampando alla morte.

Un altro re dimorò nel castello, Luigi d’Angiò che, alla morte della regina Giovanna, ereditò il suo regno che, però, fu conteso da re Carlo di Durazzo; varcata la frontiera, cavalcò verso Maddaloni e vi si acquartierò. Ciò accadde il quattordici ottobre del 1382 e portava con se i più potenti signori di Francia e del regno, con più di quarantamila soldati a cavallo. Il freddo, la peste e il cibo che mancava, in un inverno insolitamente rigido, decimarono i soldati e i cavalli di quell’esercito e il re non potette più attaccare Napoli e, lasciata Maddaloni, si diresse verso la Valle Caudina e così i durazzeschi ripresero Maddaloni.

                                         

                                                                            Antonio Pagliaro

 

 

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