GIACINTO DE' SIVO (1814-1867)

Eroe borbonico e Storico maddalonese

 

    

Alcune immagini di  Giacinto de' Sivo

Giacinto de' Sivo, scrittore e storico napoletano, nasce a Maddaloni, in Terra di Lavoro, il 29 novembre 1814. Il padre,Aniello,era un valoroso ufficiale dell’esercito borbonico e sua madre si chiamava Maria Rosa Di Lucia. Il nonno Giacinto aveva armato a sue spese dei soldati per difendere il regno, in occasione dell'aggressione giacobina e francese. Anche il padre era stato un ottimo ufficiale dell'esercito napoletano, ma aveva dovuto congedarsi  a causa di un infortunio. Il giovane Giacinto preferisce studiare anzichè dedicarsi, come i suoi familiari, alla carriera militare, e frequenta, a Napoli, la scuola del marchese Basilio Puoti (1782-1847), maestro di lingua e di elocuzione italiana. Nel 1840 dà alle stampe la prima di otto tragedie, Costantino Dracosa; dopo quattro anni, pubblica la seconda tragedia, Florinda d’Algezira. In questo stesso anno si unisce in matrimonio con la nobildonna  Costanza Gaetani dell'Aquila d'Aragona dei duchi di Laurenzana, figlia del conte Luigi(maresciallo di campo e aiutante generale del re), dalla quale avrà tre figli: Aniello, Luigi e Rosa Pia. Nel 1846 pubblica un romanzo storico, Corrado Capece. Storia  pugliese dei tempi di Manfredi. Parallelamente all'attività letteraria, entra a far parte della Commissione per l'Istruzione Pubblica e, nel 1848, è nominato consigliere d'Intendenza della provincia di Terra di Lavoro. L'anno seguente è capitano di una delle quattro compagnie della Guardia Nazionale di Maddaloni, fino allo scioglimento di quest’ultima; in seguito comanda, per alcuni mesi, la ricostituita Guardia Urbana. Gli avvenimenti del biennio rivoluzionario 1848-1849, che recano le prime gravi minacce all'integrità dell'antico Stato napoletano, turbano il giovane Giacinto e lo inducono a dedicarsi alla riflessione storica per comprendere le ragioni dell'immane tragedia che sconvolge l'Europa. Nel 1852, pubblica l’Elogio di Ferdinando Nunziante e, l’anno successivo, il Sonetto dedicato al Re Ferdinando II; pubblica anche la terza tragedia, Gedeone, poi, in ordine cronologico, le altre, Manasse (1854), La figlia di Jefte (1857), Partenope (1858), La cena di Alboino (1858),Belisario (1860).  I tristi presentimenti avuti nel 1848 diventano  realtà  nel 1860 quando, aggredito dalle camicie rosse all’ordine di Giuseppe Garibaldi e dall'esercito sardo, il Regno delle Due Sicilie finisce di esistere. Il 6 settembre il re Francesco II lascia Napoli“ perché non le fosse arrecato danno…”. Il 14 dello stesso mese una brigata garibaldina entra in  Maddaloni. De’ Sivo, fedele servitore dei borboni, si rifiuta di andare a Napoli a rendere omaggio a Garibaldi, e di conseguenza viene destituito dalla carica di consigliere d'Intendenza .Inoltre,la sera stessa la sua villa è circondata da centinaia di uomini armati, che lo prelevano e lo conducono a Napoli con apposito convoglio ferroviario,dove viene imprigionato. La sua villa, occupata da Bixio e da altri capi garibaldini, è saccheggiata. Scarcerato alcune settimane dopo, il 1° gennaio 1861 viene portato via di casa di notte, senza nessun motivo e viene nuovamente arrestato. Finalmente liberato due mesi dopo, vuole sperimentare la "vantata libertà della parola" e inizia la pubblicazione di un giornale legittimista, La Tragicommedia”. Il vessillo del giornale è il "prepotente amore" alla patria, che non è la "Patria" astratta e letteraria dei rivoluzionari, bensì "idea semplice cui ciascuno intende senza dimostrazione; è il suolo ove siam nati, ove stan l'ossa degli avi, la terra de' padri". Il giornale , che nasce anche con l'intento di "[...] ricordar le ricchezze dileguate, l'armi perdute, fra' rimbombi de' cannoni, e i gemiti de' fucilati, e i lagni de' carcerati", viene soppresso dalle nuove autorità dopo i primi tre numeri. Minacciato di essere imprigionato per la terza volta, lo storico maddalonese sceglie la via dell'esilio. Avvilito e rattristato, il 14 settembre 1861, col bastimento a vapore “Il quirinale”, lascia Napoli per Roma, da dove non farà più ritorno. In questa notte senza pace, compone il sonetto intitolato “Oh patria mia”: cerca conforto nella poesia. I giorni romani trascorrono lunghi e irrequieti,il suo pensiero è rivolto sempre a Maddaloni, le preoccupazioni maggiori riguardano la sua famiglia, la sua casa invasa dai garibaldini dei generali Avezzana prima e Carbonelli poi,la carcerazione subita, e la “Nazione napoletana” calpestata. Legittimista e a difesa “del trono e dell’altare” , struggente, ricca di accenti nostalgici per la propria terra e aperta alla provvidenza è la parte finale del “Discorso pe’ morti nelle giornate del Volturno” scritta il 1° ottobre 1861, per le esequie commemorative dei soldati borbonici caduti in battaglia. Qui il nostro Giacinto dichiara che “ il patire e il morire non sono un male; un male l’essere ingiusto; la Fede imperitura; l’usurpazione come la tempesta transitoria: Si ,rivedremo i nostri cari monti, le nostre campagne benedette,… ritorneremo a’ paterni focolari, riabbracceremo le spose, ribaceremo i  figli nostri”. Gli ultimi anni della sua vita sono dedicati alla difesa, spesso polemica, dell'identità nazionale del paese - appartengono a questo periodo gli opuscoli “Italia e il suo dramma politico nel 1861” e “I Napolitani al cospetto delle nazioni civili” - e, soprattutto, alla riflessione e alla ricostruzione storica. Dà alle stampe “Storia di Galazia Campana e di Maddaloni” e porta a termine la “Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861”, che rappresenta il culmine della sua produzione letteraria e storica. Il primo volume esce nel 1863, (seguito l’anno dopo dal secondo) ed è recensito su “La Civiltà Cattolica” dal gesuita Carlo Maria Curci (1809-1891), che lo giudica lavoro di "altissimo pregio" quanto "a sanità di principii, a nobili sentimenti di onestà e di religione, a coraggiosa franchezza nel qualificare le cose e le persone coi proprii loro nomi “. L’opera suscita gioia agli onesti, ma provoca violente proteste da parte di responsabili di dubbi e doppiezze. Il re gli assegna la croce costantiniana ma, delle 400 copie che aveva prenotato, ne ritira solo alcune decine. E’     costretto a stampare il terzo volume a Verona, nel 1865. L’anno successivo il Veneto è annesso al Regno d’Italia e il tipografo,intimorito, non pubblica gli ultimi due volumi e non gli restituisce neanche i manoscritti, per cui è costretto a riscriverli dai suoi appunti. Infatti, nella prefazione al quarto volume, uscito nel 1867 col quinto, scrive:    “ se dovessi raccontare la storia di questa storia!...”. De' Sivo intraprende quindi un nuovo lavoro, una difesa storica del Papato contro le calunnie rivoluzionarie e, nel 1865, scrive All’Italia, canzone. In omaggio a Dante Alighieri, offerto dai cattolici italiani.
La morte lo sorprende a cinquantadue anni, il 19 novembre 1867, nelle tarde ore della sera e viene sepolto nel cimitero del Verano. Sulla sua lapide queste semplici parole:”Salute, o Giacinto, vivi in Dio”. Nel maggio del 1960, la sua salma viene trasferita da Roma al cimitero di Maddaloni, dove tuttora riposa, nella  bellissima cappella di famiglia. Sulla sua lapide è scritto,tra l’altro,”A Roma il 13 dicembre 1867 ebbe fine l’esilio di Giacinto de’ Sivo fu
Aniello illustre per impegno, per lettere, per tragedie. La Storia di Napoli  e di Sicilia dall’anno 1847 all’anno 1861 compose con integrità e fede unica, ed in essa ogni genere di tradimento svelò per cognizione dei posteri. Agli offerti onori , purchè di parere si trattasse, preferì il carcere. Misurò tutto secondo l’onestà, non secondo l’opinione del volgo”.

Bibliografia:

Francesco Pappalardo: "Voci per un Dizionario del Pensiero Forte".            

Giorgio Massara: De’ Sivo e la “Conquista” del Sud.                                             

Pietro Vuolo: Giacinto de’ Sivo e la “sua” Maddaloni.

Gabriele Marzocco: Giacinto de’ Sivo (www.maddalonesi.it)

 

 

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