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Giordano Bruno

Il Convitto
ginnasiale il 14 maggio 1865 fu intitolato al nome del monaco domenicano
Giordano Bruno, non certo perché a Maddaloni era stata fortissima la presenza
domenicana, ma certamente per lo spirito anticlericale e laicistico che si
andava diffondendo in tutto il regno e, soprattutto, sulla scorta della nota
proposizione cavouriana “ libera chiesa in libero stato”. Ed era davvero
sconcertante intestare al filosofo nolano processato di eresia e morto sul rogo,
a Roma, in Campo dei fiori, il giovedì mattina del 17 febbraio 1600, un convitto
che fino a poco prima era stato detto, non senza confidente devozione, " Collegio
S. Antonio", ed ubicato là dove, nella gran tela del salone, si celebrava il
trionfo sull’eresia.
Giordano Bruno nacque a Nola, presso Napoli, nel 1548, da una famiglia
di modeste condizioni. Il padre Giovanni era un militare di professione e la
madre Fraulissa Savolino apparteneva ad una famiglia di piccoli proprietari
terrieri. Gli fu dato il nome di battesimo di Filippo. Compì i primi studi nella
città natale, ma nel 1562 si trasferì a Napoli dove frequentò gli studi
superiori e seguì lezioni private e pubbliche di dialettica, logica e
mnemotecnica presso l’Università. Nel giugno 1565 decise di intraprendere la
carriera ecclesiastica ed entrò, col nome di Giordano, nell’ordine domenicano
dei predicatori nel convento di S. Domenico Maggiore.
Nel convento cominciò subito a manifestarsi il contrasto tra la sua personalità
inquieta, dotata di viva intelligenza e voglia di conoscere e la necessità di
sottostare alle rigorose regole di un ordine religioso. Diventò
suddiacono nel 1570, poi diacono nel 1571 e sacerdote nel 1572, infine, dottore
in teologia nel 1575. Ma contemporaneamente allo studio dell’opera di S. Tommaso
amava leggere Erasmo da Rotterdam,i cui scritti erano rigorosamente
proibiti e la cui scoperta causò l’apertura di un processo locale a suo carico.
Era il 1576 e il tribunale dell’Inquisizione agiva con rigore ed efficienza per
cui il Bruno, temendo per la gravità delle accuse, scappò da Napoli abbandonando
l’abito ecclesiastico. Ebbe così inizio la serie incredibile dei suoi viaggi ,
durante i quali si mantenne impartendo lezioni di geometria, astronomia,
mnemotecnica, filosofia, etc. Dal 1577 al 1578 soggiornò a
Noli, a Savona, a Torino, a Venezia e a Padova dove, su suggerimento di alcuni
fratelli domenicani e pur in mancanza di una formale reintegrazione nell’ordine,
rivestì l’abito. Dopo brevi soste a Bergamo e a Brescia, alla fine del 1578 si
diresse verso Lione ma, giunto presso il convento domenicano di Chambery, fu
sconsigliato di fermarsi in quella città di confine con i paesi riformati e
soggetta a particolari controlli, per cui decise di recarsi nella non lontana
Ginevra, la capitale del calvinismo.
Qui venne accolto da Gian Galeazzo Caracciolo marchese di Vico,
esule dall’Italia e fondatore della locale comunità evangelica italiana. Deposto
di nuovo l’abito, il Bruno aderì formalmente al calvinismo e fu immatricolato come
docente nella locale università (maggio 1579). Già nell’agosto però, avendo
pubblicato un libretto in cui stigmatizzava il titolare della cattedra di
filosofia evidenziando ben venti errori nei quali costui sarebbe incorso in una
sola lezione, fu accusato di diffamazione e quindi arrestato, processato e
convinto a pentirsi sotto pena di scomunica. Il B. ammise la sua colpevolezza ma
dovette lasciare Ginevra, non senza conservare in sé un forte risentimento.
Si recò allora a Tolosa dove ottenne
un posto di lettore di filosofia nella locale università e per due anni circa
commentò il "De anima" di Aristotele.
Nel 1581 lasciò anche Tolosa, dove si profilava una recrudescenza delle lotte
religiose tra cattolici e ugonotti e si recò a Parigi dove tenne, in qualità di
"lettore straordinario" (quelli "ordinari" erano tenuti a frequentare la messa,
cosa a lui interdetta come apostata e scomunicato) un corso in trenta lezioni
sugli attributi divini in Tommaso d'Aquino. La notizia del successo del corso
arrivò al re Enrico III al quale Bruno dedicò subito dopo (1582) il suo
"De umbris idearum" con l’annessa "Ars memoriae" ottenendo la
nomina a "lettore straordinario e provvisionato". E’ questo un periodo
di grande fecondità nella produzione filosofica e letteraria del Bruno, che
pubblica in breve successione il "Cantus circaeus", il "De compendiosa
architectura et complemento artis Lullii" e "Il Candelaio".
Con il favore del re divenne "gentilomo" (ma ben presto apprezzato amico)
dell’ambasciatore di Francia in Inghilterra Michel de Castelnau, che
raggiunse a Londra nell'aprile del 1583, e grazie al quale frequentò la corte
della "diva" Elisabetta. Continuò qui a pubblicare opere importanti: "Ars
reminiscendi", "Explicatio triginta sigillorum" e "Sigillus sigillorum" in unico
volume e subito dopo la "Cena delle ceneri", il "De la causa, principio et uno",
il "De infinito, universo et mondi" e lo "Spaccio della bestia trionfante".
L'anno dopo, sempre a Londra, diede alle stampe "La cabala del cavallo pegaseo" e il "Degli eroici furori". Quest'ultima opera, al pari dello Spaccio, è dedicata a sir Philip Sidney,
nipote di Robert Dudley conte di Leicester. Alcuni di questi testi risentono di
polemiche con l’Università di Oxford e, sospinto dall’irruenza del
suo carattere, durante un dibattito mise in difficoltà, senza troppi riguardi,
uno stimato docente: John Underhill, e restò così inviso a una parte dei suoi
colleghi che non mancarono di manifestare in seguito la loro animosità. Ottenuto
infatti, dopo alcuni mesi, l’incarico di tenere una serie di conferenze in
latino sulla cosmologia, nelle quali difese tra l'altro le teorie di Niccolò
Copernico sul movimento della terra, fu accusato di aver plagiato alcune
opere di Marsilio Ficino e costretto a interrompere le lezioni. L’episodio del giorno delle ceneri del 1584 (14
febbraio) è significativo, siccome il Bruno era stato invitato dal nobile inglese Sir Fulke
Greville ad esporre le sue idee sull’universo, due dottori di Oxford presenti,
anziché opporre argomento ad argomento, provocarono un acceso diverbio ed
usarono espressioni che il nostro ritenne offensive tanto da indurlo a
licenziarsi dall’ospite. Da questo fatto nacque "La cena delle ceneri" che
contiene acute e non sempre diplomatiche osservazioni sulla realtà inglese
contemporanea, attenuate poi, nel successivo
"De la causa, principio et uno". Nei due dialoghi italiani, Bruno contrasta
la cosmologia geocentrica di stampo aristotelico-tolemaico, ma supera anche le
concezioni di Copernico, integrandole con la speculazione del "divino Cusano".
Sulla scia della filosofia cusaniana, infatti, il Nolano immagina un cosmo animato, infinito, immutabile, all'interno del quale si agitano infiniti mondi
simili al nostro. Tornato in Francia a seguito del rientro del Castelnau, il
Bruno si occupò di una recente scoperta di Fabrizio Mordente, il compasso
differenziale, per presentare la quale scrisse - su invito dell’inventore - una
prefazione in latino la quale non fu accolta bene dallo stesso. Offeso, il
Mordente si affrettò a comprare tute le copie disponibili e le distrusse. Bruno
continuò la polemica pubblicando un dialogo dal titolo e dal tono sarcastico
"Idiota triumphans seu de Mordentio inter geometras deo" che indirettamente rese
più difficile la sua permanenza a Parigi, essendo il Mordente un fervente
cattolico amico del duca di Guisa, che di li a poco raggiunse il massimo del
potere, mentre il Bruno ribadiva la sua fedeltà ad Enrico III Di
nuovo in giro per l’Europa, il Bruno giunge nel giugno 1586 a Wittemberg, in
Germania, dove insegna per due anni nella locale università come "doctor italus",
al termine dei quali si congeda (anche per il prevalere in città della parte
calvinista) con una "Oratio valedictoria" con la quale ringrazia l’università
per averlo accolto senza pregiudizi religiosi. L’orazione contiene anche un
caloroso elogio di Lutero per il suo coraggio nell’opporsi allo
strapotere della Chiesa di Roma che ha grande valore come difesa della libertà
religiosa ma non rinnega i convincimenti critici del B. circa la dottrina
luterana rilevabili in altre opere (specialmente "Cabala" e "Spaccio"). Dopo un breve soggiorno nella Praga di Rodolfo II, cui dedicò gli
"Articuli adversos mathematicos", alla fine del 1588 si reca a Helmstedt dove,
per poter insegnare nella locale "Accademia Iulia" aderisce al luteranesimo.
. E’ in questa città comunque che vennero pubblicate
gran parte delle opere c.d. "magiche": "De magia , De magia mathematica", "Theses
de magia", ecc.
Pubblicati tre poemi latini (De triplice minimo, De monade, De
innumerabilis) e dopo alcuni mesi di permanenza a Zurigo dove tiene lezioni di
filosofia, si reca a Francoforte dove nella primavera del 1591 viene raggiunto da
due lettere del nobile veneziano Giovanni Mocenigo che lo invitano a
Venezia per insegnargli l’arte della memoria. Aveva fiducia nella tradizionale autonomia della
Repubblica veneta (dove di fatto sopravvivevano circoli aristocratici orientati
in senso "liberale") rispetto al Papa, ed aspirava alla cattedra di matematica
dell’università di Padova, allora vacante, che sarà poi di Galileo Galilei. Una cosa,
rileva il Ciliberto, Bruno non aveva previsto: "che razza di uomo fosse il Mocenigo" (Giordano Bruno, cit. pagg. 259 sgg.).
A fine marzo 1592 l’inquieto pellegrino
giunge in casa Mocenigo a Venezia. Dopo alcuni mesi il patrizio veneziano, forse
insoddisfatto nella sua aspettativa di mirabolanti tecniche magico-mnemoniche,
forse anche indispettito per il carattere indipendente del Bruno,contravvenendo
alle più elementari regole dell’ospitalità, rinchiuse Bruno nelle sue stanze e lo
denunciò alla locale
Inquisizione asserendo di averlo sentito profferire bestemmie e frasi
eretiche. Dopo un paio di mesi peraltro il processo, subito iniziato, si
presentava in modo abbastanza favorevole al Bruno e quando tutto faceva sperare in una
prossima
assoluzione, giunse improvvisamente da Roma la richiesta del trasferimento del
processo al tribunale centrale del S. Uffizio. La prima risposta del senato,
geloso custode dell’autonomia della Serenissima, fu negativa, ma dietro le
insistenze vaticane, nella considerazione che l’inquisito non era cittadino
veneziano e che il suo processo era iniziato prima del suo arrivo nella città
lagunare (ci si riferiva ai fatti del 1575) giunse alla fine il nulla-osta e nel
febbraio 1593 il gran peregrinare del Bruno terminò in una cella del nuovo palazzo
del S. Uffizio, fatto costruire da Pio V nei pressi di Porta Cavalleggeri.
Del processo, che si protrasse per ben sei anni e durante il quale per una volta
almeno si ricorse quasi certamente alla tortura, ci rimane una "sommario",
ritrovato stranamente nell’archivio personale di Pio IX e pubblicato da A.
Mercati nel 1942. Si tratta probabilmente di una sintesi compilata ad uso dei
giudici, per consentire loro una visione d’insieme che non era facile avere
nella gran congerie dei documenti originali.
Decisivo al riguardo fu l'ingresso nel tribunale nel 1597 del teologo gesuita
Roberto Bellarmino, chiamato ad esaminare gli atti processuali e soprattutto
le opere a stampa per enuclearne il contenuto eterodosso.
Quando il nolano, che pure durante il processo aveva cercato di dissimulare,
attenuare e talvolta anche accettato di ripudiare talune sue posizioni in più
aperto conflitto con la dottrina cattolica si trovò di fronte alla necessità -
per salvarsi - di rifiutare in blocco le sue idee, giudicate radicalmente
incompatibili con l’ortodossia cristiana, si irrigidì in un fermo e sprezzante
rifiuto e fu la fine. Il 20 gennaio 1600 Clemente VIII, considerando
ormai provate le accuse e rifiutando la richiesta di ulteriore tortura avanzata
dai cardinali, ordinò che l’imputato, "eretico impenitente", pertinace ,
ostinato", fosse consegnato al braccio secolare. Ciò significava, nonostante la
presenza nella sentenza della solita ipocrita formula che invocava la clemenza
del Governatore, la morte per rogo. L’8 febbraio la sentenza fu letta nella casa
del Cardinal Madruzzo e fu allora che il Bruno, come riferisce un attendibile
testimone oculare (lo Schopp) rivolto ai giudici pronunciò la famosa
frase "Forse avete più paura voi che emanate questa sentenza che io che la
ricevo" (trad. dal latino). Il successivo giovedi 17 febbraio 1600 - anno santo
- venne condotto a Campo de’ Fiori con la lingua in giova" cioè con una
mordacchia che gli impediva di parlare e qui, spogliato nudo e legato a un
palo venne bruciato vivo ostentatamente distogliendo lo sguardo da un
crocefisso, del quale stava condividendo la sorte ma che gli volevano far
apparire come carnefice. Nel
sommario del processo ci sono tramandati i capi d’accusa (24) ma non quelli
ritenuti provati nella sentenza, che peraltro ci sono così riferiti dallo Schopp,
a memoria:
1. Negare la transustanziazione;
2. Mettere in dubbio la verginità di Maria;
3. Aver soggiornato in paese d’eretici, vivendo alla loro guisa;
4. Aver scritto contro il papa lo "Spaccio della bestia trionfante";
5. Sostenere l’esistenza di mondi innumerevoli ed eterni;
6. Asserire la metempsicosi e la possibilità che un anima sola informi due
corpi;
7. Ritenere la magia buona e lecita;
8. Identificare lo Spirito Santo con l’anima del mondo;
9. Affermare che Mosé simulò i suoi miracoli e inventò la legge;
10. Dichiarare che la sacra scrittura non è che un sogno;
11 .Ritenere che perfino i demoni si salveranno;
12. Opinare l’esistenza dei preadamiti;
13. Asserire che Cristo non è Dio, ma ingannatore e mago e che a buon diritto fu
impiccato;
14. Asserire che anche i profeti e gli apostoli furono maghi e che quasi tutti
vennero a mala fine.
Di tali errori il quarto risulta manifestamente infondato essendo lo "Spaccio"
piuttosto antiluterano che antipapista; le volgari invettive contro Cristo, i
profeti e gli apostoli dei nn. 13 e 14 sono evidentemente echi di sfoghi
contingenti di una persona esasperata. Dove il contrasto con l’Istituzione
appare insanabile è piuttosto con il nucleo centrale della dottrina del Bruno,
adombrato nei punti 5, 6 e 8. Non è qui il caso di approfondire il sistema
filosofico del nolano, ma il solo pensare che la terra, da centro di un limitato
universo, oggetto specifico e privilegiato dell’azione creatrice di Dio, diventi
un minuscolo puntolino in un universo infinito e tra mondi infiniti; che tale
universo è pervaso e vivificato da uno spirito divino immanente; che nel
continuo trasformarsi della vita anche le anime, immortali, informano corpi
diversi, ecc. rendeva le Scritture, Cristo, la Vergine, i profeti e i dogmi come
imperfettissime ombre di una realtà che la filosofia mostrava ben più grande, e
tutt’al più utili a tenere quieti i popoli. Probabilmente le idee di Bruno non
sarebbero mai riuscite a far presa sulle masse, a sollecitare scismi
lontanamente paragonabili a quello luterano; ma insomma si trattava, in un certo
senso, di un tentativo di sostituire una nuova "summa" sull’universo a quella
tradizionale di S. Tommaso. E questo fu considerato un pericoloso
esempio, un attentato alla supremazia della teologia sulla filosofia, della
religione sulla ragione.
(Breve biografia stralciata
dai seguenti testi: "Giordano Bruno " di Michele Ciliberto, Laterza, Bari 1992; "Giordano Bruno" di Giovanni Aquilecchia, Ist. Encicl. Ital.,
Roma 1971; " Il processo di Giordano Bruno
" di Luigi Firpo, Salerno Edit., Roma
1993)
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