Breve storia della Città di Maddaloni

 

Sulle origini di Maddaloni non c’è una verità assoluta, ma solo ipotesi e le più credibili sono quelle del Mazzocchi, del De Sivo e del Piscitelli, canonico arciprete della collegiata.

Il Mazzocchi ipotizza che Mataluni derivi da Magdal (che significa “castello ”), riferendone l’origine alla parola araba; ma quest’ipotesi fu contestata e ritenuta infondata dal Piscitelli nel suo scritto (Dissertazioni per illustrare alcuni punti della storia di Maddaloni ), dimostrando che Mataluni esisteva già prima dell’invasione araba. Per il De Sivo, il punto di partenza era il monastero di Maria Magdala che esisteva già dal V secolo in via Maddalena, all’angolo di via Alturi, che gli abitanti eressero per devozione a questa santa e decisero di donarne anche il nome al paese.

La più antica notizia di Maddaloni si ebbe nel 774 (pubblicata dall’Ughelli) quando Arechi II, principe di Benevento, fondando il monastero di S. Sofia, tra gli altri beni gli assegnava la chiesa di S. Martino, sita nel luogo detto Mataluni. Secondo il Piscitelli questa notizia può essere vera: la chiesa di S. Martino, fino al 1807, fu dipendente da detta Badia, poi soppressa, e poi il basso popolo nostro e dei paesi vicini hanno sempre chiamato la nostra comunità Mataluni.

Il Piscitelli scrive anche che Matalo, principe dei Boji, fu di guida ad Annibale durante il passaggio tra le Alpi e poi lo seguì fino in Campania. Questi, abituati a vivere ai piedi delle Alpi, trovarono alle falde del Tifata un luogo conforme alle loro abitudini e lì si stabilirono e, dal nome del loro comandante, furono detti “Mataluni”. All’inizio Mataluni era considerato un borgo di Calatia e, quando questa fu distrutta dai Saraceni nel lontano 862, il toponimo Mataluni finì col prevalere su quello di Calatia; il castel Galazia e il suo territorio cominciarono a dirsi castello e territorio di Mataluni. Il periodo di maggior splendore iniziò con Ruggero il normanno che nel 1134 munì e guarnì il castello, mentre in epoca sveva il castello subì delle riparazioni (1231) e nel periodo angioino si arricchì della torre Artus (1390).Durante la guerra tra gli angioini e i durazzeschi la nostra città fu teatro di numerosi scontri che continuarono anche con la venuta degli aragonesi di re Alfonso prima e con il figlio Ferrante poi che nel 1460, per punire il castellano di Maddaloni, (per alto tradimento), bruciò il castello. Tutti gli abitanti che vivevano attorno ad esso, messi in fuga dal fuoco, non vollero più tornare lassù, dove molto era il disagio e non vi erano più rifugio e sicurezza.

La vita delle pianure, la vicinanza ai campi fertili, l’acqua a portata di mano, le chiese vicine e il piacere di vivere all’aperto e in libertà… Tutto questo concorreva a far lasciare le vecchie abitazioni, malagevoli e distrutte. Maddaloni fu dato in feudo a Diomede Carafa (1406-1487), giovane capitano valoroso e fedele già ai tempi di re Alfonso e, fra tutti i titoli accumulati, quello di conte di Maddaloni era per lui il più caro. Ritenendo inutile riparare il castello, fece costruire nella zona pedemontana il nuovo palazzo ducale (ora Villaggio dei Ragazzi).

Diomede indicò il suo primogenito, Giantommaso, erede universale che, pertanto, diveniva il secondo conte di Maddaloni.La sua dinastia durò quasi trecentocinquanta anni.

Giantommaso è ricordato come il primo della sua stirpe ad aver alzato l’insegna della Stadera, che poi tutti i Carafa discendenti di Diomede usarono, che li distingue dagli altri Carafa, detti

“della Spina”. A Giantommaso successe nel 1521 il figlio Diomede II, che da giovane si diede alle armi e servì Carlo V nella guerra contro Siena. Fu un padre sventurato per la violenta morte del primogenito Tommaso che fu ucciso a Mantova in duello contro un certo Maramaldo di Napoli.

Nel 1536, all’età di dieci anni, fu nominato Conte di Maddaloni Diomede III, figlio di Tommaso, che, una volta uscito dal tutorato, sposò la cugina Roberta Carafa la quale più che moglie fu per lui tutrice e gli estinse tutti i debiti. Re Filippo, il 6 aprile 1558, gli conferì il titolo di Duca di Maddaloni, per la sua fedeltà e per i grandi servigi resi alla corona. Il suo matrimonio non fu allietato dalla nascita di figli, perciò la sua dinastia proseguì con il nipote Marzio, figlio di Geronima ( sua sorella) e di Paolo Carafa (fratello di Roberta).

Marzio divenne il secondo Duca di Maddaloni per la rinunzia del fratello Lelio (primogenito), fu fedele servitore dei re Filippo II e Filippo III nelle guerre di Lombardia e Piemonte, con due compagnie di duecento cavalli a sue spese, una d’archibugieri e l’altra di lance.

Ebbe due figli, Diomede e Roberta la quale, dopo aver sposato il principe di Avellino, morì nel fiore dei suoi anni più belli, nel 1603, e il padre, straziato dal dolore, la fece tumulare nella ducale cappella dell’Annunziata di Maddaloni, nel sepolcro fatto costruire per se stesso. Dopo due anni conferì l’incarico al pittore fiorentino Balducci di dipingere il soffitto di detta chiesa. Marzio morì nel 1607 e gli successe il figlio Diomede IV, che sposò Margherita Acquaviva, la quale gli diede due figli, Marzio e Fabio. Nel 1610 donò all’università di Maddaloni la cifra di milleseicento ducati da destinare alle povere ragazze che intendevano sposarsi. Morì nel 1616 e al suo posto subentrò il figlio Marzio II. Questi, da giovane, combattè contro i lombardi e i piemontesi, aveva due compagnie di cento cavalli, fu fatto prigioniero a Milano e gli eletti di Maddaloni, il 28 maggio 1620, si riunirono per deliberare un donativo di cinquecento ducati a suo favore per estinguere i debiti e mandare qualcuno dal re Filippo per farlo uscire dalla galera. Si spense nel 1628.

Dopo Marzio II, dopo due anni di baliato, divenne duca di Maddaloni Diomede V (che i suoi paesani chiamavano Mustaccio per i suoi lunghi baffi), era un vero barone, magnifico, fiero, focoso, chiedeva molto ai suoi feudi anche perché spendeva molto. Aveva ventiquattro compagnie a sue spese e servì il re Filippo IV, fronteggiò Masaniello e poi dovette fuggire da Napoli. In seguito creò altri problemi che indussero il re a confinarlo in Spagna, a Pamplona, dove morì nel 1660. Il nuovo duca fu Marzio III, splendido cavaliere, studioso e bravo nelle lettere e nelle armi, viaggiò molto e fu accolto con onore dal re di Spagna, Carlo II, a cui rese molti servigi.

Nel 1703, a causa della sua scomparsa, fu nominato duca il figlio Carlo, capitano di sei compagnie e al servizio di Filippo V, fu grande di Spagna.Con la caduta del regno in mani austriache, l’imperatore Carlo VI, che voleva ingraziarsi i nuovi sudditi, lo convocò a Vienna e lo nominò Altezza serenissima, con tutti gli annessi privilegi. La morte lo colse due anni dopo, nel 1717. Marzio Domenico IV fu il nono duca di Maddaloni, ebbe come tutori la madre e lo zio Lelio, fu uomo di gran cultura e arricchì la biblioteca di famiglia con libri pregevolissimi e rari; inoltre, il 30 marzo 1727, ebbe l’onore di ospitare, per due giorni a Maddaloni, il Papa Benedetto XIII, che dimorò nel monastero dei Domenicani. Sette anni dopo andò incontro all’Infante di Spagna, Carlo, figlio di re Filippo V (venne in Italia per riconquistare il regno di Sicilia), per porgere le chiavi della città di Maddaloni in un bacile d’argento, in segno di sudditanza, cui l’Infante tolse e ripose nello stesso bacile. Gli eletti maddalonesi, a memoria di questo avvenimento, chiesero ed ottennero dal re il titolo di “città”.Il documento fu scritto su una pergamena con lettere d’oro e conservato nella casa comunale a firma del re Carlo III di Borbone. All’età di quarantadue anni il nostro duca si spense a Roma (28 novembre 1748).Il decimo duca fu Carlo II, figlio di Marzio Domenico IV, cultore di poesie e di drammatica. Durante i primi anni di questo duca, l’architetto Vanvitelli, iniziò i lavori dell’acquedotto carolino che fu costruito per alimentare le cascate della reggia di Caserta voluta dal re ( i lavori finirono nel 1759). Ebbe un solo figlio, che si chiamava Marzio Domenico V, il quale divenne l’undicesimo duca di Maddaloni, nel 1765, quando egli lasciò questo mondo. Il nuovo duca non ebbe fortuna: il suo matrimonio con la figlia del conte di Acerra fu sciolto perché egli era impotente, visse una vita sregolata e disonorò con il suo comportamento il casato. Contraeva debiti con tutti e pagava il doppio; nel corso della sua esistenza dilapidò tutto il patrimonio accumulato dai Carafa in quasi quattro secoli. Con la sua morte, che avvenne il 3 marzo 1829, si estinse la casata dei Carafa della Stadera. In precedenza, nel 1806, il nuovo re di Napoli, Giuseppe Bonaparte, di casa francese, aveva abolito i feudi e spogliato di tutti i beni i baroni che rientrarono al governo centrale, lasciando loro solo il possesso dei titoli. Anche la chiesa fu spogliata dei suoi beni e molti conventi furono laicizzati e ridotti all’uso pubblico o donati; il complesso francescano a Maddaloni ospitò nel 1808 il rinomato Collegio di Terra di Lavoro, che nel 1865 prese il nome di Giordano Bruno, filosofo nolano, per espressa volontà del re Vittorio Emanuele II. Il comune di Maddaloni, con delibera del 3 marzo 1850, offrì al re Ferdinando l’abolito convento dei Domenicani, per farne un quartiere militare e, nel 1859, vi giunsero 1600 soldati da Gaeta, mentre il Palazzo ducale, comprato dallo stesso re, fu utilizzato come caserma per il Real Collegio Militare del regno (dal 1854 fino al 1859).Queste due realtà diedero grande impulso alla città, che incrementò il commercio; furono costruite nuove case, le vecchie abitazioni furono abbellite, migliorò la qualità della vita dei residenti e la popolazione aumentò a dismisura.

Il primo ottobre del 1860, ai Ponti della Valle di Maddaloni, si svolse una cruenta battaglia tra i garibaldini di Nino Bixio e i Borboni di Von Meckel. Lo scontro iniziò alle otto di mattina e si concluse alle quattordici, quando i borboni scapparono verso Dugenta. Sul terreno rimasero molti morti e feriti e la battaglia fu decisiva per la perdita della Corona delle due Sicilie da parte dei Borboni e diede vita all’Unità d’Italia. A ricordo di questo evento, il primo ottobre 1899, fu inaugurato un ossario e grande fu la partecipazione di cittadini provenienti da tutta Italia.

Il corso Umberto I fu costruito nel 1885 per collegare la zona bassa con la zona alta di Maddaloni, cioè la Pescara e l’Oliveto. Il 17 Dicembre 1929 fu inaugurato il monumento ai caduti della prima guerra mondiale (morirono 275 maddalonesi), a cui partecipò anche il re Vittorio Emanuele III insieme ai reduci e ad una commossa cittadinanza; è tuttora possibile leggere un elenco di questi su due lapidi apposte nella chiesa di San Francesco d’Assisi. Nel passato la nostra città è stata sede della Nunziatella, di una Scuola di Guardia di Finanza, e i bersaglieri della divisione Tevere e Gavinana.Oggi a conferma di una tradizione militare, ospita le caserme “Giacomo Rispoli” e “Mauro Magrone” della Scuola dei servizi di Commissariato e di Amministrazione militare.

Per finire, vorrei ricordare la mirabile istituzione educativa e professionale “Villaggio dei Ragazzi”, realizzata nel 1947 dal nostro compianto concittadino, il Reverendo Don Salvatore D’Angelo, il quale tanto ha dato ai giovani maddalonesi e alla città.

Testo pubblicato sul " Calendario 2007 " dei Vigili Urbani di Maddaloni.

 

                                                                        Antonio Pagliaro

 

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