ultimo aggiornamento    
novembre 2012    

 


FUCECCHIO > Quale futuro per l'OPera Pia Landini Marchiani

Un'Opera Pia per Fucecchio

C'è da sperare che il titolo di questa antica istituzione fucecchiese, dopo anni di abbandono, assuma un significato augurale, che torni cioè ad essere davvero un'"opera buona" per il futuro della nostra città. La storia dell'Opera Pia Landini Marchiani è abbastanza nota nelle linee generali, ma varrebbe la pena di studiarla in modo approfondito perché ne uscirebbe un pezzo importante del passato fucecchiese, la storia di una fattoria, prima di tutto e poi quella di un istituto di beneficienza nato per sostenere la 'gioventù studiosa' di Fucecchio.

Ora, prima di esporre qualche riflessione sul futuro di questo importante patrimonio fondiario, che, come tutti sanno, appartiene da qualche anno al Comune di Fucecchio, è opportuno tracciarne una brevissima storia.
L'Opera Pia portava il nome di colui che aveva fornito i beni per costituirla: Carlo Landini Marchiani, nato il 28 maggio del 1835 da Filippo Landini e da Marta Panicacci. Rimasto presto orfano del padre, fu assistito da un consiglio di famiglia presieduto da Stefano Marchiani, dal quale volle prendere il secondo cognome nel 1864. Le famiglie di origine erano benestanti; i Panicacci, in particolare possedevano molti terreni nella campagna fucecchiese, ma è ancora tutta da studiare la formazione del patrimonio che il Landini Marchiani poté conferire per testamento alla sua pia istituzione. Certamente l'uomo, al di là delle bizzarrie del carattere che ancor oggi si tramandano localmente, dovette essere dotato di notevole intraprendenza e di lungimiranza. Anche la scelta delle spose, prima la Marchesa Massarosa di Lucca e poi, dopo la morte di questa, la marchesa Giuseppina Niccolini di Firenze, è significativa in tal senso. Ma se un certo tasso di opportunismo faceva parte del costume dell'epoca è anche vero che il Landini si impegnò costantemente nella vita politica e sociale, rivelandosi a suo modo generoso. Nel 1859 spese molte sue sostanze per contribuire a finanziare la seconda guerra di indipendenza e nel 1867, su suggerimento di Garibaldi, contribuì in modo decisivo alla fondazione, a Fucecchio, della società di mutuo soccorso, che fu da lui presieduta fino alla morte. Nonostante l'impostazione paternalistica e sebbene fosse emanazione della classe dirigente locale (ne erano soci onorari i maggiori possidenti dell'epoca, come i Comparini, i Banti, i Lampaggi, i Panicacci, i Montanelli Della Volta), la società ebbe subito anche una larga base popolare, con l'ingresso di fornai, bottegai, braccianti e sarti svolgendo un importante ruolo di socializzazione in vista dei successivi sviluppi cooperativistici. Morì il 25 aprile del 1892, dopo aver disposto che le proprie sostanze, tra cui la ricca fattoria fucecchiese fossero destinate al suo "caro paese", a vantaggio della "gioventù studiosa". Come è noto, Landini Marchiani non costituì direttamente l'Opera Pia, ma lasciò suo erede principale "l'amatissimo sovrano Umberto I", a cui raccomandò di rendere esecutivi i propri desideri. Viene il sospetto che il testatore non avesse troppa fiducia nei confronti di eventuali esecutori testamentari locali, anche perché allora (anche allora!) a Fucecchio fervevano contrasti e litigi che avrebbero forse ostacolato la fondazione della pia istituzione. Vale la pena di ricordare che tra le volontà espresse dal testatore c'era anche la raccomandazione al sovrano affinché il suo corpo fosse sepolto nella cappella di famiglia presso il podere "Le Colombaie", affinché "sia decentemente conservato in perpetuo detto oratorio con tutte le sepolture": speranza vanificata dallo stato di abbandono in cui oggi versa la cappella.
A questo punto si aprirebbe il discorso sulla gestione dell'Opera Pia nel tempo, su come era amministrato il patrimonio, come venivano impiegate le risorse finanziarie che si traevano dalla fattoria, in che modo la "gioventù studiosa" fucecchiese era sostenuta dall'istituzione voluta dal Landini. Ma si tratta, come accennavo all'inizio, di uno studio ancora tutto da fare. Perciò, anche per evidenti motivi di spazio, mi limiterò a una rapida fotografia del patrimonio superstite dell"Opera', per concludere poi con qualche riflessione sulle prospettive future.
Il Comune di Fucecchio si trova oggi a dover decidere le sorti di un discreto patrimonio immobiliare formato da 13 poderi, tutti con casa colonica, per complessivi 250 ettari circa, concentrati per lo più nell'area collinare delle Cerbaie. Si tratta di poderi di dimensioni assai varie, da quelli più modesti, inferiori anche ai 5 ettari, a quelli più grandi, come era nella tradizione dell'appoderamento delle Cerbaie: unità di grandi dimensioni, spesso superiori ai 10 ettari, anche perché gli spazi coltivati erano integrati dalla presenza del bosco, considerato non un frammento residuale dell"incolto' da bonificare, ma una risorsa importante per trarne materia per l'allevamento del bestiame, legname per la fabbricazione di attrezzi da lavoro, spazi per la raccolta di frutti spontanei. Purtroppo le condizioni in cui versano i poderi dell'ex Opera Pia sono davanti agli occhi di tutti: colture ormai in gran parte cancellate, case crollate o pericolanti (solo ultimamente una lodevole iniziativa del Comune ha portato alla riapertura di molti sentieri nell'ambito di un progetto di valorizzazione delle Cerbaie).
Quale futuro, allora, per questa importante risorsa comune?
Si è parlato spesso di una valorizzazione in senso turistico, mediante l'accordo con un partner che dovrebbe realizzare un cospicuo investimento per ristrutturare le abitazioni nell'area collinare rendendole fruibili per usi turistici. L'obiettivo è in sé condivisibile, anche se, nel contesto attuale, non sembra facile trovare chi si assume l'onere di effettuare investimenti così rilevanti in beni di cui avrebbe la disponibilità per tempi lunghi, ma non indefiniti. Qui, però, ci interessa soprattutto scongiurare alcuni rischi che si presentano quasi necessariamente quando parliamo di ristrutturazioni ad uso turistico, specialmente in Toscana. Condividiamo la considerazione che queste case coloniche – come in genere tutte le case – se non adeguate alle esigenze abitative attuali sono condannate a perire: l'uso è la soluzione indispensabile per salvaguardare un patrimonio edilizio che altrimenti sarebbe perduto. In questo senso ben vengano agriturismi e case – vacanza che probabilmente hanno in parte salvato quel che resta del paesaggio tradizionale toscano. C'è però stato – e c'è ancora – un rovescio della medaglia: la crescente omologazione del paesaggio che l'uso turistico ha prodotto nella nostra regione. Ormai una casa colonica del Chianti e una della Valdera tendono ad assomigliarsi in una rappresentazione pseudorustica sollecitata da stereotipi largamente condivisi: mattoni a facciavista, loggiati più 'messicani' che mediterranei, profili mossi e capricciosi da contrapporre alla staticità dei modelli classici e altre graziose trovate. Eppure, tornando al nostro caso, la casa colonica delle Cerbaie possiede una propria, anche se modesta, identità, che tra l'altro ci appare più idonea di altre per un uso turistico. Nata su terre di bonifica, sui poderi strappati al bosco, ha un'originaria struttura nucleare semplicissima: uno o pochi vani a cui si sono aggiunti per moduli successivi altri spazi a mano a mano che la famiglia colonica si ingrandiva. Si è formata così quella che potremmo definire la "casa lunga" delle Cerbaie (non è un modello esclusivo, ma certamente assai diffuso), che può essere facilmente articolata in modo da risultare fruibile da parte di più nuclei familiari. Basterà seguire questo secolare prodotto della storia per ottenere, con i necessari adeguamenti, un restauro rispettoso della tradizione e al contempo anche funzionale. Il primo esempio potrebbe essere dato direttamente dall'Amministrazione Comunale promovendo un progetto a cui accenno in poche righe e che potrebbe costituire anche un momento di dialogo tra generazioni. Perché non riservare uno dei poderi a una cooperativa o associazione tra anziani che intendano coltivare la terra secondo i modelli tradizionali (policoltura, integrazione tra bosco e coltivi, restauro dell'edilizia secondo criteri conservativi etc.), riservando per sé i prodotti ottenuti, ma impegnandosi a organizzare visite guidate agli alunni delle scuole che avrebbero così l'occasione di fruire di un'educazione ambientale viva e concreta? E' una proposta ingenua? A me risulta che l'agriturismo rivolto ai bambini sta ottenendo un grande successo e che sono in corso sperimentazioni in questo senso anche nel nostro territorio.
Ma tornando ai progetti di più ampio respiro non si può fare a meno di segnalare i rischi legati all'esigenza di infrastrutture che certamente si imporrebbe nel caso di un massiccio uso turistico delle proprietà dell'ex Opera Pia. Anche in questo caso è auspicabile che siano evitati interventi di forte impatto, come, ad esempio, l'allargamento delle sedi stradali, spesso preludio a ulteriori cementificazioni. Tra i servizi legati alla frequentazione turistica riteniamo integrabili in questa area campi da tennis, maneggi, riapertura e manutenzione dei sentieri boschivi (già in corso), percorsi ciclabili. Molti dubbi, invece, sull'introduzione, da più parti ventilata, di campi da golf, non soltanto per il consumo di acqua che ne deriverebbe, ma soprattutto perché essi inciderebbero inevitabilmente sugli equilibri dei 'vallini', che nella loro unicità si presentano come veri e propri piccoli ecosistemi, spesso ignorati dai Fucecchiesi.
Vorrei infine lanciare un appello per la salvaguardia di un'altra risorsa tramandataci dall'Opera Pia: l'archivio della fattoria, già conservato in parte nella sede di Via Donateschi e in parte nel centro amministrativo di Ponte a Cappiano. Se non è già stato fatto, sarebbe opportuno che la documentazione, che in passato ha già subito danni, fosse unificata e aggregata all'archivio storico del Comune. Anch'essa, come i poderi e le case coloniche, fa parte del patrimonio dell'opera voluta da Landini Marchiani e costituisce la base per conoscere la storia di un'istituzione che ha svolto un ruolo importante nella nostra comunità. Disperderla non sarebbe certamente "un'opera pia".


Alberto Malvolti

 
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