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TRIBU' DEL NORD |
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Le
minoranze etniche che vivono sulle montagne delle regioni del nord della
Thailandia sono chiamate tribu' o gente delle montagne “chao khao” ; oppure
“khon pucao”; che letteralmente tradotto nella nostra lingua significa: i
montanari . Ogni tribu' parla una lingua a se' , ha una differente
religione, usi e costumi propri.
I LAHU
La parola Lahu è il termine
che questo gruppo etnico usa per denominare se stesso; gli Shan, popolazione
birmana e i thai li chiamano Musoe. Emigrati dalla ex Birmania, si sono
insediati in nuove terre, seguendo i loro ancestrali riti: una delegazione
di anziani, trovata una località a loro congeniale, circoscrivono una
determinata zona che diventa il punto centrale dove svolgere rituali e
sacrifici. Intorno ad esso le famiglie possono cercarsi liberamente un posto
dove costruire le case, tenendo conto dei luoghi da coltivare, delle strade
e della presenza dell'acqua. Tra i Lahu l'importanza dell'anziano e il
rispetto per la sua saggezza appaiono evidenti da questa e da molte altre
leggi che regolano la vita di questo popolo.
Un uomo per essere scelto come capo del villaggio deve
infatti conoscere tutte le leggi degli anziani, oltre a provenire da una
famiglia degna di rispetto (economicamente parlando) e possedere buoni
principi morali, grande capacità dialettica e una mente creativa. Tutti
hanno il diritto di scelta, mentre non accade lo stesso per il capo
religioso, la cui elezione dipende essenzialmente dagli anziani. Le loro
case sono costruite su palafitte con le pareti e persino le strutture
portanti di bambù o in legno, fissate e tenute assieme con fibre di piante
erbacee. Una scaletta conduce alla zona centrale aperta, con una stanza di
deposito che ne impegna un quarto circa. I loro animali domestici di
allevamento per la sussistenza sono il pollo, maiali ed i bufali, che spesso
sono ospitati sotto la casa stessa. Al centro della casa
viene conservato il fuoco sempre acceso e, nella stagione invernale, in
mancanza di coperte, le stanze da letto, separate da canne di bambù,
rimangono vuote perché tutti si stringono accanto all'altro intorno al
calore della fiamma.
GLI AKHA I villaggi di questa gente colorita esistono sulle montagne della Cina, Laos Myanmar (Birmania) e Tailandia del Nord. Ci sono circa 20000 Akha che vivono nelle province nordiche della Thailandia di Chiang Rai e di Chiang Mai, alle alte quote. Queste tribù provengono dal Tibet. La loro lingua tibeto-birmana non è scritta e perciò le loro origini e credenze vengono tramandate oralmente. Tra i precetti che da 1400 anni vengono trasmessi di generazione in generazione ce n'è uno che dice: "Non abiterai mai vicino all'acqua. Non scenderai mai a valle". Se da un lato questo principio è motivo di sopravvivenza degli Akha (essendo costituzionalmente molto soggetti alla malaria) dall'altro rappresenta uno dei loro maggiori problemi. Le loro case, infatti, sono costruite su luoghi aridi e le donne, soprattutto, sono costrette ad andare ad attingere l'acqua per il fabbisogno familiare giornaliero da torrenti che non sempre sono vicini. Ogni villaggio di Akha è distinto dai loro cancelli di legno intagliati, presieduti e protetti dagli “spiriti dei guardiani”. Hanno case rialzate su basse palafitte, con un grande portico che conduce in una zona quadrata con una stufa nella parte posteriore. Il tetto è costruito con forma ripida. Considerano la loro vita sulla Terra marginale e trovano difficoltà ad inserirsi a pieno titolo tra la popolazione thai. La loro vita da nomadi provoca non pochi problemi all'equilibrio biologico della regione. Gli Akha utilizzano il sistema "taglia e brucia": passato un anno dal taglio del bosco la legna secca brucia meglio e la cenere, con la stagione delle piogge, si scioglie e filtra nel terreno, rendendolo fertile. Si può allora coltivare il mais, riso, fagioli, tè. La cenere però, modifica la composizione chimica del suolo che dovrà poi riposare a lungo. A ciò si aggiunge il fatto che il terreno, non più trattenuto dalle radici degli alberi, porta alluvioni e smottamenti pericolosi per i centri abitati nelle valli. Accanto all'agricoltura un altro mezzo di sostentamento è la coltivazione del papavero (proibita dal governo thailandese). Incidendo la capsula del papavero gli Akha ottengono il lattice, in cambio del quale ricevono barrette d'argento che vengono poi finemente lavorate per produrre collane e monili. Per completare il loro reddito, molti Akha vendono il proprio artigianato, impiegando le abilità tradizionali usate nel fare i loro propri vestiti e beni culturali. Le donne degli Akha filano il cotone nel “fuso” con un “stecco” nella mano, quindi lo tessono su un artigianale telaio a pedale. Il panno tessuto è poi tinto con l’indaco, quindi è cucito nei vestiti tradizionali per coprire dal freddo tutta la famiglia. Le donne portano vasti “leggins”, un panno esterno nero, e corto con uno “sporran” in rilievo bianco, una larga giacca nera con i polsini pesantemente ricamati nei risvolti. Gli uomini fanno gli strumenti musicali, una vasta gamma di cestini ed altri articoli in legno, di bambù e di rattan. Le acconciature e i vestiti possono trarre in inganno e far credere che siano un popolo ricco. Ma non è così. Hanno abiti attraenti con decorazioni colorate e con particolari copricapi aggiandati con antiche sterline dell'impero britannico, che in passato ha colonizzato la regione d'origine. La sontuosità dei copricapi Akha esprime la loro altissima dignità, infatti sono poveri ma fieri della loro indipendenza e libertà. Se chiedessimo ad un Akha che cos'è per lui il mondo che lo circonda, risponderebbe: "Siamo noi che lavoriamo qui insieme". Unità e cooperazione affinché tutti possano avere il necessario per sostentarsi: è quanto sta alla base della filosofia di vita di questo popolo. Le forze della natura sono considerate fenomeni soprannaturali, gli spiriti degli antenati proteggono ogni singolo componente del villaggio e vengono venerati. È gente ferma e custode fedele delle proprie tradizioni, un popolo sincero e anche retto, poco malleabile e a volte anche difficile nell'incontro con i missionari. Momento fondamentale della vita del singolo e della comunità è il matrimonio. Un Akha è veramente tale solo se capace di generare nuove vite, tanto che se una coppia non è feconda il "contratto" viene rotto ed entrambi i coniugi, nel rispetto reciproco, si lasciano e cercano di formarsi una nuova famiglia. E ciò accade anche in caso che un uomo non riesca ad avere dalla moglie figli maschi, simbolo di benedizione e di sicurezza futura. Un particolare che sembra verificarsi solo in questa tribù è il comportamento che deve tenere una donna che abbia dato alla luce un figlio malformato, per non attirare disastri sul villaggio, infatti, madre e bambino devono andare a vivere nella foresta finché il figlio non verrà ucciso e solo dopo i riti di purificazione la donna potrà essere riammessa al villaggio. L’ Akha è profondamente superstizioso e la loro religione prescrive esattamente come ogni azione quotidiana dovrebbe essere realizzata. Questa tribù è una delle minori tra quelle della collina.
I MIEN I Mien detti anche Yao, li troviamo facilmente e agevolmente in alcuni villaggi nella provincia di Chiang Rai, nella Tailandia del Nord. Sono presenti in Cina, nel Vietnam, nel Laos ed in Tailandia. In Tailandia ci sono circa 50.000 Yao in villaggi ampiamente sparsi nelle province di Phayao, di Nan e di Chiang Rai ed anche altri 10000 circa rifugiati dal Laos, che vivono in accampamenti di fortuna lungo il confine. Il popolo degli Mien proviene dalla Cina del sud ed è l'unica tribù della collina ad avere una lingua scritta. I villaggi degli Mien principalmente si trovano sulle colline basse e le loro case sono costruite solitamente con artigianali e rustiche tavole di legno. Solitamente sono dotate di una piattaforma per l'ospite in bambù, che si trova nella zona centrale. La loro economia per parecchie generazioni si è basata sulla coltivazione e introduzione sul mercato di oppio, anche se l'uso dell'oppio è relativamente raro fra loro. Con l'azione governativa attuale per fermare l’esportazione verso l’esterno della coltivazione del papavero indiano in Tailandia, i Mien necessitano adesso di trovare altri mezzi di sostentamento. (non c’è stata la riconversione delle colture) Le donne degli Yao sono note per i loro magnifici ricami che decorano i vestiti di ogni membro della famiglia. Il costume delle donne è molto distintivo, con un rivestimento nero lungo con risvolti di lana luminosa di color rosso scarlatto. I pantaloni sono larghi e dai disegni complicati e un turbante nero similmente ricamato copre i loro capi. Gli artigiani Mien producono monili d'argento belli e di alta qualità. I Mien hanno una religione scritta basata sul taoismo cinese medioevale, anche se negli ultimi anni ci sono stati molti convertiti al cristianesimo e al buddismo. Sono molto pacifici ed amichevoli, si vantano della loro pulizia e senso dell’onore… e sono denominati "gli uomini d'affari" fra le popolazioni tribali. E' tutt’ora esistente la poligamia tra i Mien (fino a 5 mogli) ma ogni moglie deve avere una sua casa ed il marito ha l’onere morale di mantenerle degnamente tutte.
GLI HMONG (MEO)
Troviamo gli Hmong nella
provincia di Chiang Rai, nella Tailandia del Nord. Il gruppo etnico degli
Hmong è diviso in due sottogruppi, bianco e blu, e si trovano inoltre anche
nelle regioni montagnose della Cina, Il Vietnam, il Laos e
I KAREN (Detti Yang o Kariang) Sono 330.000 circa ed è il gruppo etnico più numeroso in Thailandia ! Originari della Birmania, sono presenti in Birmania e in Thailandia solamente! I Karen si distinguono dagli altri gruppi etnici, perché non mostrano traccia del contatto con i cinesi. Infatti, anche se è probabile che siano arrivati dalla Cina sud-occidentale o dal Tibet, la loro patria d'origine è ritenuta essere la ex Birmania (oggi Myammar). È proprio qui che i Karen cristiani guidano ancor oggi la lotta per l'indipendenza etnica dai birmani in una guerra civile che dura dalla partenza degli inglesi. I combattimenti spesso si estendono anche in Thailandia e favoriscono le migrazioni illegali. Oltre ad essersi riversati nel nord della Thailandia - nelle provincie di Chiang Mai, Chiang Rai, Mae Hong Son - i Karen si sono spinti fino alla capitale Bangkok. Ci sono 4 tipi distinti di Karen , i Pwo (detti bianchi), i Pa-o (detti neri), i Kayah (detti rossi) e infine il sottogruppo cariano dei Padaung, questi gruppi formano grandi tribù in Thailandia e tutti assieme sono numerosi tanto quanto tutte le altre tribù oggi rimanenti in Thailandia. Ciò che a volte sorprende chi visita il nord, è trovare in questa etnia un atteggiamento aperto, ospitale ed accogliente nei confronti dello straniero. Meno appariscenti nei loro costumi, i Karen sembrano inoltre meno attaccati alle loro tradizioni. Si adeguano rapidamente, infatti, al tipo di coltivazione thai, ai costumi e alle tecniche di costruzione e persino la lingua ha assorbito molte parole thai e birmane. Anche se gli abiti delle ragazze cariane non possono competere con i colori sgargianti di quelli Lisu e Akha, è una tribù di famosi e abili tessitori. Le donne dei Karen sono note per la loro abilità nella tessitura, che è fatta su un arcaico telaio. Ciascuna delle molte sezioni di questo grande gruppo etnico, ha un proprio relativo stile nel vestito. Le ragazze celibi portano le camicette bianche e larghe con il collo a forma di V . Le donne sposate portano le camicette ed i pannelli esterni nei colori vivaci, principalmente blu e rosso. Il matrimonio è rigorosamente monogamo (una sola moglie). Gli uomini dei Karen producono gli strumenti musicali, i sigari con particolari foglie di tabacco ed altri numerosi articoli artigianali. La pratica primaria di sostentamento dei Karen della montagna è l'agricoltura e gli abitanti della pianura, per la maggior parte, coltivano i campi di riso irrigati. Il tatuaggio costituisce il principale ornamento per gli uomini, anche se questa usanza è ormai in diminuzione tra i giovani, mentre perle di ogni tipo rappresentano un elemento importante della gioielleria femminile: alcune donne indossano una serie di collane di perle che può nascondere il petto e metà delle spalle. Un altro tipo di ornamento per le donne che se lo possono permettere è una serie di braccialetti di argento di diverse forme e modelli, fino a ricoprire tutto il braccio, se possibile. Le loro case sono in legno e hanno i tetti molto bassi, vivono in case di bambù rialzate su palafitte, sotto cui allevano i loro animali domestici, maiali, polli e bufali. Non ci sono altari domestici, ma fuori del villaggio vi è sempre un tempio dedicato alla divinità del luogo, il Signore della Terra e dell'Acqua. Il popolo dei Karen è originalmente animista, ma circa 25% dei Karen che vive in Tailandia (Karen bianchi ), sono stati convertiti al cristianesimo dai missionari occidentali. Come gli altri popoli tribali riserva grande venerazione ai loro antenati.
I PADAUNG ( KO YAO ) I “Padaung” infatti, popolo seminomade appartenente alla stirpe dei Karen (i thai infatti usano chiamare le donne giraffa quali “le Karen dal collo lungo”) sono ammirabili in 3 diversi villaggi posti intorno a Mae Hong Son, vicino al confine con il Myanmar, quello di Nam Phiang Din, il più grande è quello di Nai Soi, a 35 km a Nord Ovest di Mae Hong Son conosciuto anche come Nupa Ah, e un altro è quello di Khun Huai Dua. Attraversarono in tempi relativamente recenti il confine di stato provenienti dalla Birmania stessa, dove alcuni conflitti etnici e politici nonché razziali ne avevano da tempo reso ardua l’esistenza. La Thailandia ha accolto quali profughi questi popoli, ma in maniera piuttosto fredda e distaccata relegandoli ad aree strettamente attigue al confine stesso, confine che i Padaung non possono più riattraversare pena la morte. Per lo Stato thailandese i Padaung costituiscono comunque una importantissima fonte di redditività turistica, tanto che sui loro villaggi vige una stretta e rigorosa sorveglianza nonché alcune imposizioni sui costumi di questo popolo che progressivamente ha oramai perso la tradizione culturale di applicare i famosi anelli al collo. Anch’essi hanno un passato come coltivatori di piante oppiacee, ma avendo poi avuto fortissime restrizioni dall’esercito, si sono riciclati in bravissimi artigiani nella lavorazione di oggetti in legno e metallo. Li aiutano non poco e sicuramente ad un prezzo altissimo, le entrate economiche dovute e derivanti da un certo flusso turistico di curiosi , per quella che è una particolarità delle loro donne e che ha reso questa tribù primitiva, veramente molto conosciuta e famosa in tutto il mondo. La particolarità delle loro donne è quella di portare fin da bambine dei “collari” metallici che le costringono a stare continuamente con il collo allungato… Mano a mano che crescono poi, questo collare viene sostituito continuamente da un’altro e progressivamente più alto del precedente. Questo stimola continuamente l’allungamento delle vertebre cervicali e quindi un conseguente allungamento del collo, considerato anche, si dice, sinonimo di bellezza e fascino femminile. Fino ad arrivare in età adulta dove, alla fine del processo di accrescimento fisico, hanno ormai dei colli lunghi più di una trentina di centimetri. Proprio per questa particolarità, sono anche dette “donne giraffa”! Si dice inoltre che nelle loro usanze culturali ci sia anche quella per cui nel matrimonio, il marito abbia potere di vita o di morte rispetto alla moglie. In caso di tradimento o altra colpa grave per esempio, lui è autorizzato a togliere il collare! Quello che ci potrebbe sommariamente apparire come una liberazione risulta poi invece… una vera e propria condanna a morte. Infatti, dopo una vita che indossano quel collare… la muscolatura che sostiene il collo è ormai in gran parte completamente atrofizzata e la testa non più sostenuta… ricade sulle spalle. L’esofago e la trachea di conseguenza così, oltremodo allungati… pian piano si ripiegano su se stessi…impedendogli di deglutire il cibo e respirare. Il collare è grezzo ed in metallo pieno… pesa oltre cinque chili! Non è solo il collo ad allungarsi… ma anche le clavicole ad abbassarsi Il che non consente quindi, una buona ossigenazione polmonare. Questo le porta lentamente, ma inesorabilmente ed in breve tempo, alla morte! Resta famoso un servizio di "National Geographic" dove è riprodotta la radiografia del collo di una donna Padaung: le vertebre cervicali sono separate le une dalle altre; con i muscoli del collo completamente atrofizzati la donna, senza anelli, non potrebbe più sostenere il peso della propria testa. In certe comunità, anziché aggiungere nuovi anelli alla spirale esistente, viene tolta alla bambina la vecchia spirale e sostituita con una nuova, più lunga, formata da più spire. Durante questa operazione è la madre a sorreggere la testa della figlia che, altrimenti, resterebbe completamente disarticolata. L’origine del cinico costume di stravolgere la struttura vertebrale con l’aggiunta di anelli di bronzo si perde nella leggenda che narra che i Nat (gli spiriti che fanno parte della tradizione di ogni popolo birmano) della tribù dei Karen, per punire i Padaung, aizzarono le tigri più feroci della foresta controre loro donne. Fu così che gli uomini vedendole morire una dopo l’altra, decisero di forgiare dei grossi anelli d’oro con cui proteggere il collo, i polsi e le caviglie dai morsi dei felini. Da allora quell’usanza non fu più abbandonata ed anzi si tramutò in simbolo di bellezza, seduzione e fedeltà . Da secoli il rito di iniziazione si ripete pressoché identico: all’età di 5 anni durante una cerimonia ricca di canti e danze alle bambine vengono applicate spirali di ottone alle braccia e alle caviglie e un collare del peso di circa tre chili attorno al collo, ogni due anni viene aggiunto un anello. Le regole, nella società Padaung, sono nettamente differenziate tra uomo e donna: gli uomini hanno le loro leggi, le donne le loro. Si tratta probabilmente di un retaggio antico, quando la società Padaung era matriarcale. E' la madre a decidere se mettere o no alla propria figlia gli anelli attorno al collo. Nella tradizione del popolo Padaung, le ragazze che non indossavano la “corazza d’ottone” erano considerate prive di moralità: non potevano sposarsi e avere figli..Due o tre volte al giorno le donne Padaung provvedono ad un'accurata pulizia del proprio collo. Il clima caldo e umido, il sudore e le condizioni igieniche precarie favoriscono la formazione di ossido tra gli anelli e l'annidarsi di infezioni su quella parte del corpo, con conseguente rischio di ulcerazioni che non potrebbero curare. La loro pelle sotto quegli anelli è qualcosa di orribile, anche sulle donne più giovani: una specie di duro cuoio, raggrinzito ed incartapecorito, di un colore marrone giallastro, quasi l'enorme crosta di un'unica cicatrice. La loro medicina è relegata ad una specie di sciamano con rimedi erboristici ed esoterici. Sono basse di statura. Il lungo collare gli limita i movimenti e che perciò non fanno grandi cose lavorative nel quotidiano. Infatti, sembravano proprio oziare in gruppetti di due o tre, sotto le proprie capanne. Camminano a piccoli passi, come se avessero le gambe bloccate dagli anelli che portano ai polpacci. Le mani si intravedono appena, con i polsi sottili nascosti da un'infinità di bracciali d'argento..Vivono in simbiosi con la foresta a cui devono tutto quello che hanno per il loro sostentamento e mantenimento, hanno una religione e filosofia ideologica, “animista”. Non c'è radice o erba che sfugga al pentolone che bolle in continuazione sul fuoco, anche se è raro vedere le donne-giraffa mangiare: tutt'al più si limitano a spizzicare qualcosa di nascosto, e mai tutte insieme. Il momento della deglutizione le porta a compiere strani movimenti con la testa, si deduce che deve essere particolarmente lunga e forse anche fastidiosa da effettuare.. Avvicinandole si sente subito l'alito "profumato" di aglio e zenzero. Le gengive rosa sono quasi completamente prive di denti. Le donne portano tutte una chioma lunghissima che, se sciolta, raggiunge i loro piedi… praticamente non tagliano mai i loro capelli. I loro bambini, sono come i bambini di tutto il mondo… giocano, corrono e scorrazzano! Le bambine con quelle testoline dritte… e già imprigionate nei collarini metallici. Osservando i maschietti, pochi in verità e solo piccoli (evidentemente questi, iniziano e partecipano alle uscite dei grandi, in tenera età) non possiamo che pensare alla loro fortuna per essere nati maschi e poter così evitare quella strana, singolare e per noi crudele, usanza. Oggi purtroppo questa tradizione viene continuata anche per sollecitare ulteriormente la spregiudicata attrattiva turisitica. Questo e' forse l’ultimo baluardo di uno dei popoli più antichi e primitivi esistenti nella Thailandia… prima che possano arrivare purtroppo, a scomparire eventualmente del tutto.
I PALONGEsistono villaggi dei PALONG nella provincia di Chiang Mai, nella Tailandia del Nord. Ci sono gruppi di villaggi in Tailandia, tutti di Palong, nella parte settentrionale della provincia di Chiang Mai lungo il bordo a Myanmar (Birmania). In generale, il popolo dei Palong può essere trovato nella parte orientale di Shan in Birmania. Attualmente la popolazione è di circa 60000 individui. Appartengono al ramo dei Mon-Khmer della famiglia linguistica Asiatica. La loro vita si basa principalmente sulla coltivazione del tanatep, una grande foglia per rullare i sigari birmani. Sia gli uomini che le donne decorano i loro denti con oro. Il popolo dei Palongs è inoltre riconosciuto dall'abitudine notevole delle loro donne di usare il colore rosso negli indumenti, una giacca blu dal colletto rosso e vasti ornamenti d'argento. Precedentemente animasti in origine, la maggior parte dei Palong si sono convertiti ormai al Buddismo.
I MLABRIQuesta tribù è conosciuta dai Thai anche come i "Luang di Phi", che significa "gli spiriti dal colore giallo". E’ un gruppo etnico in estinzione..! Ci sono rimasti ormai solo pochissimi Mlabri che vivono ancora in Tailandia, appena circa 100 persone. Possono essere trovate nelle province di Nan e di Phrae. Il popolo Mlabri proviene dal Laos. Questa gente altamente nomade è spezzettata in piccolissime comunità familiari. Ha nelle sue radici l’abitudine sussistenziale che si basa quasi esclusivamente sulla caccia e sulla raccolta. L'unità di base della loro organizzazione sociale è “la fascia”, consistente e formata da tre a una dozzina di membri. Sono usi spostare i loro accampamenti ogni settimana, secondo la disponibilità del loro approvvigionamento di generi alimentari naturali.
GLI HTIN Questo gruppo etnico secondo i rapporti riscontrabili, ha vissuto lungamente in Tailandia. Ci sono circa 28000 Htin che vivono in Tailandia del Nord. La maggior parte dei loro villaggi possono essere trovati nella provincia di Nan. Le case sono costruite sui dossi naturali del terreno, con i pavimenti e le pareti di bambù. Gli Htin praticano la caccia e l'agricoltura. Coltivano il riso glutinoso, il riso della gente tailandese nordica. Gli Htin sono animisti. Alcuni di loro sono però con il tempo diventati buddisti, specialmente nei villaggi vicino alla pianura tailandese. Questa gente fa parte delle tribù monogame. Dopo il matrimonio, la residenza è inizialmente matrilocale, nella casa dei genitori della moglie. Solo dopo la nascita di parecchi bambini, le coppie si muovono normalmente verso una nuova e personale dimora.
I KHAMU I Khamu sono uno dei più piccoli gruppi tribali e vivono lungo il confine Tailandese-Laotiano della provincia di Nan. Al momento ci sono circa 7000 persone di questa tribù che vivono in Tailandia del Nord. Provengono dal Laos, principalmente nei distretti di Luang Prabang e di Xieng Khoung. In un primo momento sono migrati per lavorare ed hanno operato nelle foreste del teck . Ora che questa attività si è ridotta, vivono nei piccoli villaggi situati sui pendii della montagna e sopravvivono grazie all'agricoltura, completando la loro sussistenza con la caccia ed il commercio. I Khamu praticano una religione animistica. Nella cultura dei Khamu, gli sciamani sono tuttora considerati come degli eccellenti professionisti magico-religiosi e partecipano spesso alle cerimonie laotiane. La discendenza delle loro tribù è patriarcale e si aderisce tradizionalmente alla residenza patrilocale. (nella casa del padre dello sposo).
I LAWA
Ci sono diversi villaggi di
Lawa nella provincia di Chiang Mai, nella Tailandia del Nord. Ma il popolo
dei Lawa non è valutato come tribù della montagna. Sembra che abbiano
abitato
I LISU Ci sono diversi villaggi di Lisu, nella provincia di Chiang Mai, nella Tailandia del Nord. I villaggi di questo colorito gruppo etnico, si trovano nelle montagne della Cina, di Myanmar (Birmania) e della Tailandia del Nord. Ci sono circa 21000 Lisu che vivono nelle province nordiche della tailandesi di Chaing Mai, Mae Hong Sorn e Chiang Rai. Provengono dal Tibet orientale. La coltivazione e la lavorazione dell'oppio era la loro principale occupazione e, proprio per questo, il loro villaggio venne costruito sulle montagne a circa mille metri di altezza dove il clima è ideale per la crescita del papavero. Molta di questa popolazione ha interrotto la coltivazione del papavero ed ora lavorano nei campi dalla mattina presto fino al tramonto per coltivare, riso e granoturco e cercano di completare il loro reddito con la vendita di artigianato abilmente prodotto Uomini e donne svolgono generalmente le stesse mansioni e in famiglia tutti, dagli anziani ai figli maggiori, si prendono cura dei più piccoli. Anche le loro abitazioni, come quelle delle altre tribù, sono costruite su palafitte con il pavimento solido in terra e il tetto di paglia intrecciata. Ma tra le case del villaggio Lisu non ci sono strade ben delineate, tanto che i maiali possono vagare tranquillamente grufolando qua e là. Questi animali rappresentano, infatti, un segno di ricchezza e ciascuna famiglia ne possiede in media quattordici. Ognuno riconosce i propri maiali non da particolari marchi, ma dai lineamenti del muso e da altre caratteristiche fisiche. Vengono allevati e sacrificati agli spiriti durante le feste che ogni famiglia organizza per ottenere benedizione e protezione o per mostrare al resto del villaggio il proprio benessere economico. All'interno della casa Lisu, in genere, c'è un piccolo altare votivo consacrato ai numerosi spiriti degli antenati. A differenza degli altri gruppi etnici, i Lisu credono anche in un essere supremo (WuSa), dio della salute e della malattia, che reso visibile attraverso la collocazione di un altare a lui dedicato nella zona sacra del villaggio, tutela la popolazione e da sicurezza. Quando nascono i figli, o i maiali partoriscono, quando c'è il raccolto del riso o granoturco, i Lisu ringraziano questo spirito; quando intraprendono un lungo viaggio, chiedono la sua protezione e invocano il suo aiuto nelle difficoltà della vita quotidiana. I Lisu hanno una visione fatalistica del mondo: la vita di ogno uomo è determinata nella sua durata e qualità da quanto dio ha stabilito per lui. Ma nessuno può conoscere il proprio fato se non da quanto gli accade: se ha sempre successo, il suo destino è buono; se i risultati delle sue azioni sono sempre negativi, il suo destino è cattivo. Anche l'onore personale ha un valore molto importante per i Lisu, tanto che stanno bene attenti a non compiere gesti che potrebbero esporli alla derisione pubblica. Per esempio, guai a non concedere ospitalità, a non rispettare gli obblighi contrattuali, a chiedere un prestito e, in genere, a non mantenere quanto si afferma di saper fare."Due ciotole insieme fanno sempre rumore" afferma un proverbio Lisu, per insegnare alle giovani coppie che liti e discussioni sono inevitabili in ogni rapporto umano e, a maggior ragione, in quello familiare. I Lisu fabbricano i loro vestiti con panni variamente colorati e cuciti assieme con strisce di vari colori. Le donne portano costumi brillantemente colorati, consistenti in tuniche predominanti al blu o verde, della lunghezza fino al ginocchio, con una cinghia nera larga ed i pantaloni blu o verdi. Le spalle ed i polsini dei manicotti, sono pesantemente ricamati con fasce strette e orizzontali di colore blu, rosso e giallo. Si usa inoltre una ricca e voluminosa quantità di ornamenti d'argento, indossati perlopiù nelle occasioni festive. Gli uomini dei Lisu producono gli strumenti musicali, le trappole per la caccia degli animali selvatici, per gli uccelli ed altri articoli artigianali fatti di legno, di bambù e di rattan. Alcuni tra i Lisu, sono stati convertiti al cristianesimo dai missionari occidentali. Il Lisu crede fortemente nel mondo spirituale ed i loro sciamani sono spesso usati per “divinizzare” le cause e le cure di tutte le malattie. Questa gente tribale gradisce pensare a se stessa come una “piccola punta” sopra a tutti gli altri popoli esistenti in Thailandia. Sono fra i meno “culturalmente resistenti” di tutti questi gruppi etnici ed in generale si adattano bene e subito, ai cambiamenti che avvengono nella loro società. . |
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