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- Poesia performativa
Background: Antonio Gomez
POESIE IN AZIONE
di Paolo Guzzi
Poesie in azione, edizioni Giubbe Rosse,
Firenze 2001, di Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti, con introduzione di
Pietro Favari, dimostra, pur negandolo, quanto il libro sia ancora necessario e
a portata di mano.
Eugenio Miccini nutrito di studi classici,
filosofici e teologici, Lamberto Pignotti , semiologo e teorico della
pubblicità, ma soprattutto poeti e artisti entrambi dissacranti e provocatori,
coraggiosi nel presentarsi in pubblico con ironia e con divertimento, loro e
nostro, spiazzanti il pubblico e il lettore, hanno costruito un libro sinestetico, privo purtroppo del
sonoro, ma comunque godibile con gli occhi e anche con il tatto, se vogliamo,
per certe ruvidezze dello stesso impaginato. Quanto all’odore, stranamente
avvertiamo, guardando queste foto anche recenti, che sembrano, soltanto
sembrano, però, provenire da un mondo lontano, un lieve sentore di dagherrotipo
che contrasta con quanto vediamo.
Agli inizi degli anni Sessanta le azioni di questi
due artisti completi, attivi sul versante della scrittura e dell’arte,
apparvero subito trasgressive e provocatorie ma una sorta di via d’uscita, non
soltanto per coloro che a quell’epoca avevano circa vent’anni ma per tutti
quelli che erano stanchi di crepuscolarismi, di intimismi e di piagnistei
alimentati da una situazione politica che aveva portato al benessere una certa
classe, lasciando molti nel disagio, sociale ma anche intellettuale.
Il Futurismo fu il movimento d’avanguardia che
condizionò questi inventori, i quali, pur volendo interrompere la tradizione,
si agganciano alla tradizione della trasgressione. Il riversarsi della poesia
fuori dei luoghi deputati, mediante il corpo stesso del poeta, per portarla
dentro il quotidiano e viceversa, caratteristica non secondaria del Futurismo,
assumeva, adattandosi alla situazione politica e sociale degli anni Sessanta,
la potenza di un cuneo insinuato per smantellare l’ordine politico di allora e
dunque la situazione artistico-letteraria di quegli anni, in cui, già agli
inizi, si avvertivano sommovimenti internazionali (gli Happenings, Allan
Caprow, il Gruppo Fluxus). In un periodo in cui Futurismo voleva ancora dire
fascismo, questi artisti, adoperarono quanto di positivo fosse nel Futurismo,
il gioco, la sovversione linguistica, l’attenzione per la commistione delle
arti, dirottandone la carica eversiva sul fronte politico opposto.
La poesia che rompe gli schemi della pagina, l’opera
dell’artista che va oltre, deborda dalla cornice e si espande sul territorio,
la lotta al consumismo e quindi alla pubblicità, la lotta ad ogni forma di
esaltazione ed autoesaltazione, di trionfalismo, è voglia di opporsi, voglia di lottare con le parole in un corpo a
corpo con le masse ( “una forma di lotta” è il titolo di un libro di Pignotti).
Il Gruppo ‘63 per la poesia, il Gruppo ’70 (nato
anch’esso nel ’63) per l’arte, lanciano una boccata d’aria nuova, delineano le
istruzioni per l’uso di questi codici e modificheranno la maniera di fare arte
e poesia in coloro che, più ricettivi, ne avvertirono subito la portata
innovativa.
Per quanto riguarda strettamente i nostri due
artisti e il loro libro:
Miccini suggerisce una traccia di
cosa fosse la performance a quel tempo, la cui definizione appare subito
difficile e controversa (oggi se ne conoscono circa quattrocento sinonimi
soltanto in lingua tedesca). Miccini, di cui Henri Chopin segnala la prevalenza
del visivo sul sonoro, stampa foto di noti eventi e testi, dai primi incontri
alla Feltrinelli di Firenze e poi via via negli anni, da Mantova a Roma, da Tokio a Parigi, da solo o
coinvolgendo amici e colleghi come Lucia Marcucci, Ketty La Rocca, Pignotti e
altri scelti tra il pubblico, che entra quindi nell’azione, vi partecipa, la fa
anche un poco sua. I mezzi adottati sono quelli “popolari” ben noti
specialmente durante il Sessantotto: megafono, cartelloni pubblicitari
modificati, insegne, ed altri vari mezzi imbonitori. La poesia viene citata in
quanto tale, come significante, prima e oltre il significato, essa è poesia in quanto nominata, come nella
poesia intitolata Il Poeta, in cui
Miccini descrive il poeta tradizionale “addormentato sugli allori” che non
considera gli altri, che non li rende partecipi di quello che fa in maniera
concreta.
Attento alla storia, ma anche ai fenomeni del
consumismo, (Vetrina) Miccini trae
dalla lettura dei quotidiani spassose contraddizioni (Della probità dell’informazione)
quando non anche i versi stessi, come in Le Soleil. Definita dall’autore “poesia
trovata”, dal giornale del Québec del giorno della performance (1986) Miccini
sceglie alcune frasi, alcune asserzioni, alcune immagini, che egli ordina in
successione, quindi legge il testo ottenuto facendo rilevare quanto la
piattezza dello stile e delle immagini giornalistiche, situate in un altro
contesto, si possano caricare di
poesia.
Miccini , dopo le prime apparizioni piuttosto sensazionali dal punto di vista del look, come si dice ora, si guardi la foto Via Eugenio Miccini – poeta- strada privata, con Giusi Coppini, alla Galleria Inquadrature di Firenze (1972) si presenta al pubblico, di solito, vestito in maniera casuale, senza alcun tramite di mascheramento che offra adito a creare un diaframma tra sé e gli astanti.
Una certa stanchezza nel volgersi al proprio passato di performer, troviamo nella introduzione che fa Pignotti del fenomeno performance, al quale egli sembra essersi assoggettato dapprima controvoglia, facendo forza sulla propria inclinazione al non apparire, sulla propria timidezza, con il tempo vinta alla grande. Resta comunque in Pignotti una certa insofferenza per la performance, ritenuta per sua stessa asserzione, qualcosa che servisse, in ultima analisi, a far entrare il pubblico nelle gallerie e nei musei. Tuttavia vinse e vince tuttora, la ferrea necessità, oggi come in quegli anni iniziali, di portare finalmente la poesia alle masse, una poesia che dunque dovesse incontrarle in ogni luogo, anche insolito, come piazze, aule scolastiche, chiese sconsacrate e no, nel tentativo di demitizzare la poesia e nello stesso tempo di educare ad essa larghi strati della popolazione, sorridendo, ma anche, a volte, con feroce sarcasmo, destabilizzando il consumo ed il mercato colpendo e ”rinviando al mittente” specialmente il messaggio pubblicitario, ma anche quello politico. Si precedeva, si cavalcava, l’atmosfera sessantottina, si adoperavano mezzi che poi saranno il pane quotidiano di quel movimento studentesco ed operaio. Tutto al fine di diffondere quel “nuovo volgare” che fu chiamato “poesia visiva”. Attento anche ai momenti più quotidiani del vivere, come il mangiare ed il bere, Pignotti vuole nutrire possibilmente tutti con la poesia, blasfemamente chiamando l’ostia stessa, poesia, e comunicando con essa gli astanti, sacerdote autorizzato dalla poesia stessa a consacrare il mondo con la poesia. Ma il rituale della comunione perde subito la propria eventuale sacralità, quasi si temesse una eccessiva religiosità, sciogliendosi nella distribuzione più spicciola dello statunitense chewing-gum divenuto “poesia da masticare”. Le recenti favole che terminano tutte con l’agghiacciante fatidico “… e vissero a lungo felici e contenti” pubblicate nel volume, rammentano, a chi non se ne fosse ancora accorto, quanto Pignotti sia contro il luogo comune e ami rivisitare con ironia i paesaggi della tradizione rovesciandoli a suo piacere.
Anche per Pignotti, sono molti e differenziati i concelebranti dell’azione di poesia, a volte amici, colleghi od occasionali spettatori che si prestano a letture combinatorie che suscitano l’ilarità. Con una notevole disposizione per lo spettacolo teatrale, che peraltro dichiara di non amare, Pignotti sente il pubblico, a lui si rivolge, spesso con lunghi preamboli fuori testo, prima di agire nella performance vera e propria, per saggiarne la reazione, anzi per suggerirla, a volte, predisponendo alla comicità ed al sorriso, condividendo quasi sempre, in una sorta di missa solemnis, cibo raffinato.
Un libro prezioso, dunque, per fissare alcuni momenti fondamentali del procedere della neo-avanguardia nella seconda metà del XX secolo, con foto rare e poco viste, tra le tante perdute o addirittura non fatte, durante avvenimenti occasionali, casuali, ritenuti poco importanti dai mass media degli anni Sessanta e Settanta, specialmente, che ora invece sono molto più attenti a documentare il fenomeno della performance.