Karenina.it - Poesia

 

Due progetti editoriali delle Edizioni Riccardi di Napoli, dedicati alla sperimentazione poetica

 

·        RISVOLTI  Quaderni di linguaggi in movimento RIVISTA

·        “testo collettivo” Compagni di strada caminando

 

Immagine di sfondo: Patrizia Alemanno

 

Risvolti[1] Quaderni di linguaggi in movimento

 Anno V, n. 9, novembre 2002, euro 6, Edizioni Riccardi, Quarto (NA).

Di Antonino Contiliano

 

Risvolti è una rivista di poesia intraverbale e verbovisuale, oltre che di critica, che diagramma il corso della sperimentazione nei dintorni di Napoli e oltre. In essa infatti trovano spazio voci che non appartengono solo all’area meridionale. Ciò che la rivista persegue, infatti, è il mantenimento della voce della poesia ovunque questa, nello specifico del suo linguaggio, e dell’intreccio intersemiotico testuale, non degeneri nei facili lirismi vecchi e nuovi e si sottragga al destino di morte cui la vorrebbe inviare la parola “trasparente” della stupidità passiva e senza ribellione coltivata dai padroni del vapore.

Le mistificazioni seducenti di tutta quella vasta e “vastasa” produzione dell’intuizione e dell’immediatezza emotiva e sentimentale della vecchia poesia lineare, che zittiscono i conflitti e mediano il consenso ideologico dominante attraverso il consumo acritico dei significati reificati del potere/sapere, oggi veicolato anche attraverso l’estetismo degli show dell’era dello spettacolo soporifero, non trovano posto in Risvolti. Risvolti è nata nel 1998 per volontà di Giorgio Moio e di alcuni suoi collaboratori, ed è pubblicata dalle Edizioni Riccardi.

Il numero 9, come oramai è tradizione nella pratica della rivista, non dà spazio soltanto alle voci affermate, alla lettura e rilettura di alcuni testi, o alla “biblioteca” che segnala autori e opere pubblicate, diagramma pure un’antologia minima di autori sul tema della marginalità e della contingenza della poesia. Ma ciò che caratterizza e accompagna il tema e gli autori ospitati è la presenza anche della voce dell’intervista diretta che apre la discussione e il confronto sull’argomento scelto e, di volta in volta, proposto. L’antologia minima del n. 9 porta i testi di Carlo Bugli, Antonio Carano, Antonino Contiliano, Caterina Davinio, Pasquale Della Ragione, Alfio Fiorentino, Eugenio Lucrezi, Enzo Miglietta, Giorgio Moio, Alberto Mario, Moriconi, Marisa Papa Ruggiero, Daniele Poletti, Aida Maria Zoppetti. L’intervistata su marginalità e poesia,  a cura da Marisa Papa Ruggiero, è Aida Maria Zoppetti.

In un mondo che tende a considerare e far considerare la “marginalità” e la “contingenza” come epifenomeni, qui invece diventano sia luogo-tempo costruttivo della poesia, prodotta nell’accezione più vasta del termine segno rispetto a quello della parola scritto/orale, sia evento con-tingente  e marginalità conflittuale di soggetti e soggettività che si riconoscono nei tragitti della pluralità, della resistenza e della contraddizione vivificante il linguaggio poetico-artistico dissonante e controcorrente.

 

Antonino Contiliano

 

AAVV, Compagni di strada caminando, Edizioni Riccardi

Nota dell'editore

 

Come nasce l’idea di pubblicare questo “testo collettivo” di Compagni di strada caminando? Nasce da una idea, non troppo lontana nel tempo, che balenò come un “risveglio” nella testa di Antonino Contiliano all’inizio di quest’estate. Una idea che gli venne, mi confidò quando me la propose, dopo aver letto (ed evidentemente apprezzato) il n. 8 di «Risvolti», precisamente la parte riguardante l’antologia minima dal titolo Contro tutti i guerrafondai che in esso è ospitata (era ancora ben impresso in noi occidentali la guerriglia da poco terminata in Afganistan, l’attacco alle torri gemelle newyorkesi e lo spettro di un ennesimo attacco americano ai danni dell’Iraq, per non parlare della ancora innescata guerriglia fratricida tra israeliani e palestinesi), primo tassello di un puzzle di letture di cui si era nutrito (Un vibrato continuo, Ossimori, La terra più amata – voci della letteratura palestinese –, soprattutte), artefice in qualche modo, mi disse, ancora in vena di confidenze, di averlo stimolato ad abbandonare “l’isolamento” in cui si era rifugiato da qualche anno, pur continuando ad alimentare la sua creatività e aggredendo la solitudine e la marginalità di uomo del sud e «rafforzare il rifiuto e incondizionato degli sciacalli/iene e company ameri(cani), sharon(iani) bush(iani) blair(iani) berlusconi(ani) della guerra “duratura/infinita”... contro il terrorismo della libertà/vita che non sia addentata dal pensiero unico dell’occ(h)i(o)dente.(...) per un “videomondo” di maggioranza che dichiara e accetta i “macellai” e i nati per il crimine a tutti i costi come “uomini di pace” e di “buona volontà”».

Cercava «complicità per agire insieme», mi scrisse in una delle prime lettere di cui si è andata via via ingrossando la nostra corrispondenza, «quanto meno con la poesia e nella poesia». Si trattava di un’idea ancora tutta in fieri, da svilupparsi strada facendo, a partire da un incipit poetico, mio suo (nostro), al quale aggregare testi di un certo numero di autori espressamente invitati, in modo da creare un “testo collettivo”, «nel contesto della “marginalità” e della “con-tingenza” eversiva della poesia (...) scrivere in tutti i segni di tutte le lingue i nomi dell’e-silio», e con qualche testo visuale suggerito da me. Un unico testo in pratica, un ibrido tra poesia e prosa, per accumulo verbale, smisurato e aperto all’accoglimento e alla formicolante spinta di una vasta verbalità indiscriminata quanto programmatica, idealmente a firma collettiva, da dedicare “al popolo palestinese” e a tutti i popoli oppressi dal capitalismo del pensiero unico, intrecciato – è proprio il caso di dire – da testi interi o frammenti di essi, antagonisti, materialistici, allegorici, dissacratori, autoironici, dilatati, inquietanti, etc. Il tutto, chiuso in modo ironico e “ribelle”, oltre che giocoso (tracce evidenti si riscontrano anche nelle immagini inserite nel testo, dilatate fino a renderle diverse dalla forma originale), scardinando la forma chiusa e “lineare” di un certo operare poetico che addirittura, ultimamente, sfocia nella prosa e nel dettato del proprio squallido quotidiano. Una volta tanto,  coi poeti che si mettono al servizio della poesia e no viceversa, soprattutto coscienti e consapevoli dei tempi che vivono, evitando di rifugiarsi in un passato antico senza più senso. Il poeta deve vivere il suo tempo traslando il senso, col significante che si fa strada nel quotidiano, irriverente e demistificatorio, costruendo certo lo spazio dove poter materializzare il proprio “sogno” tra continue modifiche e combinazioni. 

L’idea originaria, ossia quella di mandare in giro un incipit poetico, sia pure ad un certo numero di poeti selezionati, che ancora una volta, per quanto mi riguardava, andava rimarcando un rifiuto sia alla guerra sia alla globalizzazione e industrializzazione del pensiero messa in atto dai mercenari della cultura, di cui oggi sono costretti a fare i conti un po’ tutti quei poeti che si tengono, giustamente, lontani da un agire mercenario, alquanto diversa dal metodo poi adottato di innesti ed estrapolazioni di testi e stili diversi presi da vari contesti per una testualità intersemiotica, materialistica e dissacrante, come si diceva, se da un lato si presentava più creativa, più spontanea e meno tecnica, dall’altro si correva il rischio, non potendo strafare in fatto di costi per la stampa, di vedersi arrivare un testo ad libitum (rischio che ci avrebbe costretti a ricorrere, nostro malgrado, al sempre antipatico metodo di dare un limite ai poeti da invitare, ma era come stroncare la loro creatività), nonché quello (non di poco conto) di trovarsi di fronte ad un materiale senza la possibilità di poter intervenire, o intervenire a fatica.

 

Sin dal titolo, aggiuntosi strada facendo, suggerito dallo stesso Contiliano (il quale si è occupato pure della scelta dei testi e del lavoro di tessitura di essi), che richiama un po’ le lotte degli zapatisti, questo volume vuole schierarsi, oltre che contro i signori della guerra, contro il liberismo, la politica e le religioni ad uso e consumo personale, certificando un diritto alla contestazione e alla diversità di pensiero. Come d’altronde, abbiamo, nel nostro piccolo, già proposto noi di «Risvolti» col n. 8, «contro ogni egemonia, ogni annientamento fisico e intellettuale; contro ogni prepotenza e supremazia per accaparrarsi mercati e traffici (...); contro ogni arricchimento derivante dallo sfruttamento di uno nei confronti dell’altro: l’unica guerra che riusciamo a concepire è quella delle idee, delle battaglie delle idee, per una diversità intellettuale e umana, per una lettura critica e un approccio molto più profondi, in grado di interessarci, all’interno dei paradigmi discorsivi, a una visione dinamica del mondo, perseverando l’integrità umana e aprendo nuovi e diversi orizzonti da poter abitare». Non nascondo che l’idea mi entusiasmò subito, anche perché più ampiamente andava a concretizzarsi un mio progetto: partire da un testo dato di un poeta qualsiasi ma importante, al quale i poeti invitati potevano aggiungervi e/o togliervi a loro piacimento, dando vita così ad un work in progress.    

Pochi testi, di quelli che qui presentiamo, sono stati richiesti direttamente ai poeti partecipanti, e pur essendo alcuni già editi, per es. in «Risvolti» n. 8, senza fare distinzioni tra quelli editi e inediti, si possono definire tutti “inediti”, in quanto ricontestualizzati per un testo finale sovente “sforbiciato”, frammentato, miscelato, non in base al proprio gusto o in preda a chissà quale forma di sadismo, né in base ad una scala referenziale, bensì per esigenze di “leggibilità” e scorrevolezza del “testo unitario”, del textum collettivo e istruito, al fine da risultare il testo di tutti, un intreccio di più segni, frammenti variabili oltre il verbale. Sia chiaro che non era nostra intenzione fare un’antologia né riportare la firma dell’autore sotto i singoli testi,  sostituita dai puntini sospensivi tra parentesi tonde. Questa è una delle ragioni per cui non si è dato spazio né ad una nota bio-bibliografica per ogni autore (cosa alla quale si era pur pensato, ma poi accantonata per evitare l’insorgenza di vecchi stilemi e ripetizioni tipici delle antologie) né ad altri surrogati. C’è da aggiungere, per quanto riguarda i puntini sospensivi, specie quelli liberi e nel corpo dei testi, essi conservano sia la loro funzione tradizionale sia l’uso specifico di una iterazione semantizzata tra un testo e l’altro che possono assumere nel corpo del testo collettivo, cioè interruzioni per meglio frammentare i testi e ricomporli quasi ex novo. Lì dove gli autori partecipanti hanno dato totale disponibilità per la frammentazione/manipolazione, i testi non ne portano traccia. E ciò ha anche, riteniamo, alleggerito l’intreccio di tutti i testi.

Ciò che ci premeva far emergere in Compagni di strada caminando era solo l’impronta poetica, il linguaggio plurale e le ragioni di una poesia “montata” oltre il limen delle apparenze, proposta “senza autori” (prima vengono i testi, accidenti!), alcuni anche lirici e tradizionali, però non melensi né noiosi (forse aiuta la loro brevità) che nell’insieme non guastano, anzi danno una leggerezza e profondità insieme che spezzano il ritmo per aprirne un altro, in modo più paradossale, ipertrofico, dove ogni singolo poeta, riconoscibile almeno a se stesso, si mettesse al servizio del tutto, cioè di un testo omogeneo verbovisuale (pur nella sua eterogeneità), e riconoscesse il tutto come suo, indipendentemente dall’apporto dato dal suo testo, come se ognuno avesse scritto per proprio conto questo testo collettivo, rompendo l’isolamento della poesia, l’io autoriale e narcisistico, nel tentativo, una volta tanto senza garantirsi un “palcoscenico spettacolare”, di contrastare (con la Poesia e il suo linguaggio) lo stato affaristico e prepotente delle cose, per farsi portatore di uno sci-operare che vada oltre il proprio fallimentare protagonismo destinato a soccombere, sia pure aristocraticamente. Agire e pensare, incontrarsi e scontrarsi con l’altro, contaminando e farsi contaminare per un plurimo movimento creativo e di lotta, per un processo di alterazione, resistente alla stupidità e volgarità del presente, che si apra alle vere ragioni del mondo, ad una dinamica visione di esso.

Ecco spiegato anche l’omissione in tutta coscienza dei nomi dei vari autori che vi partecipano, i quali, ma solo per dare un generale punto di riferimento al lettore, sono riportati (i cognomi), rigorosamente in ordine alfabetico, in quarta di copertina, nonché i nomi di battesimo, i quali sono riportati pure in un’immagine a forma di girandola, posta all’interno del testo. Per un maggior riferimento al lettore, e per dovere di ospitalità, si citano qui solo i nomi dei poeti stranieri e dei loro traduttori: Darwish, tradotto da G. Scarcia; Husay, da W. Dahmash e G. Scarcia; Haddad, da G. Collotti; Seniora, da E. Masina; Riechmann, da N. Messina. Dopotutto, citando Barthes de Il piacere del testo, «Testo vuol dire Tessuto (...) per cui il testo si fa, si lavora attraverso un intreccio (...); sperduto in questo tessuto – questa tessitura – il soggetto vi si disfa, simile a un ragno che si dissolva da sé nelle secrezioni costruttive della sua tela». Una sfida coraggiosa nel contesto poetico-letterario italiano dove tutti vogliono essere protagonisti, anche quando farebbero bene a pensare di cambiare “mestiere”.

A scorrere questo “testo collettivo” e unitario, colpisce un dato che lo rende imprevedibile e “inclassificabile” in qualche modo. Sto parlando della “pratica del frammento”. E il rifarsi spesso al frammento, che ha un suo fondamento e ben supporta tale discorso, specie in un volume a più mani, dove i testi, frammentati e a volte franti, s’intersecano e/o si accodano per edificare un discorso unitario, un tertium datur, personalmente mi ha sempre intrigato. Devo ringraziare ancora una volta il caro amico Nino se ciò si è potuto concretizzare. Dicevo del frammento e del tertium (dell’idea e azione comune) in un’epoca di affari loschi e d’individualismi. D’altronde, quando parliamo di poesia, di una certa poesia, intendo – quella che ha sempre evitato il dejà vu, il sacro, il secolare letargo simbolista –, difficilmente possiamo sottrarci alla peculiare importanza della “pratica del frammento”. Una importanza camaleontica, mimetica, direi, che addita continuamente le piste scivolose del consumo di una spettacolarizzazione rissosa, l’inutilità della vecchia concezione aurorale dell’arte, del culto della Bellezza, delle Grazie, del Grande Stile, per farsi portatrice di un linguaggio materico e contraddittorio, mobile ed eterogeneo, sostenitore di istanze problematiche. E questo ci induce a marcare il grado di responsabilità di una lingua creativa continuamente minacciata da un universo di discorso ove i predicati fanno dell’effimero concetto e creatività di una struttura pietrificata. Sopprimere la sua presenza  nell’universo della dialettica, per dirla con  Marcuse de L’uomo a una dimensione, significa sopprimere la storia, il passato e il futuro, il bene e il male, il mutamento, il rinnovamento, la negazione: il «linguaggio unificato (…) è un linguaggio irrimediabilmente anticritico e antidialettico».

In effetti, la “pratica del frammento” – come tutte le pratiche irriverenti e spericolate – dovrebbe operare esclusivamente contro il ripristino dell’onnipotenza e indissolubilità dei miti, contro il pericolo dell’assorbimento e neutralizzazione di una ipotonia e di una ipofonia che un testo cosiddetto “unificato”, anchilosato, lineare racchiude in sé. Una specie di trait d’union che leghi la consapevolezza storica e le pulsazioni di una apertura e recupero di memoria (chiaramente quello che vale la pena recuperare), attraverso una ubiquità nel presente di un “io pratico” e narrante.

L’atto della “manipolazione” e della “gestazione” del frammento implica l’atto del recingere la supremazia di un’ideologia di scrittura trasparente che miri essenzialmente a rafforzare il dominio di pratiche con valenze assolutistiche e a garantirsi – con la facile fruizione e l’inganno – la gestione del mercato. Ogni frammento, si capisce, funziona proprio in relazione alla capacità intrinseca di saper annullare queste insudici presunzioni. Spesso, il suo cattivo uso taglia fuori le soluzioni alternative. Tuttavia, esso ha una immunità raramente riscontrabile in pratiche simili. Ed è quella di “interdisciplinare” la componente ideologica insita in esso, di ribaltare sia i codici dell’autore che del fruitore. Proprio questa capacità di rovesciamento e di registrazione di pluralità – che non esclude però, un ragionare che registri anche la ripresa di vecchie idee, teoricamente agguerrite –, rende più marcata la componente ideologica: l’identità di un orizzonte (in)verificabile viene abbandonata al proprio destino. Non più lo svuotamento del vuoto ma il suo riempimento, “alla luce del sole”,  diacronico e sincronico, è fornitore di poetiche costruttive (a piccoli frammenti), dove il gioco, l’ironia, il divertissement, i giochi linguistici, la “neutralità” dell’“inventore”, nonché la naturale peculiarità “inespressiva” e “inglobale”, diventano oggetti di una rivalorizzazione del vuoto stesso.

È fuor di dubbio l’importanza di un altro elemento per delineare un certo tipo di poesia: la rappresentazione dell’attimo, dell’atto puro. Da non intendere come “aura” o, come dice Benjamin, un singolare intreccio di spazio e di tempo. Tutt’altro. Esso avvicina le cose, annulla lo spazio temporale per avvicinarsi alla morte, e più velocemente alla rigenerazione. La sua enigmaticità, il suo essere portatore di un discorso più ampio e continuo, la sua parziale “intelaiatura” sono attrazioni irresistibili e garantiste contro il perdurare di codificazioni consuete, produttrici di teorie fasulle. Pertanto, sancisce l’enigmaticità della poesia, il proliferare di operazioni artistiche, il riordino della scansione poetica teorico-critica. Come il silenzio rispetto alla voce o il segno rispetto al non-segno, così il frammento rispetto al testo “completo”, è provocatore di una invenzione continua, di una riproducibilità e irriducibilità straordinariamente aperte al tempo, a una gravidanza di forme intraverbali e immaginative plurime. Ma affinché risulti completa la sua peculiare importanza, occorre menzionare tre cose:

a) il suo uso dà la possibilità di mantenersi determinati, senza porre limiti alle combinazioni poetico-visuali;

b) permette di scavare nei meandri disabitati della lingua, anche a rischio di sfiorare l’incomunicabilità – dal punto di vista di chi omologa le conflittualità del linguaggio come un fatto prettamente privato, intimistico –;

c) permette di non escludere assolutamente l’inesistente, la riflessione critica sulle infinite possibilità di sopravvivenza che un linguaggio articolato possiede.

È ciò che si è tentato di proporre con questo volume, la disponibilità alla “messa in gioco”, al contagio con l’altro, all’incontro-scontro (come ebbi a dire in un’altra nota ad un volume collettaneo), per spostarsi verso uno specifico “altro da sé”, per una prospettiva gest/azionale di sconfinate possibilità creative e rivoluzionarie, un’istanza di antagonismo letterario anarchico, nel senso di “senza padroni”, che rompa l’ordine del potere di una scrittura celebrativa e di verità assolute.             

 

Realizzato nella sua classica forma-libro, Compagni di strada caminando, separatamente al volume stesso, in via sperimentale e del tutto privato e fuori commercio, è riprodotto anche in versione multimediale su sopporto CD-ROM, avvalendosi dell’opera del prof. Nino Parrinello. In essa l’intreccio è miscelato, ibridato da componenti diversi dal verbale e dall’iconico. Sono elementi semiotici e testuali di diverso tipo e utilizzati come "frammenti" significanti integrati e integranti. Le voci video-registrate, p. es., esibiscono letture di testi interi e/o frammentati, e sono degli attori siciliani di teatro Giovanna Alagna, Riccarda Cusimano, Clara Giampino, Carlo Laudicina, Guglielmo Lentini, Evelin Magaddino, Rino Marino, Francesco Teresi. Effetti speciali di altra natura plurivocizzano il testo arricchendo ulteriormente la polifonia e la polisemia semiotica.

Spero che questo testo susciti nel lettore una sollecitazione a intravedere più livelli e psicologie che si fondono e si aprono a un discorso non omologato né teologato, per una poesia "lunga" di sovrapposizioni mentali e umorali che si perdono o si ritrovano nella concatenazione dell’azione spazio-temporale, siderale, per una molteplicità e complessità di pensiero, per una frattura con l’ossequiosa banalità del presente.

  

 

I COMPAGNI DI STRADA SONO: APOLLONI BETTARINI BINGA BONAGIUSO BRUGNARO BUGLI CARA CARUSO CAVALLO CENA CERAVOLO CONTILIANO CUTTONE DARWISH DAVINIO DELLA RAGIONE DI MAIO GRASSO HADDAD HUSAY INGRASSIA JUARISTI LIUZZI LOMBARDO LONGO MARINO MARTINI MARTINIELLO MOIO MORI MUZZIOLI OPPEZZO OZER PAPA RUGGIERO PICCOLO RENDA RIECHMANN ROSI SPAGNUOLO SENIORA UGOLINI

 

 



[1] Per richiedere la rivista rivolgersi a Giogio Moio c/o Edizioni Riccardi, casella postale 32, 80010-Quarto (NA), telefax : 081 876 89 21; e-mail info@edizioniriccardi.com. La rivista ha anche una versione on line www.edizioniriccardi.com.