Il discorso dell'uomo incolto

Assutavasutta
(Samyutta Nikaya, 2.12.7.1)

 


Così ho udito. Un tempo il Beato soggiornava nel boschetto di Jeta, presso Savatthi, all'interno del parco di Anathapindika. Ed ecco che il Beato si rivolse ai monaci:"O monaci!". "reverendo!" risposero i monaci al Beato.

"Anche un uomo comune, un uomo incolto, può provare insoddisfazione per questo corpo fisico e, per questo, può volersi distaccare e liberare da esso. E perché? Ma perché, o monaci, l'accrescersi e il decrescere di questo copro fisico sono chiaramente visibili, così come l'assunzione e l'abbandono di esso con la nascita e con la morte. Per questo io dico che anche un uomo comune, un uomo incolto, può provare insoddisfazione per esso e volersene distaccare e liberare.

Ma, o monaci, un uomo comune, un uomo incolto, non è mai in grado di provare una sufficiente insoddisfazione per quella che è chiamata mente (citta), senso interno (mano), coscienza (vinnana), e non desidera mai abbastanza il distacco e la liberazione da essa. E perché? Ma perché, o monaci, da tempo immemorabile l'uomo comune, l'uomo incolto, è aggrappato, fissato, imprigionato dall'idea "questo è mio, questo sono io, questo è il mio sé".

Per ciò io dico che un uomo comune, un uomo incolto, non è mai in grado di provare una sufficiente insoddisfazione per quest'idea, e non desidera mai abbastanza il distacco e la liberazione da essa.

In verità, sarebbe quasi più comprensibile che l'uomo comune, l'uomo incolto, considerasse come proprio se, il suo corpo fisico, piuttosto che la mente. E perché? Ma perché, o monaci, ben si vede che questo corpo fisico appaia stabile un anno, due anni, tre anni, quattro, cinque, dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta, cento anni e più. Ma, o monaci, quella che è chiamata mente, senso interno, coscienza, nasce come qualcosa e muore come qualcos'altro in continuazione, giorno e notte.

Così come, o monaci, una scimmia vaga in una foresta o in un grande bosco, afferra un ramo e poi, dopo averlo lasciato, ne afferra un altro, proprio così, o monaci, in modo analogo, quella che è chiamata mente, senso interno, coscienza, nasce come qualcosa e muore come qualcos'altro in continuazione, giorno e notte.

Pertanto, o monaci, il colto e nobile discepolo, considera attentamente la genesi dipendente: essendoci quello allora c'è questo, a causa della nascita di quello viene ad esistere questo, non essendoci quello non c'è questo, a causa della cessazione di quello viene a cessare questo. E così, invero, condizionate dalla nescienza sorgono le volizioni; condizionata dalle volizioni sorge la coscienza ecc.

Così percependo, o monaci, il colto e nobile discepolo prova insoddisfazione per la forma, per la sensazione, per le ideazioni, per le volizioni, per la coscienza. Ed avendo provato insoddisfazione si distacca, e dopo aver provato il distacco si libera.

Una volta ottenuta la liberazione egli diviene consapevole di questa liberazione: "la nascita è distrutta, la vita ascetica è stata realizzata, quel che era da compiere è stato compiuto, altro non c'è da fare in questo mondo".

 

 

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