PIPPO E I BRASILIANI IN MEDIAVALLE

 

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La liberazione di Bagni di Lucca e la conseguente liberazione della media Valle del Serchio fino alla confluenza del torrente Lima, (valle inclusa fino a Ponte alla Lima), indusse, ovviamente, Pippo e, meglio ancora, l’XI Zona Patriotti a convogliarsi tutti a Bagni alla Villa. Purtuttavia, la vera liberazione, in senso compiuto, avvenne di li a una settimana circa, giorno più giorno meno. Quando si parla di Bagni di Lucca bisogna tener conto della conformazione geografica di questa cittadina lucchese, perché, praticamente, si compone di due agglomerati urbani, distanti tra loro circa due chilometri, e cioè: Bagni alla Villa e Bagni Ponte a Serraglio. Queste due cittadine sono ubicate sulla sponda destra del torrente Lima che confluisce a poca distanza nel fiume Serchio. Quindi, allorché noi avemmo liberato Bagni alla Villa, più a nord, rimaneva ancora da “bonificare” il circondario, dalle residue presenze di tedeschi e fascisti, che ancora vi si annidavano, a sud. Possiamo dire, subito, che oltre il ponte sulla Lima di ingresso a nord di Bagni alla Villa, e cioè su per la rotabile dell’Abetone-Brennero, tutti i caseggiati erano stati raggiunti, perché il grosso della formazione, qui dislocato, non appena ebbe la notizia che il Comando era insediato in città, si riversò sulla rotabile per scendere a ricongiungersi; e via via che venivano raggiunte le borgate, la gente dava notizie di eventuali presenze nemiche e subito veniva provveduto.’ Però la parte a valle, quella cioè verso Ponte a Serraglio, richiese impegno costante. In varie località, come ad esempio, su per la strada che conduce dal fondo valle fino a Monti di Villa, fu necessario intervenire in più riprese. Furono fatti prigionieri e ci furono morti repubblichini e tedeschi. Ci trovammo in situazioni drammatiche, come la fucilazione di soldati tedeschi a Montefegatesi, inutile e moralmente dannosa. Purtroppo prevalse l’emotività irrazionale, come, altrettanto irrazionale fu la nomina di Pippo a Sindaco di Bagni di Lucca. Furono inoltre fatte requisizioni inutili, pregiudizievoli, in nome di una giustizia sociale guidata dall’emozione del momento ancor prima che dal buonsenso.

Non si può però dimenticare che furono momenti particolari, a dir poco eccezionali.

Il Comando fu insediato nella villetta delle poste, cioè dove ancora oggi si trova l’Ufficio Postale; mentre la Formazione, in gran parte, fu sistemata nell’albergo Del Sonno. La mensa, ‘preparata dal Sig. Del Sonno, entro i suoi locali, che precedentemente erano adibiti a Bar e Ristorante, funsionò fino dal primo giorno. E’ logico che nelle ore in cui la mensa viniva aperta ci ritrovassimo, chi prima chi dopo, un pò tùtti, anche i partigiani del luogo come Carlino Mariani, che si erano ricongiunti in ritardo, si fecero vivi. Successivamente rientrò Tiziano da Pian di Coreglia, e pure Silvio con i suoi uomini. La situazione andava, via via, complicandosi, perché essendo Pippo Sindaco, mancava il necessario coordinamento e mancava in modo particolare chi si occupava del rilascio dei congedi a coloro i quali non intendevano rimanere ancora a lungo lontani dalle proprie famiglie. C’era inoltre la questione dei Russi che volevano essere rimpatriati, cosa ancora più complessa e difficile. Ci trovavamo in terra liberata, ma pur sempre in “terra di nessuno” o come si diceva allora in “terra nostra”, e questo non aveva nulla di legale e di ufficiale. Se non arrivavano gli Alleati, i russi non potevano essere rimpatriati e neppure quei nostri compagni le cui famiglie si trovavano in terra libera, dai tedeschi e dai fascisti, perché erano necessari i visti alleati perché i loro congedi possedessero il crisma della ufficialità. Ma l’ansia di tanti compagni era pressante e altamente comprensibile, per cui si rese necessario un incontro con Pippo per definire questa serie di questioni. Pippo era esaurito dal lavoro ingrato che si era trovato ad affrontare in qualità di Sindaco. Tutte le più incredibili sciocchezze dovevano essere sottoposte al suo vaglio e aveva da giudicare vertenze civili come “il fare giustizia per la capra entrata nell’orto del vicino a far danni”, quando cose urgentissime, che stavano per travolgerci, dovevano essere prevedute e affrontate prima che ci recassero danno. Non ultimo problema, anzi quello più bruciante e impellente, era la continuazione della “lotta” giacché era ormai chiaro che il fronte si era nuovamente fermato. Molti erano gli uomini, me compreso, decisi a tornare in “terra di nessuno” e questo bisognava deciderlo prima che arrivasse l’AMG (ALLIED MILITARY GOVERNMENT) in modo da non offrigli la possibilità di disarmarci. Cosicché la riunione nella villetta delle Poste, dove era stato sistemato il Comando, fu finalmente fatta. Eravamo presenti: Pippo, Gianni, Paolino e Cecco con il telegrafista del loro gruppo, Ughino furiere, Enzo La Loggia fratello di Gianni, Gino Venturi ed io. K1 e K2 erano già partiti per Lucca alla ricerca del Comando O.S.S. Per quel che mi ricordo, Tiziano non c’era perché ancora non era rientrato.

La prima cosa che fu chiesta a Pippo fu “abbandonare” subito il comune e nominare un nuovo sindaco al suo posto. Credo che in quella occasione fosse stato fatto il nome di Carlino Mariani, e successivamente infatti fu nominato. Seguivano la questione dei «congedi», il problema dei Russi e la necessità di riordinare tutti i documenti in nostro possesso, compresi quelli dei Giapponesi. Inoltre c’era la situazione riguardante la volontà dei compagni intenzionati a rimanere armati. “Paolino” alias Giorgio Braccialarghe presa la parola, spiegò che, ovunque gli Alleati arrivavano e insediavano I’A.M.G., per prima cosa disarmavano e congedavano i partigiani. Questo era regola inderogabile, alla quale non saremmo sfuggiti neanche noi. Era inutile illudere i ragazzi, qui era la fine del periodo di lotta partigiana. Noi non sopportavamo quest’idea e perciò, in accordo con Pippo, insistevamo nei nostri propositi, pur rendendoci conto che fino al quel momento era accaduto così e non potevamo sperare di avere un diverso trattamento. Gianni iniziò il suo intervento, in appoggio a Paolino, invitando Pippo a riflettere e a considerare anche, che lui Gianni, aveva portato il suo contributo senza nulla chiedere mai; non voleva approfittare della sua “privilegiata” posizione, ma, ricordando quanto il suo lavoro era stato determinante per il prestigio della formazione, si sentiva in condizioni di avanzare delle richieste. Per prima cosa si dovevano redigere le relazioni militari, per esteso, con calma e in questo era disponibile a collaborare perché niente fosse trascurato. Dato che era umanamunte impossibile sottrarsi alle regole degli Alleati, bisognava mettersi l’animo in pace e prodigarsi a una chiusura della “lotta” con la stesura di un documento capace di porre in evidenza il valore morale e militare di tutti i membri della Formazione. Ma non era sufficiente ottemperare a questo importante impegno, sarebbe stato anche necessario scegliere a chi affidare la presentazione di questa lotta trascritta nel documento perché avesse il suo giusto e doveroso riconoscimento ufficiale, in primo luogo per la memoria dei morti, ma anche per una gratificazione per i compagni più fortunati-. Quanto esposto fin qui aveva trovato l’approvazione di tutti, Pippo compreso. Ma Gianni non aveva ancora finito e proseguì.- Se mi è consentito darti un suggerimento e un invito, considerando anche che non ho mai interferito nelle tue decisioni, mi farebbe un immenso piacere se le relazioni militari fossero consegnate a un “antifascista di fama mondiale”, Comandante delle Brigate Internazionali nella guerra di Spagna e figura di uomo integerrimo or ora rientrato in Italia dagli Stati Uniti, cioè al repubblicano RANDOLFO PACCIARDI.- Questa uscita di Gianni colse tutti di sorpresa, meno si intende Paolino, Cecco e il loro radiotelegrafista, tutti pacciardiani.

Pippo, sorpreso e sgomento, chiese a La Loggia se seriamente pensava che si potesse mettere nelle mani di uno “sconosciuto” la sorte della formazione e non riusciva a comprendere come gli fosse venuta in mente una simile proposta. Per tentare di fargli capire quanto fosse paradossale ciò che chiedeva, si lasciò scappare una frase, che definirei poco felice. Pippo esordì: -Sarebbe più giustificato affidare i nostri carteggi a Tullio Benedetti, che è pur sempre il capo missione e che quando c’è stato bisogno ha dato il suo valido contributo.- Non aveva finito di pronunciare queste parole, che Gianni, montato su tutte le furie, accusando di essere stato mancato di rispetto e di riconoscenza, piantò tutti in asso e se ne andò, uscendo definitivamente di scena. Sparirono anche Paolino e Cecco, ecc. Noi che restammo, Enzo compreso, eravamo rimasti esterrefatti e increduli. Fu un grande dispiacere la perdita di Gianni, per Enzo, Gino e me in particolare. Ma ormai la rottura era irreparabile.

Pippo cedette l’incarico di Sindaco e si mise in contatto, non so se tramite Benedetti, con l’OSS di Lucca. Raccolse tutti i documenti in suo possesso e cercò di rendere concrete le buone intenzioni più volte dichiarate: cioè restare in armi anche a costo di ritornare “nella terra di nessuno”. “BUONE INTENZlONI” che fino a quel momento erano uguali a quelle di cui si dice sia lastricato l’inferno. Sperava con quanto disponeva, (compresi i documenti catturati al Contrammiraglio Giapponese) di trovare appoggi che gli permettessero la realizzazione dei nostri desideri.

Ma i giorni passavano e salvo i congedi, che gli incaricati consegnavano a chi li chiedeva, poc’altro, succedeva. Il Comandante era praticamente rimasto solo. Il suo più stretto collaboratore era Ughino Bardi di Bagni di Lucca, il furiere, il quale si era accollata la responsabilità della sistemazione di coloro che volevano tornare a casa. Bagni di Lucca la Villa era divenuto il centro di raccolta di tutti i reparti dell’XI ZONA.

Anche il Comando SUD della Val di Nievole, così  come i distaccamenti dislocati nella Val di Serchio erano rientrati, Tiziano compreso. Quest’ultimo era arrivato uno o due giorni dopo la partenza di Gianni e, in un certo senso, si trovò a far fronte al vuoto di comando lasciato da Pippo e da Gianni perché ognuno di noi si limitava ad assolvere i compiti assegnatici dal comandante e non c’era alcuno in grado di coordinare l’attività nel suo complesso. Così Tiziano si trovò al centro di questa situazione e, quando il Maggiore Perejra del 40° Corpo dì Spedizione Brasiliano venne a chiedere la nostra collaborazione, dovette da solo decidere se cogliere o no questa occasione. Meno male che non se la lasciò sfuggire e anche Pippo, che ne fu successivamente informato, la condivise.

All’iniziò Gino ed io andammo in pattugliamento notturno in appoggio ai brasiliani, altri come guide a pattuglie in ricognizione, finché il Comando Brasiliano non ci incaricò di andare alla ricerca di alcuni loro avamposti dei quali non avevano notizie da vari giorni. Certamente Pippo era a conoscenza della situazione generale, ma, assillato dal lavoro che gli veniva richiesto dall’OSS, era nell’ impossibilità di occuparsi di ciò che avveniva a Bagni. Quindi Tiziano dovette ancora decidere, su due piedi, se accettare o no, anche questo nuovo invito. Adunò tutti noi rimasti, spiegò la situazione e trovandoci d’accordo, di lì a poche ore partimmo. Furono composti tre plotoni: il PRIMO composto dai veterani di Pippo comandati da Antonio Lo Slavo e Remone (Remo Danti), il SECONDO composto dai rimanenti veterani più quelli del Comando Sud comandati dai fratelli Turini (Leone e Pollo) e il TERZO plotone, composto dai più disparati gruppi, era comandato da me e da Malombra (Guglielmo Toccafondi).

Ci ritrovammo come ai tempi della Scaffa in un centinaio di uomini in tutto, cinque più cinque meno salvo le unità addette ai servizi (Gasperini, Serafini, Ughino, Gino, ecc.).

La meta da raggiungere era Pian di Coreglia. Il primo distaccamento Brasiliano che non rispondeva era in questa località, mentre l’altro era quello in Coreglia Anterminelli, su sul colle.

A Pian di Coreglia, l’avamposto brasiliano stentò alquanto ad aprirci e quando alla fine riuscimmo a comunicare ci dissero che erano già in procinto di rientrare alla base di partenza, sia perché non avevano più viveri, sia perché avevano perso ogni contatto con il Comando. Avevano un tremendo terrore di essere assaliti dai tedeschi, per cui si erano rinchiusi sperando che il loro comando li andasse a rilevare. Ci volle del bello e del buono per persuaderli a restare. Fu convenuto che al nostro ritorno da Coreglia, dopo aver preso contatto con il gruppo brasiliano là dislocato, e che temevamo di non ritrovare, saremmo ripassati ad informarli e in tal caso sarebbe stata presa una decisione concordata. Fortunatamente all’avamposto di Coreglia non era successo niente di grave, e anzi fu abbastanza facile reperirlo, infatti incontrammo gli uomini sulla strada sotto il paese, nel tratto delle curve, con il mulo carico, decisi a tornare a Ponte a Moriano. Si era ormai nel pomeriggio inoltrato e un pò per il tempo impiegato ad intenderci, un pò perché si era vicini a sera si riuscì a farli tornare al loro alloggio in Coreglia. Anch’essi non avevano viveri come i loro commilitoni di Pian di Coreglia e noi pure era dalla mattina che non mangiavamo. Fortuna volle che un paio di barattoli di verdure liofilizzate saltarono fuori dalla soma del mulo e quindi stimolò tutti alla ricerca di pane, anche duro per poter rimediare una qualche sbobba.

A Coreglia avemmo l’occasione di rincontrare la “Bozzi” scesa dalle falde del Monte Rondinaio, la quale si era attestata in paese. Anche se un pò restii, ci aiutarono a trovare da dormire e la mattina seguente li salutammo e ripartimmo con i brasiliani.

Raggiungemmo Pian di Coreglia poco prima di mezzogiorno e dopo aver consigliato i brasiliani lì attestati a non abbandonare quella loro posizione, insistemmo perché spedissero una o due staffette al loro comando per riprendere i collegamenti. Li salutammo e Tiziano scrisse un biglietto al Maggiore Perejra che noi ci saremmo spostati su Barga per liberarla.

Quando giungemmo a Fornaci di Barga ci venne incontro il Dott. Boni che era del luogo, e che successivamente sarebbe poi divenuto il responsabile per il buon funzionamento del nostro servizio sanitario; da lui avemmo interessanti informazioni che ci abbisognavano e che più ci interessavano, riguardo alla presenza di tedeschi in città, e così stabilimmo un piano minimo da attuare. Ci saremmo spostati fino all’altezza dell’Ospedale di Barga e, se non si fosse incontrata resistenza, ci saremmo fermati per la notte a dormire nelle ville adiacenti. Così infatti avvenne, anche se in realtà ci furono messi a disposizione alloggi, subito al di fuori delle mura urbane.

Non ricordo esattamente se nella tarda serata ci raggiunse una staffetta brasiliana che ci comunicò di attendere i loro reparti per entrare in città, tutti insieme, la mattina seguente. Infatti la mattina presto il comando brasiliano arrivò e concordò con Tiziano l’occupazione della città. Giunti che fummo sotto le mura ci fermamrno perché fu rivolto un invito ai Comandanti di accomodarsi nel palazzo adiacente la Porta della città, che era di proprietà dei Sig.ri Martini, se ben ricordo. Fu la Signora che ci informò che i tedeschi si erano ritirati nella parte della città Nuova, al dilà del fossato. A questo punto fummo noi ad entrare in Barga e quando tutto sembrò tranquillo, anche nel settore delle scuole, cioè in Barga Nuova (oltre il fossato), entrarono anche i brasiliani. Erano quasi in parata, tutti allo scoperto senza la minima prudenza, sorridenti e lieti dell’evento, convinti che non ci fosse più alcun pericolo, malgrado noi ci sforzassimo a richiamarli inutilmente alla prudenza. Di li a poco, in maniera improvvisa ma non inaspettata, iniziò un cannoneggiamento infernale. Morirono dei civili e qualche brasiliano e ci furono feriti sulle prime cannonate. Resisi conto di quanto accadeva cominciammo ad infilare nelle case lì appresso, tutta la truppa, disorientata e smarrita che stava intorno a noi. Fortunatamente, noi partigiani, per miracolo, o forse per reazione allo sgomento dei brasiliani, non perdemmo la testa e ciò servì ad evitare un vero massacro.

Il giorno seguente furono effettuate perlustrazioni abbinate, con i soldati brasiliani e salvo casi sporadici non avvennero scontri di rilievo neppure per quelle pattuglie spintesi fin sotto i colli, e così Barga fu liberata. Fin dal primo giorno alloggiammo all’albergo Alpino, “noi del Terzo Plotone” e disponemmo un servizio di guardia partigiani-brasiliani anche per la notte. Gli altri plotoni di Remo e di Leone erano un pò indietro verso il “Fossato” Dormimmo poco e male. Già all’ora di cena, mentre eravamo a tavola a mangiare il cannoneggiamento aveva ripreso. Si ripeté per molte altre sere. Quel giorno stesso, mentre eravamo in sala da pranzo dell’Albergo Alpino, ci raggiunse Pippo, sorpreso da questa nostra uscita. Si congratulò e ci disse che l’OSS di Lucca e anche il Comando Generale con base a Siena era stato informato e che ci sarebbero venuti a trovare.

Grazie a Tiziano, considerato “di fatto” il Vice Comandante, la possibilità di continuare la guerriglia s’era fatta da questo momento più vicina, forse realizzabile, e tutti noi l’avvertivamo. Ora a Pippo toccava il compito di perfezionare l’operazione. Da quel momento magico le cose cominciarono a scorrere con una certa sicurezza e una certa facilità. Arrivò per primo il Maggiore Rossetti dell’OSS, un italo-americano che parlava assai bene la nostra lingua e con lui arrivarono le prime armi e i primi rifornimenti di viveri e vestiario. Ormai ci si convinse sempre più che non saremmo tornati indietro. Occupammo Sommocolonia e si arrivò di sorpresa fino a Lama di Sopra dopo aver superato Lama di Sotto e dopo l’occupazione lasciammo le due località in mano ai brasiliani. Purtroppo questi non si sentirono sicuri e le abbandonarono entrambe.

Noi del terzo plotone andammo ad occupare Renaio, ma dopo pochissimi giorni venimmo rimpiazzati dai nostri compagni di altri plotoni e da soldati della Buffalo, e fummo dislocati a Gallicano oltre il Serchio, sull’altra sponda, più avanti nella Valle. Intanto il Comando Brasiliano si era spostato a Fornaci di Barga. Tiziano venne nominato sindaco di Barga dal CLN locale.

 Vennero arrestati i fascisti più in vista, sia donne che uomini e cominciarono ad arrivare profughi d’oltre Appennino. Tiziano si ammalò e venne ricoverato in un ospedale da campo americano da dove, in pochi giorni, tornò guarito. Al rientro di Pippo, il Comando della formazione fu installato in Barga Bassa in una villa davanti le scuole sulla via che va al Ponte sul Serchio. Cominciò, anche, il periodo di spionaggio a favore dei tedeschi e fu l’inizio di una serie di attentati. A Gallicano ci attendeva un reparto di partigiani di Mario De Maria. Questo reparto era comandato da un certo Mario (Salvatori) impresario edile. Fummo alloggiati in un palazzo molto grande di fronte alla piazza al Monumento ai Caduti della guerra ’15-18’ e poiché, anche qui, ogni notte il paese era bersaglio di bombardamenti di mortaio, ci sistemammo nelle cantine. Restammo in questo luogo per vari giorni.

Alfredo Andreini e Gianfranco De Michele, rispettivamente infermiere e studente di medicina, accolsero nello scantinato anche tutti i cittadini fuggiti dai casolari dei dintorni, malati e feriti, porgendo loro cure nell’infermeria provvisoria. Si effettuarono pattugliamenti in direzione di Molazzana, nei quali si ebbero scontri a fuoco. La prima volta che una nostra pattuglia fece un giro di perlustrazione, proprio alle prime case sulla strada che porta alla chiesa, si scontrò con un avamposto tedesco che, dopo aver sparato una prima raffica, fortunatamente andata a vuoto, riuscì a sfuggire all’accerchiamento che avevamo tentato. I tiri dei mortai che martirizzavano Gallicano  continuarono tanto che la loro insistenza ci impose di andare a verificarne la provenienza. E fatte le debite considerazioni, due giorni dopo la prima ricognizione, decisi di tentare la liberazione di Molazzana. Arrivati in paese, senza incontrare resistenza, feci disporre le postazioni dei Bren e detti ordine agli altri “ragazzi”, armati di fucili semiautomatici, di coprirci mentre con altri due compagni, il Siciliano, e, forse, Ulisse Lena mi avviai su per il castagneto che sovrasta l’abitato. Giunti in cima ci mettemmo a osservare attentamente il luogo, al cui centro erano campi coltivati e sulla nostra parte una casa colonica in disuso.

 Il Siciliano entrò nei campi, recintati da una siepe di pruni, da dietro la casa; e nello stesso momento mi accorsi che, una fila di elmetti tedeschi si stagliava oltre e a filo dell’altezza della siepe aldilà del campo coltivato che lo recintava. I tedeschi erano seduti al bordo del castagneto adiacente, ma posti più indietro. Cercai di richiamare l’attenzione del Siciliano, il quale intento a guardare altrove, non si era reso conto del pericolo.

 Vedendo muoversi alcuni dei tedeschi, mi accingevo a sparare con il Bren che s’ inceppò. Fortunatamente il mio compagno sentì qualche rumore, si girò, mi vide allarmato e in posizione di sparo cosicchè capì immediatamente la situazione e, al mio cenno, ci segui. Tutti insieme: Sicilano, Ulisse ed io ci buttammo giù per il castagneto dal quale eravamo saliti e, appena fummo fuori pericolo, quasi all’asfalto della strada, i nostri compagni, avvistati i tedeschi, cominciarono a sparare riuscendo a coprirci. Al nutrito fuoco di tutte le armi, comprese quelle automatiche, i tedeschi si ritirarono e si ripiombò nel silenzio. Trascorsi una ventina di minuti tornammo sul poggio; non c’era più nessuno.

Nel breve giro di mezz’ora circa, cominciò un fitto tiro di mortai. Non avemmo nè morti nè feriti e restammo a Molazzana ancora in attesa delle notizie dei brasiliani, presso i quali avevo mandato una staffetta ad informarli della situazione. Alla fine giunsero e noi lasciammo loro il paese, come ci fu richiesto.

Di lì a pochi giorni, il comando ci richiamò per lasciare il posto ai locali partigiani e fummo mandati al “molin del Gasperetti”, sul torrente Corsonna, a piè del poggio di Sommocolonia. Il periodo di tensione dovuto allo spionaggio e agli attentati continuava ancora. E per questa ragione, Pippo si avvalse per un breve periodo dell’aiuto di Rolando Anzilotti, il quale giunse a Barga nei giorni del nostro rientro e con noi svolse servizio di pattugliamento per sorvegliare, anche di notte, i movimenti di persone sospette che, troppo spesso, si aggiravano tra il torrente Corsonna e Barga Bassa. Fu un periodo di particolare transito di profughi che accompagnati da guide esperte, traversavano le linee nemiche. Erano in prevalenza bambini, donne e anziani di ambo i sessi. In quei giorni arrivarono anche gli uomini di Marcello comandati da un bolognese che chiamavano «BilI» con loro c’era anche un commissario politico. Tiziano, rientrato in attività, tentò, con il grosso della formazione, di riconquistare Lama di Sopra. I tedeschi erano però preparati, e forse anche informati e non si fecero prendere di sorpresa; l’attacco falli.

Qualcuno sollevò critiche per il fallimento dell’impresa, neppure del tutto giustificate; in qualche modo avvallavano però i sospetti dello spionaggio a cui eravamo soggetti. Al Terzo Plotone al Mulin del Gasperetti, vengono a darsi prigionieri alcuni soldati della Wehrmacht. Si qualificarono austriaci e ci raccontarono di aver partecipato alla battaglia di Lama di Sopra; erano stanchi di combattere. Dal comando vennero a prelevarli e, dopo gli interrogatori da parte dell’OSS, vennero spediti ai campi di raccolta. Intanto a Fornaci di Barga, la Brigata BOZZI, chè rifiutò di aggregarsi a noi, venne smobilitata e ci furono offerte le loro armi, di cui prendemmo solo quelle più moderne e efficienti.

Qualche giorno dopo ci venne ordinato di prendere contatto a Sommocolonia, che era presidiata da un reparto di soldati della Divisione Buffalo e dai ragazzi di Marcello comandati da BilI. L’ordine partiva da Tiziano. Al comando americano, dove ero stato invitato a cercarlo, mi fu riferito che in quel momento era a colloquio con gli ufficiali comandanti. Ci fecero sedere ad un tavolo intorno al quale stavano giocando a carte quattro dei presenti; altri seguivano lo svolgersi della partita. Era buio quasi totale, tanto che c’era da chiedersi come facessero a distinguere i valori delle carte. Su richiesta di uno dei giocatori al quale mi trovavo accanto seduto, gli porsi il mio Sten, perchè era curioso di conoscerlo, ma prima di passargli la mano tolsi il caricatore e sicuro di quanto stavo facendo, lasciai andare la massa battente dell’otturatore per consegnarglielo completamente scarico. Non so come fosse potuto accadere, una cartuccia era entrata in canna e esplose. Fortuna volle, che, come era regola fare, il mitra era con la canna puntata a terra e il colpo partito inaspettatamente ferì un altro soldato al di la del tavolo a un piede, in modo abbastanza lieve. A questo punto ebbe fine anche il colloquio perché Tiziano si precipitò a vedere cosa fosse successo. Nella confusione iniziale non riuscì a capire niente, infine chiarita la situazione tutto tornò alla calma. lo comunque restai un pò scioccato e rientrato al Mulino insieme agli altri venuti con me, raccontammo l’accaduto cercando di capirne la ragione e di ritrovare la serenità. Di lì a poco venni a sapere che era stato comandato come responsabile militare a Sommocolonia il Ten. Sommati; ne fui molto sorpreso perchè, fino a quel momento, non lo avevo mai visto nè conosciuto, nè mai sentito nominare. Rimanemmo lì attestati fino a pochi giorni prima della battaglia di Natale.

In questo tempo rimane ferito “Stalin” un ragazzo emiliano che era con me fino da Bagni di Lucca e già nostro compagno d’armi nel periodo clandestino. Poi una metà del plotone, me compreso, fu mandato in riposo a Filecchio, ed è di quei giorni la partenza di “Stalin” per l’ospedale. Si era circa al 20 del mese dì dicembre. La notte (della vigilia ?) di Natale fummo riportati a Barga con camionette dell’OSS perché era iniziata la battaglia su a Sommocolonia dove erano stati dislocati da Pippo i nostri rimasti al Mulino del Gasperetti. In questa battaglia purtroppo morì Fontana. Era uno dei miei. A Barga, nella sede del comando, ritrovai Ugo De Poletti rientrato dopo una lunga degenza in Clinica Psichiatrica. Al Comando mancavano notizie certe su come si stessero svolgendo le cose a Sommocolonia, ormai sotto il tiro dell’artiglieria americana. Ricordo che incontrai Cefas e che salii al piano di sopra da dove si vedevano i tiri di partenza delle cannonate e i proiettili traccianti che colpivano il paese. Non so chi mi dette gli ordini di partenza, forse fu Pippo. La tensione era alta. Ci rifornimmo al magazzino di munizioni e di viveri e fummo divisi in due o tre gruppi. Il mio gruppo era composto da sette o otto uomini di cui sicuramente ricordo Ulisse Lena e il Siciliano, gli altri probabilmente erano Pontiroli, Pedrazzi, Pistolino, Checco e Cacino, ma non ne sono certo. Fummo incaricati dì andare a coprire la zona dell’altipiano di Barga verso il ponte sul Serchio, a metà strada tra queste due località. Non ricordo con precisione, ma mi pare che la zona fosse conosciuta come quella della “Campo Sampiero”. Era giunto il giorno e, appostati in una redola di campagna, un po’ infossata, ci eravamo allargati e distesi a semicerchio. C’era modo di appoggiare le armi sul ciglio del campo, e mi trovavo armato di una carabina automatica Willians di cui ero entusiasta. Guardando in direzione della zona pianeggiante a ridosso della collina su cui era ubicata Sommocolonia, non riuscivamo a vedere nessun movimento, ma eravamo bersagliati di colpi di fucileria. Lì nella redola, acquattati si sentivano fischiare i proiettili al di sopra delle nostre teste e, per quanto coperti e riparati dal ciglio del campo, ce ne stavamo senza dire una parola, concentrati al massimo a cogliere ogni minimo movimento.

Finii per parlare, tanto per rompere il silenzio opprimente e rivoltomi a Ulisse gli dissi:- Vedi, Barba caprina, se mi riuscisse veder qualche tedesco che mi entrasse nel mirino sarebbe un uomo morto-. Non avevo finito di pronunciare l’ultima sillaba che Ulisse, forse per istinto o forse perché gli era sembrato che mi fossi esposto troppo, mi tirò giù, di scatto la testa a pari del ciglio.

In quel medesimo attimo, il filo spinato che mi stava sopra al capo 10-15 cm, si spezzò di netto per l’urto di un proiettile; e sebbene tutto ciò fosse tutt’altro che comico, fui oggetto di scherzi che allentarono un poco la tensione. Per liberarmi alla meglio e peggio da questa situazione, inviai, al comando Pistolino, che era esperto del terreno, per avere notizie e ordini. Non molto dopo ritornò dicendo che il comando era stato spostato sul colle della Cattedrale per cui non era stato in grado di raggiungerlo. Rimanemmo lì un tempo imprecisato, inchiodati, ma, sulla sera, prima che sopra giungesse l’oscurità, convenimmo di ritirarci in qualche cascinale, sia per vedere se ci sarebbe stato possibile riprendere contatti con il nostro comando, sia per uscire dal freddo che ormai ci aveva presi tutti. Così infatti si fece. Di cascinali ne trovammo uno un po’ a Sud rispetto alla posizione sopra detta. Aveva davanti una fila di castagni robusti ed alti sui quali ci vedemmo, “nell’immaginazione”, di lì a poco impiccati. Ulisse Lena specialmente si divertiva a scherzare su questi castagni dicendo che sarebbe stato opportuno chiedere agli abitanti della casa se avessero buone corde e un pò di sapone per essere sicuri che i nodi scorsoi funzionassero a dovere e velocemente. A sera inoltrata mandammo proprio lui, Ulisse a vedere come stavano le cose. Al suo ritorno, ci informò che sulla strada asfaltata c’erano delle autoblinde inglesi e che, verso Barga, ne aveva viste altre, ma non era riuscito a entrare in contatto con il nostro comando, spostato su in Barga alta alla chiesa. Il mattino seguente, cioè il giorno 26,   S.Stefano, Cacino che era di guardia ci svegliò, sul far del giorno, perché l’autoblinda vista la sera prima, se n’era andata da pochi minuti ed aveva destato sospetti che qualche cosa stesse succedendo a nostra insaputa. Ci consultammo velocemente, e di lì a poco, decidemmo di recarci, “costi quel che costi”, a Barga Alta a cercare il nostro Comando. Facemmo fagotto e .ci incamminammo lungo la strada dove avevamo visto, in precedenza, il mezzo corrazzato e da lì ci dirigemmo verso l’abitato. Mentre salivamo in direzione della città riconoscemmo a qualche centinaio di metri da noi, l’Ospedale civile e accellerammo il passo per raggiungerlo. Quando giungemmo a trenta, quaranta metri dal lato sud dell’edifico, improvvisamente scorgemmo un donna con in braccio un bimbo piccolino e per mano una bambina. Correva verso di noi e quando ci fu vicina ci urlò con quanta voce aveva in gola, mezza stravolta:- Dove andate sciagurati!?-. Alla nostra risposta ci disse che i partigiani si erano ritirati la sera prima e che a Barga non c’era più nessuno nè partigiani nè americani. C’erano solo tedeschi e repubblichini a occupare la città, e i tedeschi stavano arrivando a controllare l’ospedale. -Scappate finché siete in tempo.­

Allora prendemmo la bambina in braccio, l’aiutammo ad allontanarsi il più velocemente possibile da quel luogo, dopo qualche centinaio di metri, con il cuore in gola la donna ci disse:- Grazie, mi basta. Andate, andate via-. Ci salutammo e a troncacollo ci buttammo a valle. Quel che trovammo abbandonato, strada facendo è impossibile descriverlo, ma posso assicurare che volendo, c’era da scegliere le armi che più ci fossero piaciute, nonché binocoli ed altro materiale. Continuammo a scendere fino in fondo alla valle, a rotta di collo, oltre Fornaci di Barga nei pressi del bivio che conduce a Filecchio, senza incontrare un’anima. Ci incamminammo verso Lucca ripercorrendo, a ritroso, l’itinerario già fatto circa due mesi prima: Piano di Corteglia, Ponte all’Ania, Ghivizzano, Calavorno.

Qui incontrammo un reparto di Indiani al comando di un Ufficiale inglese, forse un Colonnello. Avevano fatto un posto di blocco. Ci accompagnarono dall’ufficiale, il quale era in cerca di informazioni. Ebbi modo di ragguagliarlo, sulla situazione a Barga anche in base alle notizie avute da quella signora incontrata presso l’ospedale, in un inglese fatto più di cenni che di parole. I fascisti e i tedeschi avevano riconquistato la cittadina, ma non avevano proseguito l’avanzata. Ci salutammo e così riprendemmo il cammino alla ricerca dei nostri. Quando arrivammo alla curva che sovrasta la stazione ferroviaria di Bagni di Lucca a Chifenti, ci imbattemmo in alcuni dei nostri seduti sul muretto e subito dopo trovammo tutta la formazione, che si era sparsa nei dintorni di un cascinale che si trovava in posizione sopraelevata rispetto alla strada, da cui si proveniva. Non erano presenti nè Pippo nè Tiziano, ma Toccafondi e tutti gli altri ci corsero incontro con esclamazioni di sorpresa e di contentezza perché ci consideravano già morti. Ormai non speravano più di riabbracciarci; la stessa sorpresa e commozione manifestarono Tiziano e Pippo ritornati poco dopo. Infine ci scambiammo notizie veloci, perché ora c’era un problema urgente da risolvere, rientrare a Bagni alla Villa. Gli inglesi avevano chiuso il passo con un posto di blocco a Ponte a Serrarglio e, finchè non fosse arrivato l’OSS a sbloccare la situazione, bisognava aver pazienza ed aspettare. L’attesa, anche se ci avvicinammo al blocco, durò fino a tarda ora, tanto che riuscimmo a arrivare all’Albergo Del Sonno oltre la mezzanotte.

Fu occupata anche la villa davanti all’albergo, Villa Bessi dove fu posto il nostro comando e il magazzino. A giorno fatto cercammo di ritirare le fila e di istituire turni di guardia, di riordino e di assetto dei locali per alloggiare, ma anche turni di sorveglianza e di ronda per evitare scontri con i militari inglesi e americani ormai di stanza a Bagni di Lucca, sia alla Villa che a Ponte a Serraglio. Anche il comando avanzato OSS avava preso sede in città alla Villa. Frattanto Pippo e Tiziano erano in cerca di un punto d’appoggio ove trasferirsi per tornare in terra dì nessuno o in linea, evitando di correre il rischio, nuovamente riapparso, di essere disarmati. Eravamo al 28 del mese e cioè a quattro giorni dalla fine dell’anno. Giunsero a Bagni alla Villa, alcuni ufficiali dell’esercito Italiano con due camions. Il camion più grosso era un Tre-Ro, carico di armi italiane (fucili 91, Mitra Beretta da paracadutisti, mitragliatrici e mortai) per la maggior parte in pessimo stato; ce le misero a disposizione. Remone (Remo Danti) e Antonio Lo Slavo e Emilio salirono sopra per primi e fecero, per quel che mi ricordo, una cernita delle armi più valide, che furono scaricate, I mortai erano purtroppo inutilizzabili anche se sarebbero stati i più ambiti. Così furono lasciati sopra con il rimanente del carico. L’altro camion, più piccolo, trasportava sacchi contenenti delle confezioni tipo    pacco dono NATALIZIO il cui contenuto era formato da un paio di arance, fichi secchi, noccioline e mandorle,. Ci furono, purtroppo, esplosioni di collera e di vivo risentimento, per le armi più ancora che per i pacchi “dono”. Per calmare gli animi ci venne detto che le armi venivano da Pistoia .

Strano ma vero, nel giro di un giorno o due al massimo, giunsero parecchi pistoiesi: Vinicio Marasti (Califfo), Lidamo Frosini (La Ranca), Remo Cappellini, Otello Farnioli, Jonne Tronci, Cesare Vannacci, Franco Fedi (fratello di Silvano), Mario Eschini e altri che non ricordo precisamente. Tutto questo nel momento tragico dello spostamento verso S. Casciano di Controni da Bagni alla Villa dove rimasero Gino di Livorno e il vecchio Adamo, per controllare il magazzino e l’ufficio stralcio. Ivo Capocchi arrivò proprio quando per ultimi, Pippo, il Puccetti, responsabile dei collegamenti telefonici, ed io eravamo per partire. Arrivati alla nuova sede del comando, Villa Giannini, lvo fu una gradita sorpresa per tutti. Era rimasto ferito nel tentativo di passare le linee del fronte, incaricato di riprendere i contatti, allora perduti, con l’OSS ed era stato dato per morto; cosicché il suo rientro fu evento inaspettato e felice. Tutto questo susseguirsi di avvenimenti tanto incalzante che non è facile ricostruirne il giusto ordine cronologico sta dentro i pochi giorni rimasti del 1944. Infatti la fine dell’anno già ci trova a S. Casciano di Controni. Tiziano e con lui molti altri, quella notte tornarono a Bagni alla Villa a festeggiare il fine anno e, in questa occasione, ci fu una forte reazione guidata da Antonio lo slavo contro gli ufficiali inglesi che avevano rifiutato loro l’ingresso alla sala da ballo allestita entro il “Circolo Forestieri” di Bagni alla Villa. lo non fui presente perchè a me fu affidato il compito di rimanere a disposizione, in caso di necessità, entro le mura del comando. Frattanto i reparti di Abetone comandati da Franco Sisi e da Peppe Sogner, già da prima della battaglia di Natale, erano stati dislocati in parte a Limano, altri nei pressi di S. Casciano, parecchi a Lizzano Pistoiese, dove, sotto la responsabilità di Pippo, forse in accordo con Armando, era stata accolta anche la Brigata Costrignano proveniente dall’Emilia. Stavano ovunque avvenendo molti cambiamenti. A Barga, era rientrato il gruppo D, comandato da un altro pistoiese venuto di recente: Edoardo Barsocchi. Remone, Antonio e Trieste avevano preso posizione in Albereta, altri ancora in Siviglioli. Bortolo fu nominato comandante o comunque responsabile della polizia partigiana da poco istituita e del controspionaggio. Al comando si stava parlando di documenti riservati tenuti fuori della portata dei non addetti, dietro l’altare della Santa Gemma Galgani, nella Villa Giannini. Mario Eschini portò in formazione Giuliano Brancolini in compagnia di Giorgio Arcangeli. Io mi trovavo al comando centrale a regolare la distribuzione dei viveri e delle armi nuove portateci dal Magg. Rossetti, nonché addetto ai documenti segreti. Pippo riceveva persone, per noi, o per lo meno per me e per la maggior parte di noi, sconosciute, e successivamente si vociferò che Umberto di Savoia sarebbe voluto venire a ispezionarci, il che generò risate e risentimenti. Per queste ragioni Tiziano cominciò a contrastare Pippo. Pur tuttavia niente era sicuro e nessuno sa chi avesse messo in giro tutti questi discorsi. Il Maggiore Rossetti comunicò a Pippo che il Gen. Clark voleva incontrarlo e si parlò di onorificenze, che Pippo non avrebbe volute destinate a lui ma alla formazione. A un certo punto fui incaricato di recarmi sul fronte. Quindi lasciai S. Casciano per andare a prendere il comando in Granaio, passando da Siviglioli. Di lì a poco venni di nuovo richiamato a dirigere il gruppo Comando perché Pippo doveva andare all’incontro con il Generale e voleva che stessi lì. Mi lasciò la responsabilità di comando coadiuvato da Piero Michelozzi, che fino ad allora non conoscevo. Quando Pippo rientrò mi informò che gli avevano conferito la BRONZE STAR e che da allora eravamo stati accettati come «reparto Autonomo in linea di fronte con gIi Alleati “ sebbene in realtà fossimo spostati in avanti in terra di nessuno. La visita di un emissario, forse il Sen.TulIio Benedetti, riaccese le polemiche su Umberto dì Savoia. Tiziano mi informò ufficialmente della richiesta di ispezione da parte del principe presentata da Benedetti stesso, insieme ci opponemmo a questa eventualità. Anche Pippo allora fece marcia indietro. Nel frattempo Marcello, comandante indipendente del reparto partigiano attestato alle Cento Crocì-Boccassuolo, inviò una staffetta per chiedere a Pippo di intervenire presso il comando Alleato, a causa di disguidi che si stanno verificando in Emilia circa la distribuzione dei lanci di rifornimenti aviotrasportati. Marcello si trovava in difficoltà per carenza di armi e munizioni oltre che di vestiario per i suoi uomini che erano continuamente sotto pressione perchè esposti a scontri giornalieri, mentre al CUMER (COMANDO UNITO MILITARE EMILIA ROMAGNA) le armi venivano incettate per la “rivoluzione e la controrivoluzione”.  Manrico informò l’OSS e il Mag. Rossetti raccolse informazioni più precise e dirette. Ci furono vari incontri svoltisi tutti o quasi, entro la palazzina delI’OSS a Bagni alla Villa. Ad uno di questi incontri venni convocato anche io e ricevetti ordini da Pippo di recarmi a Boccassuolo, assieme all’uomo mandato da Marcello, per comunicare a Marcello stesso di staccarsi dal CUMER, spostarsi sotto l’Appennino Tosco-Emiliano per entrare in contatto con noi e ricevere, per mezzo di lanci, i rifornimenti necessari. Al tempo stesso ero latore di una lettera in sintonia con gli accordi presi a livello militare, che trasmetteva alle missioni radio di servirsi degli uomini venuti con me, per una distribuzione più utile ai fini della resistenza. La lettera era stata portata dal Magg. Rossetti ma era a nome del Magg. Abrignani. Era senza firma, e fu firmata in quella occasione non so esattamente da chi perché, tanto il Cap. Wergis, quanto Pippo e il Magg. Rossetti si ritirarono nell’ufficio personale del Capitano. Pippo me la consegnò, facendomi notare l’importanza di questa missione che doveva essere comunque portata a termine, indipendentemente da qualunque fosse stato l’esito finale. Ebbi la facoltà di scegliermi i compagni che sarebbero venuti volontari: con me vennero Guglielmo Toccafondi mio Vice comandante, Iliario Seghi e Remo Spinelli.

A questo punto mi vengono da fare due considerazioni veloci: una riguardante la situazione emiliana di Marcello e l’altra, relativa al clima venuto a istaurarsi dopo l’arrivo dei pistoiesi: clima freddo e sospetto che già era stato avvertito a Barga dopo l’arrivo degli uomini di Marcello. Circa la situazione emiliana, si evidenziava facilmente anche in Emilia, la poca influenza dei CLN che erano solo organismi di carattere civile-politico e non militare. Non avevano assolutamente spazio in campo militare, ma solo in senso logistico per viveri, vestiario, alloggi, informazioni; comunque, anche in questi settori, il loro apporto era alquanto discutibile. Per l’altra considerazione, il discorso era ancora più complesso. Da Pistoia erano arrivati personaggi di sicura fede comunista, ne cito uno per tutti, Lidamo Frosini (la Ranca). lo avevo saputo da mia madre, durante una mia visita in famiglia, che al PCI pistoiese c’era la convinzione che la nostra formazione fosse sospetta di aderenza monarchica, tanto che mia madre, mi disse che si era preoccupata di chiedere all’allora segretario provinciale Gaiani, se non fosse stato il caso di richiamarmi a casa. Gaiani invece la consigliò dì lasciarmi dov’ero. Questi nuovi venuti, in un primo momento, stavano molto abbottonati; cercavano, cioè, di rendersi conto se quanto era stato detto loro a Pistoia, risultasse vero o no. Devo dire che, Lidamo compreso, furono tutti concordi nel riconoscere la correttezza usata in formazione, e in particolare da Pippo, di non parlare di politica di partito, ma di impegno di lotta, tanto che tutti rimasero al loro posto.

 Lindano Zanchi