L'AVANZATA SU MILANO

 

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Sono nato a Fosciandora il 20 ottobre del 1921. Sono partito militare con la classe del 1922 il 28 gennaio del 1942 e sono stato con l'Autocentro nell'Isola d'Elba dove mi ha raggiunto l'8 settembre 1943.

Per sfuggire ad un bombardamento, il 19 settembre caddi a terra con la motocicletta e rimasi ferito ad un ginocchio. Ai tedeschi interessava poter disporre dell'Isola d'Elba, che era presidiata dagli italiani, per utilizzarla come punto d'appoggio per le basi della Corsica e della Sardegna dove avevano dei reparti che intendevano rientrare. Dopo il bombardamento raggiunsi l'Ospedale e, dopo alcuni giorni, fui dimesso. Nel frattempo i tedeschi erano sbarcati nell'Isola ed il presidio italiano si era arreso.

Dopo un mese che ero lì passò un ufficiale tedesco e mi disse: "Chi vuole andare da papa e mamà (a casa), bisogna che firmi; altrimenti campo di concentramento in Germania". C'era un soldato siciliano che disse: "Io firmo subito". A domanda del tedesco rispose di essere piemontese e di risiedere a Torino.

Allora mangiai la foglia e dissi di essere di Lucca e che abitavo in Via Fillungo. Un Marinaio di Sestri Levante disse che era di Sestri Ponente.

Dovevamo andare a Livorno per registrarci al Comando tedesco. Quando fummo alla stazione della Venturina parlammo con dei ferrovieri i quali ci sconsigliarono di salire sulla tradotta alla quale eravamo destinati. Se no, dissero, non ci scendete più. Di fatti noi si salì sulla locomotiva e con essa giungemmo proprio nel deposito delle locomotive. Poi i ferrovieri ci portarono nel loro dormitorio e ci fecero cambiare gli abiti, e di lì ognuno scelse la sua strada ed io tornai a casa mia a Fosciandora.

Nell'inverno del 1943 stetti in casa nascosto e nel mese di luglio 1944 raggiunsi il Comando dell'XI zona e fui aggregato al Distaccamento nel quale c'era Leone e i suoi due fratelli alle Tre Potenze.

Dopo una settimana, quando avvenne lo spostamento della Formazione in Emilia, io tornai a Fosciandora. Stetti un paio di mesi in casa e dopo, nel mese di settembre, attraverso i collegamenti, seppi che la Formazione era di nuovo efficiente in Val di Lima. Attraversai il fronte e attraversai Montefegatesi. Poi si scese a Bagni di Lucca e si visse il primo giorno della liberazione.

Si presero i contatti con gli americani e si organizzarono le prime pattuglie. Io parlavo un po' inglese perché ero stato in Inghilterra per quattro anni insieme ad una mia sorella. Furono organizzate le pattuglie notturne fino alla Stazione di Bagni di Lucca. Dal lato del Pian della Rocca venivano i soldati brasiliani e per i necessari contatti avevamo la parola d'ordine.

Dopo una settimana fu deciso di andare prima a Coreglia e poi a Barga. Difatti la prima puntata fu fatta a Coreglia. Dopo due giorni giunse un nuovo ordine e raggiungemmo Barga. Quelli di Coreglia furono destinati a Bebbio, Renaio e Montebono ed a Coreglia, che era rimasta retrovia, non ci restarono Partigiani.

Barga la raggiungemmo con Tiziano Palandri. Eravamo accantonati in diversi edifici: in Comune, nella Villa Biondi, nella Villa del Dott. Lucignani.

Dopo una quindicina di giorni fui assegnato a Renaio, ad un Distaccamento nel quale ricordo che c'erano Leone, Lindano, insieme a dei ragazzi di Pescia tra i quali "Paccherino" ed altri dei quali non ricordo il nome.

I nostri Distaccamenti sul fronte erano: uno a Sommocolonia, uno a Bebbio ed un altro a Renaio. I comandanti nostri si alternavano. Nel primo periodo i tre distaccamenti avevano la forza di circa settanta uomini e facevano servizi insieme ad una Compagnia di circa 150 soldati di colore della "Bufalo".

Noi eravamo conoscitori dei posti e posso dire con sicurezza che senza di noi, i soldati neri quasi non muovevano un passo. Rimasi a Renaio fino ai primi di novembre; il nostro compito era quello di andare di pattuglia.

Ricordo che a quell'altezza, circa milletrecento metri, c'era spesso molta nebbia e si creavano facilmente dei malintesi ed uno dei nostri rimase ferito da una pattuglia tedesca che, nascosta dalla nebbia, si era avvicinata.

Si credeva che fossero civili provenienti dall'Emilia. Di civili ne passavano molti.

Una volta ero di guardia a Renaio, sopra la Scuola; erano circa le quattro del mattino, stavo per sparare credendo che fosse una pattuglia tedesca, quando, all'ultimo momento, mi accorsi che era un "lombardo" che stava conducendo in salvo ben otto mucche.

I civili venivano numerosi da Sant'Anna a Pelago; non passavano attraverso la strada perché era minata; passavano sopra il Rimecchio, dalla Vetricia, Passerella e Saltello e Renaio. Poi bloccarono il passo.

Dopo mi mandarono a Gallicano dove venivano presi molti prigionieri. Con me c'era anche Volpi; fu Pippo che mi mandò là. Conobbi quindi anche quelle vicende tra le quali ricordo l'attacco del dicembre, effettuato dai tedeschi e dai repubblicchini, contro Vergemoli, provenienti dalle Rocchette.

Però riuscimmo a respingerli e loro ebbero tante perdite. Non credevano che ci fosse da parte nostra tanta resistenza. Gli attaccanti trovarono tutte le case del paese piene di Americani e di Partigiani e per difendersi, una volta venuti a tiro, si trovarono in difficoltà. Gli attaccanti credevano di trovare soltanto gli Americani ma trovarono anche noi e dovettero ritirarsi. Anche gli Americani ebbero numerose perdite: undici morti ed una ventina di feriti. Naturalmente quelli li riportarono dietro le loro linee. All'attacco vennero inizialmente con panzerfaust, ma i serventi furono scoperti prima che iniziasse il fuoco contro la prima postazione e questo pregiudicò il loro attacco. Noi avevamo un valido sostegno nell'artiglieria alleata. Sotto il Cimitero era tutta una fiammata. L'artiglieria era precisa. Gli abitanti, con i ragazzi, sottoposti ai colpi dei mortai, che durarono tutto il giorno, dovevano stare riparati. I danni, specialmente ai tetti delle case, furono molto gravi.

Ricordo che io dormivo nella stessa camera con un tenente americano. Decisi che non avrei dormito in quella camera; ebbi fortuna. Infatti i colpi di mortaio sfondarono il soffitto e traforarono le coperte dei letti.

Rimasi nella Compagnia di De Maria fino al Natale. Gli Americani erano di colore ad eccezione di un capitano e di un tenente bianchi.

La vigilia di Natale si fece l'albero. Poi bisognò lasciare l'albero e ritirarsi a Trassilico. Si discese e si salì: fu un arretramento ordinato e compatto, prima i civili, poi noi. In paese non rimase nessuno.

Avevamo un mortaio da 81 e lo facemmo saltare. La mitragliera americana che avevamo in dotazione, non potendola trasportare per il peso, la rendemmo inefficiente togliendole il percussore. Era un'arma fantastica.

Nell'altro versante di Trassilico ci riorganizzammo e, dopo circa una settimana, scendemmo a Gallicano. Ricordo il Volpi e Pizzino, Giuseppe Asara, che aveva il comando del plotone. A Gallicano ci fu un bombardamento nel quale rimasero, tra gli altri, 6 o 7 componenti di una famiglia di Molazzana. Il nostro comando partigiano era in Canonica a Gallicano. Alle due di notte facemmo l'arretramento. Noi si partì da Vergemoli verso le dieci di sera e si arrivò a Trassilico verso le due di notte. Nella mattina stessa le pattuglie tedesche erano già arrivate a Fornovolasco dove c'era il ponte per l'attraversamento. Fu una fortuna che effettuammo l'arretramento in maniera tempestiva, altrimenti avremmo trovati i tedeschi ad attenderci e si sarebbe morti tutti. I tedeschi non risalirono il monte verso Trassilico perché lo reputarono pericoloso.

A Gallicano i tedeschi si fermarono per il breve periodo che furono a Trassilico. A Gallicano le vittime ci furono per il bombardamento.

È da ricordare inoltre che gli Americani, prima di ritirarsi, avevano minato delle case e delle strade. Le mine americane erano potentissime e per chi vi si imbatteva era morte sicura. Infatti espellevano migliaia di schegge.

Dopo il bombardamento, probabilmente gli Americani credettero che l'attacco tedesco fosse l'inizio di un'offensiva molto più consistente. Invece si trattò di puntate di pattuglie, almeno sulla mia parte di fronte.

Io non notai la presenza di italiani della Monterosa e, in verità, ricordo bene soltanto le divise dei soldati tedeschi.

Per Befana, il sei gennaio del 1945, avevamo ancora una scorta di farina americana nel magazzino, la popolazione civile era tutta fuggita, e facemmo i maccheroni. Nella cantina del Prete, sotto la legna, trovammo una damigiana di buon vino e quindi fummo contenti di consumarne una parte in compagnia.

Avemmo poi quindici giorni di riposo a Bagni di Lucca e poi dal Comando americano giunse una telefonata con la quale chiedevano un interprete a Viareggio al Comando. Da Viareggio, per due mesi, andavo giornalmente al Cinquale sulla linea del fronte. Gli italiani passavano a frotte, venivano interrogati e avviati nelle retrovie.

Nel mese di marzo "Pippo" mi richiamò; era vicina la preparazione dell'avanzata. L'avanzata verso l'Italia settentrionale ebbe inizio nella metà di Aprile ed io la feci inizialmente a piedi insieme ad Alfredino Lenzi che fu ferito. Si partì da Bagni di Lucca, si prese la via della Controneria, si passò di fianco al Prato Fiorito e si attraversò il crinale dell'Appennino presso le Tre Potenze, si discese alle Tagliole e alla Dogana. Dopo cominciammo a trovare dei mezzi di trasporto civili e militari e giungemmo a Modena. Giunti a Modena attendemmo circa due giorni che giungesse il grosso del Battaglione. Allora ci attrezzammo meglio, si cominciò a trovare dei camion e con i nuovi mezzi si andò a Reggio Emilia e poi a Piacenza dove ci fermammo un paio di giorni. A Piacenza abbiamo trovato dei franchi tiratori fascisti. Noi si rispose al fuoco e dopo si arresero. Erano in particolare sopra un campanile prima di Piacenza. In un primo momento credevano di aver a che fare con i Partigiani, ma poi, vedendoci con le divise dell'esercito americano, cessarono di combattere; in parte si arresero e in parte si dettero alla fuga. La città non venne bombardata dall'artiglieria alleata un po' anche per merito nostro. Si andò in ogni parte della città, anche in Prefettura e non ci fu alcun danno causato dal bombardamento di artiglieria.

La gente cominciò a circolare e la città ritornò alla normalità.

Mentre Modena e Reggio erano state liberate dai Partigiani, a Piacenza erano rimasti dei nuclei dell'esercito fascista anche perché, trovandosi a ridosso del Po, che era continuamente bombardato dagli Alleati, non avevano potuto ritirarsi in tempo mediante il traghetto. Dopo due o tre giorni potemmo attraversare il Po con un traghetto. Di lì si prese Lodi e poi si giunse a Milano.

A Milano ci arrivai un giorno dopo l'arrivo del grosso del Battaglione perché avevo dovuto prendere contatti con l'O.S.S. Purtroppo non ricordo i nomi dei numerosi ufficiali dell'O.S.S. coi quali ebbi contatti; mi viene in mente soltanto il nome del Capitano Sabatino.

Dei giorni trascorsi a Milano ricordo che c'era il comando di una Divisione tedesca in un grattacielo. Non si volevano arrendere ai Partigiani locali. Li prendemmo di contropiede. Io feci la parte dell'ufficiale americano e naturalmente parlai in inglese, mi salutò e mi consegnò la pistola. I militari furono messi da una parte e le armi da un'altra. Quando si accorsero che eravamo Partigiani italiani quei tedeschi cominciarono a tremare come foglie al vento. C'erano una trentina di ufficiali e soldati ed una quindicina di donne dattilografe.

Il Comandante mi consegnò la chiave della cassaforte; di denaro, però, non ce n'era più.

Dopo di noi erano penetrati nel comando anche degli insorti del luogo e furono più solleciti di noi nel sequestrare la cassa di quel Comando. Il fatto successe il 28 o il 29 aprile.

Essendo nato e vissuto nel periodo fascista, vidi, per la prima volta nella mia vita, la manifestazione del I maggio. Si svolse in piazza del Duomo e rimasi ammirato dalla sua imponenza e dall'entusiasmo di tutti i partecipanti. Mi sembrò di vivere in un altro mondo. Cominciava la democrazia.

Transitando dal piazzale Loreto, dove erano stati impiccati quindici Partigiani e, successivamente, fucilati ed esposti i corpi dei gerarchi fascisti fra i quali Mussolini, ebbi la ventura di vedere e di prendere un pezzetto di corda alla quale era stato appeso Mussolini. Lo presi però, quando dissi che cosa era, qualcuno me lo prese e non lo vidi più.

Durante la nostra permanenza a Milano eravamo accampati in Via Vercellese, alla periferia di Milano, la prima cascina o la seconda proveniendo da Milano.

Prendemmo parte anche alla sfilata, ascoltammo il discorso di Ferruccio Parri. Egli fece l'elogio dei Partigiani locali ed uno particolare lo fece a noi ed al comandante "Pippo", in particolare per il comportamento della Formazione XI zona che aveva combattuto, dopo il periodo clandestino, per oltre sette mesi al fianco degli Eserciti alleati. Il ritorno lo facemmo in una unica colonna con gli automezzi presi agli Alleati.

Poi, il 6 di giugno del 1945, ci ritrovammo tutti sull'Abetone e, alla presenza di ufficiali alleati, ebbe luogo lo scioglimento della Formazione con l'onore delle armi.

 

Sante Santini

 

Tratto dal libro di C. Gabrielli Rosi "Ricordi di guerra e di pace"


Dalla Linea Gotica a Milano (cartine - Area Riservata)

 


 
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