"Una
quindicinale odissea d'immagine ed immaginazione"
(A Fifteen Year Odissey Of Image And Imagination)
di Timothy
White
Musician, maggio 1983
David
Bowie, alias Ziggy Stardust, il Thin White Duke ed Aladdin Sane,
ha fatto una carriera del sorprendere e scuotere i preconcetti
della gente. L'incontro ravvicinato di Timothy White in una tavola
calda di Manhattan tratta l'onnipresente Bowie dal super lodato
Ziggy Stardust alle scure ossessioni della fama di L.A., dai rinnovamenti
musicali dei suoi anni berlinesi al nuovissimo boogie di Let's
Dance.
Grassi clacson, stridenti e continui, ragliano all'unisono contro
il crepuscolo, al passo del crack delle percussioni metalliche.
Suona come l'inizio di Choo Choo Ch'Boogie, il successo
jump blues del 1946 di Louis Jordan, uno dei padri fondatori del
R&B. Ma i rumori di questa sera d'inizio inverno a Manhattan sono
solo vittime del blocco del traffico fuori della tavola calda
per camionisti nel distretto industriale vicino al tunnel Lincoln.
Dietro le finestre untuose, la rugosa cameriera si dà un colpo
ai capelli e sistema altre posate sulla formica, mentre i clacson
si placano e le grida smettono.
"Vorrei un piatto di quella minestra col riso sopra", dice uno
slanciato giovane uomo dai capelli biondi... Il suo tono è mite,
le sue maniere riservate. La bocca della cameriera si corruga
in un sorriso materno. Il sorriso di risposta del suo cliente
è sconcertante, frastagliati denti bianchi mostrati con grazia
da vampiro. Tale visione è cancellata così rapidamente che rabbrividisci,
chiedendoti se l'hai mai vista, uno sgradito, fugace sguardo ad
un segreto che è meglio lasciare intatto.
"Oh, si", aggiunge, gentilmente riconquistando la confidenza della
donna, "e vorrei uno dei vostri pasticci di pollo ed un bicchiere
di latte".
Voltati e guarda la stranezza: il trentaseienne David Bowie, vestito
come un bibliotecario in una fresca camicia blu, un gilè e pantaloni
kaki, con i capelli ossigenati in un corto taglio da scolaro.
Assaporando il suo pranzo, discute entusiasticamente il risultato
del Superbowl, ed è coccolato dalla scialba signora dietro il
bancone - "Non fare raffreddare la tua zuppa, tesoro". Quando
lei scivola via, lui arrossisce leggermente e dice che viene in
questa tavola calda da circa dieci anni, dal tempo in cui aveva
un appartamento nella West20, durante il periodo di Ziggy Stardust.
Aggiunge che ha scommesso dieci dollari sui Miami Dolphins anche
se è un fan dei Redskins.
Simili ammissioni sembrano sospette. Cerchi di immaginare il Mago
del Glam Rock mangiare in un autogrill, attento ad una partita
di football americano in tv, ma i ricordi del suo make-up spettrale
e del suo fantascientifico aspetto e comportamento lo rendono
difficile. Prevedibilmente, tutto viene più tardi verificato:
la direzione della tavola calda conferma che Bowie è davvero un
cliente quasi regolare da molto tempo; ed i musicisti di Let's
Dance,
il suo nuovo LP dopo circa tre anni, spiegano che il loro capo è stato molto interessato ai play off (e loro avevano cercato
di farlo diventare un fan dei Jets) durante le registrazioni,
quest'inverno, ai Power Station Studios a New York.
E' sempre stato un lavoro strenuo ed impegnativo separare l'uomo
dall'immagine, e ci sono state così tante versioni della seconda
nell'ultima decade che la sua predilezione per una elaborata reinvenzione
ha di gran lunga sorpassato il mero calcolo o la rituale auto-parodia.
Anche solo in virtù della sua resistenza, trapuntata di follia,
il concetto di David Bowie ha raggiunto una sua propria integrità.
Lon Chaney sarebbe stato invidioso. Kafka avrebbe potuto essere
ispirato a rilanciare La Metamorfosi in senso rock'n'roll.
Ma non davvero. L'Arte normalmente celebra/imita la vita, non
l'artificio. Eppure David Bowie ha portato l'artificio ad una
distanza vicina in modo impressionante all'arte.
C'è stato un tempo in cui Bowie, alias David Robert Jones, di
Brixton, Londra, non poteva neanche osare di sperare simili traguardi.
All'inizio, il glitter rock ed una grottesca tribuna d'onore non
erano il suo pensiero dominante.
Pensando al suo passato, a prima dell'elegante e spuntato Beau
Brummel sulla copertina dell'album del 1970 The
Man Who Sold The World, o all'aspetto alla Veronica Lake
dell'album del 1971 Hunky Dory
, ricordando un periodo risalente a prima del messia pop
Ziggy Stardust, del dada Aladdin Sane e del malizioso dilettante
ariano Thin White Duke, David Bowie fa una franca ammissione sulle
origini del suo esibizionismo:
"Come adolescente, ero penosamente timido, introverso. Non avevo
il coraggio di cantare le mie canzoni sul palco e nessun altro
le faceva. Decisi di farle sotto altre spoglie in modo da non
dovere conoscere l'umiliazione di andare sul palco ed essere me
stesso. Continuai a disegnare personaggi con le loro complete
personalità ed ambienti. Li portavo alle interviste con me! Piuttosto
che essere me - cosa che trovavo incredibilmente noiosa per chiunque
- portavo con me Ziggy, o Aladdin Sane o il Thin White Duke. Era
una cosa molto strana da fare".
E si dimostrò quasi la sua rovina, in quanto soffriva di ciò che
era essenzialmente il dipanarsi, aiutato dalle droghe, di una
"mentalità danneggiata, spezzata; una persona fratturata", mentre
viveva a Los Angeles nella metà degli anni 70, il periodo del
suo più grande successo commerciale. David dice che c'è una storia
di malattia mentale nei parenti stretti della sua famiglia, inclini
ad improvvise ed inspiegabili sparizioni, zie e cugini che erano
stati ospedalizzati dopo essere stati trovati a vagare per la
strada. E' ancora turbato dal tragico passaggio del suo fratellastro,
Terry, che a circa venti anni ritornò dal servizio nella Royal
Air Force gravemente disturbato. David, che all'epoca aveva sedici
anni, vide il super intelligente fratello lentamente escludere
il mondo, rifiutandosi, alla fine, di parlare. Dopo essere sparito
per alcuni anni, Terry ricomparve in un ospedale psichiatrico
ed ha passato un considerevole tempo negli istituti da allora [ndr. Terry si è suicidato nel 1985]
.
Nel periodo immediatamente successivo ai suoi stessi traumi mentali
a L.A., Bowie si trasferì a Berlino nel 1977, affittando un appartamento
spartano sopra un negozio di ricambi per auto e collaborando con
Brian Eno in due album elettronici crudi ed altamente impressionisti
(Low ed "Heroes"),
mentre era in convalescenza. "Lentamente riacquistando il controllo
di me stesso", come dice lui, si trasferì in Svizzera nel 1979,
dove lui ed Eno completarono la loro trilogia con Lodger,
un tributo all'inquietudine umana in tutte le sue forme.
Nel 1980, Bowie si immerse di nuovo nei suoi incubi con Scary
Monsters (And Super Creeps), ma questa volta sembrò governare
le creature d'ombra piuttosto che il contrario. Uscì dalle scene
della musica per un breve periodo per recitare a Broadway come
The Elephant Man ed in televisione nel Baal di Bertolt Brecht.
Ha anche ottenuto il ruolo di protagonista in due film, che usciranno
presto. Merry Christmas Mr Lawrence,
diretto da Nagisa Oshima (il creatore del controverso film erotico
L'Impero Dei Sensi), è uno studio sui prigionieri ed i
loro carcerieri in un campo di prigionia giapponese a Giava nel
1942, con Bowie nel ruolo di un tenente colonnello dalla forte
volontà, che rifiuta di cedere sotto tortura
[ndr. in realtà Bowie è il maggiore Celliers
nel film ed anche le altre informazioni sono inesatte].
The Hunger vede Bowie recitare come l'opposto di Catherine Deneuve;
lei è una sirena immortale che ha bisogno del sangue umano per
sopravvivere, e lui è il suo amante di circa trecento anni, che
invecchia improvvisamente e rapidamente.
Ora una lunga pausa dalla musica è finita con Let's Dance, un ottimistico sforzo commerciale che preannuncia la firma di
Bowie per la EMI (per una cifra riferita di diciassette milioni
e mezzo di dollari), un contratto a lungo termine che, presumibilmente,
permetterà a David anche di utilizzare gli estesi coinvolgimenti
nei video e nei film della sua nuova compagnia. In spirito, il
nuovo disco è un distillato della follia R&B che colpì l'Inghilterra
nei primi anni 60, anni d'oro di eccezionale musica nera che affascinava
David Jones ed i suoi amici. Nel contenuto, Let's Dance,
che è stato co-prodotto da Nile Rodgers degli Chic, ha un debito
nei confronti di Louis Jordan ed una serie di altri giganti del
jump blues, ma la sezione fiati alla Asbury Jukes ed i riff di
blues del Texas di Steve Ray Vaughan si combinano con le sue altre
componenti per forgiare un originale suono party-funk big-bass-drum
più grande della somma delle sue influenze.
"A dirti la verità, non avevo molta familiarità con la musica
di David quando mi chiese di suonare nel disco", ammette il ventottenne
Vaughan, un virtuoso di Austin il cui gruppo blues, Double Trouble,
è considerato uno dei migliori della città. La sua Stratocaster
del 1959 brucia di "una passione che viene dritta da T-Bone Walker;
Bowie evidentemente ha un gran buon gusto per i chitarristi",
dice il produttore veterano del R&B Jerry Wexler, che organizzò il concerto dei Double Trouble al Montreux Jazz Festival del 1981,
dove Vaughan e Bowie si sono incontrati per la prima volta.
"David ed io parlammo per ore ed ore della nostra musica, del
funky Texas blues e delle sue origini - ero stupito di quanto
fosse interessato", dice Vaughan (il cui fratello, Jimmy, è uno
dei Fabolous Thunderbirds). "A Montreux mi disse qualcosa sul
restare in contatto e poi mi rintracciò in California, mesi e
mesi dopo, chiamandomi alle 4.30 del mattino. Fu 'alzati e ragiona'
- una cosa molto veloce! Questo è un po' anche il modo in cui
l'album è stato messo insieme. E' stato il più grande divertimento
della mia vita. David lavora velocemente perché sa con esattezza
quello che vuole".
E quello che Bowie voleva era un disco scorrevole, elegante, con
una spavalderia soul; un disco che riaccendesse la gioia del R&B
che tanto tempo fa aveva aiutato un timido ragazzo di Brixton
ad uscire da se stesso. Peter Meaden, il celebre mod britannico
che scoprì gli Who e definì l'elegante stile di vita R&B-sesso-anfetamine
dei teen-ager londinesi dei primi anni 60, una volta offrì una
chiara descrizione della missione notturna dei Mod: "Diventare
eleganti, intelligenti e cool; e tutti bianchi negri di Soho della
notte". Quell'affermazione si adatta perfettamente a Let's
Dance….Il brano che dà il titolo all'album, Modern Love
e Ricochet sono incendiari pezzi da sala da ballo, e la
nuova versione di Putting Out Fire di Bowie e Giorgio
Moroder (dalla colonna sonora del film del 1982
Cat People) è un sensuale sfrigolatore.
David Jones e David Bowie si sono finalmente fusi insieme, in
modo organico e mirabile. Ma il vecchio artificio è duro a morire.
Come per, virtualmente, tutte le interviste che Bowie ha rilasciato
nel corso della sua carriera, questa è durata esattamente un'ora
(non ha neanche dovuto mai controllare l'orologio). E' volato
nel ristorante, togliendosi l'impermeabile ed offrendo una robusta
e cordiale stretta di mano. "Facciamo in modo che la cosa sia
il meno formale possibile", dice. Accende una sigaretta, maneggiandola
come se fosse la bacchetta di un direttore di orchestra. Il fumo
della sigaretta ed il vapore che promana dal suo pranzo caldo
turbinano intorno al suo viso pallido, la sua pelle così traslucida
che sembrava di poter vedere il sangue circolare al di sotto.
Le labbra sottili ed i denti vagamente volpini sottolineano vari
scherzi ed affermazioni col loro segreto sorriso. Era di umore
allegro; sembrava a suo agio. E quando aveva parlato abbastanza
si ritirava con strategica rapidità, magistrale nella sua abile
esecuzione. Senza dubbio, David Bowie è ancora una volta in controllo.
L'iIntervista,
di Timothy White
I:
Let's Dance ha molte interessanti sfumature del primo R&B,
elementi di Bill Doggett, Earl Bostic, James Brown ed una porzione
di Louis Jordan.
DB: Si, probabilmente si può dire. E' accaduto che all'incirca
nell'ultimo anno, poiché stavo facendo cinema, andando in luoghi
come il Sud Pacifico, ho portato con me dei nastri, non sapendo
se ci fosse una qualche radio locale, o come fosse la musica lì.
Mi sono reso conto che, in quello che avevo scelto, ero andato
indietro di venti anni o più, a cose che significavano molto per
me quando cominciai, per la prima volta, a suonare il sassofono;
c'era molto Johnny Otis, Red Prysock, quel suono rock'n'roll organico
da orchestra. Così, penso ci sia un certo grado di queste altre
influenze nel nuovo LP. Certo non suona come un disco di revival.
I: Quando ti sei incontrato con Nile Rodgers, il tuo co-produttore, è stato casuale all'inizio, voi due che ascoltavate dischi?
DB: Questo è ciò che è accaduto, perché lo avevo incontrato
qualche mese fa in un club a New York, proprio dopo essere tornato
dalle riprese del film Merry Christmas Mr Lawrence con
Nagisa Oshima. Cominciammo a parlare delle vecchie cose Blues
e Rhythm & Blues, scoprendo che avevamo entrambi gli stessi artisti
come grandi influenze. Suppongo che questo mi ha portato a pensare
che sarebbe stato bello lavorare con lui. Ammiro parte del suo
lavoro nell'area dei suoni di basso e delle idee per la batteria;
lui è stato molto importante nel mettere insieme quelle sezioni
nell'album. Ho pensato che, visto il tipo di influenze europee
che ha avuto, avrebbe potuto essere interessante vedere cosa poteva
risultare dal lavorare insieme.
I: Come ti sembrano i tessuti musicali nel nuovo album?
DB: Mi piacciono i fiati, ma non sono un elemento eccessivamente
dominante in ogni brano. E' davvero un mix di cose. E - non per
una qualche ragione elitistica (risata) - non ci sono sintetizzatori.
Volevo proprio lo stesso ottimistico suono da big band rock'n'roll
che mi aveva impressionato in passato…
I: Hai messo insieme un gruppo di musicisti completamente
nuovo per il disco. Come li hai scelti?
DB: Il chitarrista, Steve Ray Vaughan, indica da dove venivo
in termini di mettere insieme la band (parla lentamente). Viene
da Austin, Texas! Suona in una blues band lì. Quando l'ho visto
circa un anno fa al Montreux Jazz Festival il suo trio faceva
da band di supporto per Muddy Waters. Stevie è proprio dinamite,
pensa che Jimmy Page sia un modernista! Stevie è fermo ad Albert
King. .. Inoltre, volevo cambiare un po' rispetto alle persone
con cui di solito lavoro. Volevo provare persone con cui non avevo
mai lavorato prima, in modo da non poter prevedere come avrebbero
suonato. Loro non avevano granchè idea di come lavoravo in studio.
E, poiché non avevo lavorato in studio da due anni, mi è sembrato
perfettamente naturale cambiare adesso, per provare altre persone.
Nile ha scelto la maggior parte del resto della band per me: Omar
Hakim dei Weather Report; Carmine Rojas dalla band di Nona Hendryx;
Stevie e Nile hanno suonato la chitarra, e questo era il nucleo
della band.
I: Sorprendentemente tu non suoni niente nell'album. Neanche
il sax.
DB: Non suono proprio niente. Questo è un album da cantante.
I: Visto che la nuova musica segna un ritorno ai tuoi inizi
nel rock'n'roll…parliamo del tuo background. Eri un tipo notturno,
che abitava i pub del West End. E' vero che tuo padre aveva un
club di wresling?
DB: Si, una volta. E' parte della mitologia della mia famiglia.
Suo padre morì e gli lasciò molto denaro, che lui mise in una
troupe teatrale itinerante, che perse molto denaro. Quello che
rimase lo investì in un club londinese per lottatori a Soho, un
nightclub che era orientato verso i gangster ed i lottatori. Non
so come fu coinvolto in questo! Poi entrò nell'esercito e quando
tornò cominciò a lavorare come P.R. per un'organizzazione benefica
(Dr. Barnardos's Children Home), e vi rimase per il resto della
sua vita. Incontrò mia madre quando lei lavorava come maschera
in un cinema.
I: I tuoi genitori ti sono stati di supporto quando eri ragazzo?
DB: Mio padre è morto quando avevo circa vent'anni. Lui fu
rilevante nella mia adolescenza; man mano che crescevo ebbi sempre
maggiore supporto da lui. Mio padre mi comprò il primo sassofono.
Non ero particolarmente vicino a mia madre, ma mi sono avvicinato
di più a lei col passare degli anni. Penso che il riconoscimento
della fragilità dell'età ti renda più comprensivo nei confronti
delle precedenti tensioni della relazione tra genitori e figli.
I problemi, in definitiva, non sono mai solo da una parte o dall'altra,
è una responsabilità condivisa e diventi più maturo rispetto a
tutto questo.
I: La signora nel video di Ashes To Ashes è tua madre?
DB: (sorridendo) No, è solo una figura materna. E' una ben
nota attrice britannica. Questa è una domanda immancabile, e a
Londra le chiedono la stessa cosa.
I: Parlami della tua adolescenza, i tuoi primi anni come adolescente.
DB: Avevo l'usuale desiderio di rompere i legami con la mia
casa ed i miei genitori, la generale rabbia della giovinezza.
Avevo un fratellastro ed una sorellastra, a nessuno dei quali
ero particolarmente vicino, perché non vivevano mai a casa. Sono
cresciuto molto come un figlio unico, loro erano delle brevi apparizioni.
Persi contatto con la mia sorellastra Annette quando avevo dodici
anni - quella fu l'ultima volta che la vidi. Lei era molto più
vecchia di me ed andò in Egitto per sposarsi. Non ne abbiamo più
saputo nulla, ed abbiamo provato a rintracciarla. Ho vissuto a
Brixton fino ad undici anni, e fu abbastanza per esserne influenzato.
Ha lasciato grandi, forti immagini nella mia mente. Perché la
musica che stava accadendo nei miei primi anni di adolescenza
accadeva a Brixton, era il luogo con cui avevi una continua relazione.
Tutti i club ska e bluebeat erano a Brixton, così tendevi a gravitare
lì. Era anche uno dei pochi luoghi in cui potevi ascoltare i dischi
di James Brown, piuttosto che nei due club francesi della città,
La Poubelle e LeKilt. Un mio amico, Jeff McCormack, che è Warren
Peace nella band di Diamond Dogs, aveva una grande collezione
di dischi ska, e non era possibile competere con lui, così io
compravo Chuck Berry, Little Richard e dischi blues.
I: Gli adolescenti bianchi erano benvenuti nei "shebeens",
come i club delle indie occidentali sono conosciuti in Gran Bretagna?
DB: A quel tempo si. Se esprimevi interesse nella musica e
non ti immischiavi in quello che accadeva nel club, era molto
più facile, credo, di quanto sia oggi. In effetti non lo so, non
sono stato in quei club da anni. Non sono stato molto a Londra,
in senso sociale, a vivere, per così tanto tempo che per me è
quasi una città estranea ora - il che è spiacevole per certi aspetti,
ma perdi qualcosa e guadagni qualcosa.
I: All'inizio della tua carriera hai passato molto tempo nel
leggendario Marquee Club a Wardour Street, a Londra, che aveva
ogni settimana notti dedicate al R&B, con musicisti come Sonny
Boy Williamson e gli Yardbirds. Com'era quella scena nei primi
anni 60?
DB: Ero diventato amico dei proprietari; per me non c'erano
regole alla porta, così usavo entrare e guardare quello che accadeva.
The Marquee, The Scene, El Pie Island a Twickenham, erano tutti
parte di un circuito. A quel tempo - io avevo sedici anni - quando
ero frequentemente in quei posti, era l'era dei primi Mod. Ci
sono state due ondate mod in Inghilterra, la prima nel 1962-63.
Il primo gruppo si battezzò Modernisti ["Modernists"],
che fu abbreviato in Mod. Eccessivamente vanitoso. Questi non
erano i Mod in giacca a vento (impermeabili trapuntati in gabardine)
che arrivarono dopo sugli scooter. Gli scooter non erano così diffusi tra i primi Mod a quel tempo; usavano ancora il treno.
Ma i primi Mod indossavano vestiti costosi; erano davvero inappuntabili.
Ed il makeup era una parte importante di questo: rossetto, fard,
ombretto e cipria - non Clearasil. Erano molto azzimati ed amavano
James Brown. Elittisti. Le pillole [ndr.
droghe, soprattutto anfetamine] ebbero sempre un ruolo
importante; tutto era veloce. Non si supponeva che amassi band
come i Rolling Stones, e specialmente gli Action, gli Who e tutti
quelli che vennero dopo - quelli erano i ragazzi in impermeabile
dei tardi anni 60 - perché quelli erano veri Mod. Io lo feci -
segretamente. Ma mi dispiaceva che la moda iniziale fosse finita.
I: Come guadagnavi il denaro per vestirti?
DB: (ridacchiando, con un ammiccamento) Guadagnavi il denaro
in un modo o nell'altro, arrangiandoti. Una cosa molto popolare
era anche andare sul retro di Carnaby Street a tarda notte e razziare
le pattumiere. Perché in quei giorni se qualcosa mostrava anche
il più piccolo segno di deterioramento, o mancava un bottone,
o c'era un qualche difetto, usavano gettarla, così potevi trovare
delle cose fantastiche lì! Questo accadeva quando quella strada
stava diventando famosa. C'erano solo circa quattro negozi lì
che vendevano quel tipo di vestiti, non era una cosa turistica
all'epoca. Poi, potevi trovare bei vestiti fatti a Shepher's Bush.
C'erano buoni sarti lì che mettevano insieme un vestito velocemente
e con poca spesa, fatti di un tessuto (gran sorriso) che ti chiedevi
come potessero essere così economici. Così ti vestivi, andavi
al Marquee Club e diventavi matto, ascoltavi il Rhythm & Blues.
Era fondamentalmente un periodo rhythm & blues, che era appena
esploso nell'ambiente underground. Non ero al cento per cento
nel suonare musica all'epoca dei Mod, ma avevo suonato il sassofono
da quando avevo tredici anni, in modo discontinuo. Le cose che
stavo considerando di fare una volta che lasciai la scuola erano
o continuare ad essere un pittore, cominciare a lavorare in un'agenzia
pubblicitaria o essere un musicista, se fossi riuscito ad essere
abbastanza bravo.
I: L'impresario Kenneth Pitt ti vide al Marquee Club all'incirca
nel periodo in cui avevi diciotto anni ed avevi la band chiamata
David Jones & The Lower Third. Che genere di gruppo erano i Lower
Third?
DB: Suppongo che volessimo essere una band di rhythm & blues.
Facevamo molte cose di John Lee Hooker, e cercavamo di adattare
la sua musica al big beat - non ci siamo mai riusciti molto bene.
Ma era così; tutti si sceglievano un artista blues. Qualcuno aveva
Muddy Waters, altri Sonny Boy Williamson. Il nostro era Hooker.
Fu anche la prima band in cui cominciai a scrivere canzoni. Penso
che la prima canzone che abbia mai scritto - ce ne potrebbero
essere altre ma questa è quella che mi viene in mente - si chiamava Can't Help Thinking About Me (scoppia a ridere). E' un
piccolo pezzo illuminante, non è così? Era sull'andare via di
casa ed arrivare a Londra. The London Boys era un'altra
canzone sull'essere un Mod. Era una canzone contro l'uso delle
pillole; non ero particolarmente favorevole alla cosa, dopo un
po'.
I: C'è stato un momento nella tua tarda adolescenza in cui
sei stato brevemente coinvolto nel Buddismo?
DB: Sono stato sempre un grande fan della diversificazione,
eh? Facevo tutto allo stesso tempo. Ero un mimo, autore di canzoni,
sassofonista part-time, buddista, o qualcosa del genere. Mi perdevo
nei dettagli. Provavo qualsiasi cosa. Voglio dire, la mia intera
vita è fatta di sperimentazione, curiosità e di qualsiasi cosa
che sembri attraente.
I: Fu in quel periodo che ti unisti alla compagnia di mimo
Underground Mime di Lindsay Kemp?
DB: (assentendo, mentre mangia il pasticcio di pollo) Lindsay
fu la persona con cui finii per studiare e per la quale finii
per lavorare, e vivere il più degenerato tipo di vita. Era tutto
meraviglioso, incredibile. E' una grande esperienza vivere con
questa sorta di rancido gruppo teatrale alla Cocteau in bizzarre
stanze, decorate e dipinte a mano con cose elaborate. Tutto era
così eccessivamente francese, con esistenzialismo Left Bank,
leggendo Genet ed ascoltando R&B. La perfetta vita bohémien.
I: Pitt ti procurò il primo contratto nel 1967, vero? Tu avevi
un contratto con la Decca per un album, The World Of David
Bowie, in un'epoca in cui la maggior parte dei contratti con
nuovi artisti era per i singoli.
DB: Feci un album che finì per suonare come un Tony Newley
barocco, più che altro. Erano canzoni come piccole vignette. Suppongo
che fu all'incirca in quel periodo che stavo imparando a formulare
canzoni da punti di vista osservati e storie, cercando di distanziarmi
e di guardare alle cose. Erano narrative, strane cose sugli abusi
sessuali e le lesbiche. Era tutta influenza di Lindsay - che il
quotidiano non è così interessante come le curiosità della vita,
e che esse possono alla fine riportarti al quotidiano.
I: A quel punto della tua vita avevi letto qualcosa di Isherwood?
DB: Penso che avessi letto tutto al tempo in cui avevo diciotto,
diciannove anni, che avrei riletto, da Kerouac a Isherwood, Kafka,
Marcel Duchamp. Sono tutti passati nella mia vita in un momento
o nell'altro. La seconda volta mi sono diretto solo su poche di
esse ed ho vagliato e filtrato le cose che, per me, erano affettazione
piuttosto che qualcosa con un significato. E questo è quello che
faccio ancora.
I: Quando Space Oddity fu pubblicato in Inghilterra
nel 1969 non ti sei trovato improvvisamente in una strana giustapposizione
nei concerti dal vivo - cosa che il Bowie successivo avrebbe potuto
evocare - quando facevi show alla Dylan di fronte a degli incavolati
skinhead?
DB: Era strano. Non ero preparato per quello, affatto. Era,
sfortunatamente, una canzone molto buona che forse scrissi un
po' troppo presto, perché al tempo non avevo niente altro che
fosse notevole. Ciò in cui ero coinvolto allora, in misura più
o meno considerevole, era quello che era conosciuto in Inghilterra
come Arts Labs. L'idea era di incoraggiare le persone ad aggregarsi
localmente in questa casa a Beckenham ed essere coinvolte in tutti
gli aspetti dell'arte nella società. A venire a vedere strani
spettacoli di capelloni, persone strane. Cominciarono con scopi
altruistici. Noi tutti contribuivamo ai fondi, ma quelle cose
erano sempre carenti di denaro. Affittavi un film di Bunuel, come Un Chien Andalou, per fralo vedere, e non eri in grado
di pagare per il noleggio. C'erano dei poeti che venivano giù
dal Cumberland nel loro furgone per una lettura, e cose del genere.
Nel mezzo di tutto questo, avevo scritto questa piccola cosa sul
maggiore Tom e l'avevo registrata, e mi fu detto che avevo un
tour di concerti se lo volevo! Pensai arrogantemente "andrò
fuori e canterò le mie canzoni!", non sapendo che tipo di
pubblico c'era all'epoca. In realtà, era il revival dei Mod che
si erano trasformati in skinhead. Non mi potevano sopportare (risata).
No! Non c'era verso! Il comportamento di sputare e gettare sigarette
da parte del pubblico cominciò molto prima dei punk del 1977 nel
mio contesto di riferimento.
I: Durante il 1969 facesti un film molto poco noto, che non
ho mai visto, intitolato The Virgin Soldiers. Fu il tuo
primo film?
DB: In effetti, sono nel film per circa venti secondi, come
comparsa. Non so come si sia trasformata in una cosa che avrei
fatto come attore. Neanche io ho mai visto The Virgin Soldiers, così non sono nemmeno sicuro di apparire
realmente nel film. So che ero in un bar nel film. Quel film fu
messo insieme da un londinese che si chiamava Ned Aherrin, che
era uno dei più importanti autori satirici del tempo e lavorava
in cose come That Was The Week That Was. La mia prima apparizione
in un film fu anni prima in un filmato intitolato The Image, una cosa d'avanguardia underground in
bianco e nero fatta da qualcuno di cui non ricordo il nome. Voleva
fare un film su un pittore che faceva il ritratto di un adolescente,
ed il ritratto si animava e diventava il cadavere di una persona.
Non ricordo tutta la trama, se c'era una trama, ma era un cortometraggio
di quattordici minuti ed era orribile.
I: Qual'è stato il primo ruolo che hai fatto che pensi avesse
un valore?
DB: Suppongo, quello in The Man Who Fell To Earth [L'Uomo
Che Cadde Sulla Terra]. Ero più che ottimista sul
film, ed allora pensai che fosse un grande film. Non potevo che
pensare questo perché tutto quello che Roeg aveva fatto fino ad
allora pensavo che fosse grande. Ed oggi penso che sia migliore
di quanto pensassi all'epoca. Credo che abbia acquisito altre
qualità col tempo ed è un film di fantascienza molto interessante
- specialmente in relazione a molte delle cose uscite al momento.
I: La versione non tagliata è la migliore.
DB: Senza dubbio. E' l'unica versione che conosciamo in Europa.
Ero abbattuto quando uscì qui. Venti minuti tagliati lo hanno
distrutto; una brutta cosa da fare ad un film di Nick. Ma la cosa
migliore è che il film, al tempo, ottenne buone critiche. E' ancora
spesso in cartellone in alcuni cinema.
I: Mi sono sempre chiesto quanto tempo occorreva ad applicare
il trucco del corpo viscoso per il tuo ruolo in The Man.
DB: Occorrevano quattro o cinque ore, come per The Hunger
[Miriam Si Sveglia A Mezzanotte],
anche lì occorrevano quattro o cinque ore. La pelle del mio personaggio
in The Man Who Fell To Earth era un qualche miscuglio,
uno spermatozoo di natura aliena che era osceno ed aveva uno strano
aspetto. Credo che fosse stato messo insieme con il bianco d'uovo,
colori per alimenti e farina. Nick fa cose disgustose, che creano
delle vignette così provocatorie! Le scene d'amore di Nick devono
essere alcune delle più perverse mai filmate. C'è una qualità
molto crudele in esse. C'è qualcosa nei film di Nick che è molto
preoccupante, ma penso che il magnetismo dei suoi film stia nella
cautela e nell'inquietudine che essi creano. Per inciso, hanno
ritirato l'uscita di The Hunger perché stanno cercando
di far cambiare la valutazione [la limitazione
censorea - ad esempio "film vietato ai minori di.."]. Quella
gente di Hollywood si è messa nei guai per alcune scene di sesso,
che probabilmente hanno stupidamente incluso nella prima versione.
I: Pensi, in retrospettiva, che Tony DeFreis e la sua organizzazione,
MainMan, furono di aiuto nella tua rapida crescita di notorietà come Ziggy Stardust?
DB: No. Penso che lui mi presentò in modo esagerato. Guardando
indietro, penso che fece molte cose troppo presto e cercò di esagerare
in tutto.
I: Ricordo il generoso ed indulgente viaggio della stampa,
quando orde di giornalisti furono fatti arrivare in aereo a Londra
da New York per assistere al debutto del tuo spettacolo di Ziggy
Stardust.
DB: Folle. La cosa più ridicolmente grossolana che sia accaduta.
C'erano troppe cose che accadevano contemporaneamente. L'atteggiamente
da "di più è meglio", ho imparato rapidamente che è sbagliato
nella musica. Se pensi che il tuo lavoro conti, e se vuoi un qualche
tipo di comprensione tra il pubblico ed il tuo lavoro, allora
non puoi gettarlo lì in quel modo. Tutte quelle cose furono all'origine
dell'attrito tra me e Tony, verso la fine. Io volevo un approccio
di più basso profilo, piuttosto che quella iper-esagerazione.
I: Hai detto che il personaggio di Ziggy sopraffece la tua
personalità per un po', ti portò sull'orlo della rovina. Ti sentivi
come se perdessi contatto con la tua arte, perdessi il controllo
della tua identità come interprete?
DB: No. Stavo entrando più in contatto con il mio lavoro verso
la fine, e questo fu il motivo per cui volevo la MainMan lontano
da me. Era una cosa da circo. Non sono mai stato una persona da
entourage, odiavo tutto questo. E' stato un sollievo per tutti
questi anni starmene per conto mio, e non avere un costante gruppo
di persone che mi segue, al punto che quando mi siedo altre quindici
persone si siedono. Era insopportabile. Penso che Tony mi vedesse
come un tipo Svengali [?], ma credo
che avrei fatto bene comunque. Ora guardo a tutto questo con divertimento,
più che altro. Tutti andavano sempre dal dentista, o qualcosa
del genere, apparivano nell'ufficio persone completamente nuove,
che avevano cambiato completamente il loro aspetto dal giorno
prima...
I: Quando hai detto nel luglio 1973 che avevi finito col rock'n'roll
e che ti ritiravi, lo pensavi davvero?
DB: Assolutamente. Lo faccio ogni volta (sorridendo). Vivendo
in quel momento e pensando a quel momento, ed essendo troppo giovane
per riconoscere qualsiasi altra cosa, non mi sono mai reso conto
che c'erano periodi in cui semplicemente sei stanco di ciò che
fai e forse ti riposi. Per me era conclusivo: "E' andato tutto
male; non mi piace quello che sto facendo; sono annoiato; quindi
sarò sempre annoiato; allora mi ritirerò ora - questo è ciò che
farò! E' finito! La scintilla si è spenta!" Oggi, se le cose cominciano
a sopraffarmi ne prendo le distanze per qualche mese. Non sarò
più così stupido. E' molto importante fare una selezione. L'idea
della fama fu un'ossessione, finchè arrivò. Da quei giorni, c'è
stata una ridefinizione del perché volevo fare musica all'inizio.
Questa è una cosa a cui continuamente torno quando mi sento confuso
su quello che faccio o sul perché lo faccio.
I: Lo spoglio Station To Station album e tour fu il
risultato di un rinnovato interesse nell'espressionismo tedesco
del primo ventesimo secolo e dell'opera di persone come il regista
Georg Wilhem Pabst, o semplicemente di un sempre maggiore disinteresse
nelle esagerazioni teatrali?
DB: Le ragioni per cui realizzai lo show ed il disco erano
molteplici. Il bisogno primario per me era quello di sviluppare
maggiormente un'influenza europea, essendo stato immerso completamente
nella cultura americana. Poiché stavo attraversando un periodo
molto brutto dal punto di vista personale, pensai di tornare in
Europa. Così arrivai a quello.
I: Ti riferisci al noto periodo dopo che lasciasti la MainMan
e facesti The Man Who Fell To Earth, quando vivevi a Los
Angeles intorno al 1976-77?
DB: Esatto. Fu il periodo della "ripulitura". Ero completamente
distrutto emotivamente e fisicamente, completamente…Ne avevo abbastanza
di avere allucinazioni 24 ore al giorno.
I: Qual è la storia su quell'episodio di cui Cameron Crowe
scrisse nel 1976, in cui tu interrompesti l'intervista con lui
tirando giù una tendina della finestra, che aveva una stella e
la parola "Aum" disegnate sopra, e accendesti una candela nera,
sostenendo di aver visto un corpo cadere dal cielo?
DB: (risata ridacchiata) Questo accadeva tutto il tempo. Ero
una di quelle persone che vedi per strada, che improvvisamente
si fermano e dicono "Stanno arrivando! Stanno arrivando!" Ogni
giorno della mia vita, all'epoca, ero capace di stare sveglio
per un tempo indefinito. La mia chimica doveva essere sovrumana.
Stavo sveglio per sette o otto giorni in continua attività!
I: Keith Richards arrossirebbe.
DB: (geme) Oh, gli Stones ne sarebbero assolutamente stesi.
Loro mi vedevano qualche giorno dopo e trovavano che non avevo
mai dormito! Era irreale, assolutamente irreale. Certo, ogni giorno
in più che stai senza dormire - e c'erano cose che avevo da fare
per stare sveglio così a lungo - la stanchezza e la fatica incombenti
producono quello stato allucinogeno piuttosto naturalmente. (risata).
Bene, per metà in modo naturale. Alla fine della settimana la
mia intera vita si sarebbe trasformata in un bizzarro mondo nichilista
e fantastico di avverso destino, personaggi mitologici ed imminente
totalitarismo. Il peggio. Vivevo a L.A., in una casa arredata
all'egiziana. Era uno di quei posti presi in affitto ma mi piaceva
perché avevo un più che passeggero interesse nella egittologia,
nel misticismo, la cabala, tutte queste cose per loro stessa natura
ingannevoli nella vita, un'accozzaglia, di cui ho dimenticato
il punto cruciale. Ma a quel tempo sembrava ovvio in modo chiaro
quale fosse la risposta alla vita. Così, la casa aveva una posizione
rituale nella mia vita.
I: Sono incredibili le cose in cui David Bowie può mettersi
ed uscirne.
DB: Tirarmi fuori da tutto questo non avvenne in modo veloce, è stato un processo di due o tre anni. C'era un effetto flashback.
Dovevo aver sottoposto me stesso alle più bizzarre, dure prove
fisicamente, a parte tutto il resto. Per i primi due o tre anni
successivi, quando vivevo a Berlino, c'erano giorni in cui vedevo
le cose nella mia stanza muoversi - e questo quando ero assolutamente
"pulito". Ci vollero i primi due anni a Berlino per ripulire davvero
il mio sistema. Specialmente fisicamente ed emotivamente. Dovevo
davvero ritrovare me stesso.
I: Sei mai ricorso ad aiuto psichiatrico?
DB: Ho sempre avuto un'atteggiamento immaturo nei confronti
di coloro che si occupano della sanità mentale. C'era un marchio
d'infamia attribuito alla cosa, che io pensavo fosse inumana e
non volevo esserne coinvolto. Inoltre, avevo la vaga impressione
che avrei potuto andare in un ospedale e non uscirne più. Sentivo
quello squilibrio al tempo. Questo verso la fine del 1976. Fortunatamente,
fui in grado di uscirne con l'aiuto di due o tre amici che vennero
a Berlino con me o erano a Berlino. Mi resi conto di quanto vicino
fossi ad impazzire completamente o al non essere più in giro del
tutto.
I: C'è qualcosa nella tua personalità che desidera ardentemente
il cambiamento per il cambiamento, un lato ossessivo in cui l'interprete
prende il sopravvento sul non-interprete?
DB: Bene, penso che sia più a causa del successo dei primi
anni 70. Ho sempre avuto l'istinto naturale ad essere curioso
della vita in tutte le sue forme - le arti, qualsiasi cosa. Ma
avevo una crescente tendenza a non riconoscere il futuro. Tutto
diventò sempre più soltanto vivere di giorno in giorno. Poi accadde
una cosa parallela, per cui, quando uscii dall'ultimo brutto periodo,
diventai più cosciente della vita di mio figlio e delle responsabilità
che avevo nei suoi confronti. Immagino che sia l'invecchiare,
ma ora ho un legame molto diretto col futuro. Mio figlio, solo
con la sua presenza, mi dice che c'è un domani, c'è un futuro,
e che è inutile mandare tutto all'aria oggi;
perché ogni giorno che questo accade avrà un effetto sul futuro.
Senza riserve, penso sia molto importante per i giovani avere
la rabbia e la consapevolezza dell'oggi. Penso che questo sia
parte dell'essere giovane. Ma penso sia solo una grazia passeggera,
e poi scivoli in un altro punto di vista nella vita, che è temperato
dall'esperienza, ed il futuro diventa molto importante. Ma hai
bisogno di tutto il resto, di quel vortice di confusione e cattivo
comportamento, per raddrizzarti e vedere dove può andare il futuro.
I: Quanti anni ha Zowie adesso?
DB: Ha undici anni. Vive con me. Ho la completa responsabilità
di lui. Sono un genitore single con un figlio, e più di qualsiasi
altra cosa negli ultimi cinque anni questo fatto ha influenzato
il mio modo di vedere in generale, e continuerà a cambiare il
mio approccio alla musica ed a qualsiasi altra cosa faccia.
I: Come si è evoluta la tua relazione di collaborazione con
Brian Eno sui dischi Low, "Heroes " e Lodger?
DB: Bene, era il 1977, ed eravamo a Berlino, il mio primo
anno lì. Stavo gettando via tutto in termini di ciò che avevo
fatto fino ad allora nella musica, e non mi importava affatto
se non avessi più fatto un disco che fosse attraente. Telefonai
a Brian, una persona che da tempo mi interessava per il suo approccio
a piccole aree musicali che io avevo toccato in termini di cut-up
ispirato a William Burroughs e modi disorientanti di mettere insieme
gli strumenti. Sapevo che Eno aveva un approccio allo studio di
registrazione diverso da quello che avevo io, e pensai che fosse
il momento di lavorare con lui - specialmente se cominciavo ad
esaminare quello che volevo fare e se volevo tornare o meno in
America o in Inghilterra. Pensai:"'vediamo perché mi piace
la sua musica". Brian riconobbe la mia disperazione nel voler
capire se volevo continuare nella musica o no. E' meravigliosamente
facile produrre un'atmosfera da laboratorio ["workshop"] quando non c'è niente da perdere, e niente da guadagnare
a riposare sui propri allori. Non mi importava se la RCA mi faceva
causa; proprio non mi importava. E, infatti, furono molto scontenti
di ciò che creammo con quei tre album.
I: Parliamo di Low, per esempio.
DB: Un album terribilmente importante, per me personalmente.
E la posizione che adottammo su Low influenzò quello che
stava per accadere nella musica inglese per un po' di tempo. Quello
che Eno ed io ottenemmo fu qualcosa che sarebbe stato riempito
ed arricchito negli anni che seguirono in termini di ambiente
e suoni di batteria. Quel suono di batteria 'mash', quell'effetto
depresso stabilì la moda del suono di batteria in studio per alcuni
anni successivi. E' qualcosa che vorrei non avessimo mai creato,
avendo dovuto vivere quattro anni di esso con altre band inglesi,
prima che cominciasse a cambiare nel suono 'clap' che c'è ora.
Vedi, non c'era più un interesse da parte mia, e certamente non
da parte di Brian, nello scrivere qualcosa che avesse a che fare
col narrativo, se non creare un'atmosfera completamente per il
gusto di farlo. Quella musica può essere usata come un'atmosfera,
ed ascoltata in molti contesti differenti.
I: Che tipo di atmosfera stavate cercando di creare, in senso
auricolare, musicale?
DB: Per me, un mondo di sollievo, un mondo in cui mi sarebbe
piaciuto essere. Risplendeva di pura spiritualità, che non era
stata presente nella mia musica per un po' di tempo. La mia era
diventata infatti piuttosto oscuramente ossessionata. Mi ero accorto
che c'era un certo grado dei lower
element in recenti
canzoni precedenti e nella struttura della musica. C'era una purificazione
per me in Low. Trovo che abbia un feeling pulito. Quell'album,
più di molti altri che ho fatto, è stato responsabile del mio
ripulirmi musicalmente e del mio dirigermi verso più positivi
modi di esprimermi, se vuoi, nella mia musica. Ad eccezione di
una leggera ricaduta in Scary Monsters.
I: In "Heroes", canzoni come quella che dà il titolo
all'album e Joe The Lion suonavano come musica fiera e
d'attacco. Eppure il suono a forma libera di Low è stato
ora codificato in più comprensibili strutture di canzoni.
DB: Il contenuto dell'album, che era uno sguardo alla vita
di strada di Berlino, aveva molto a che fare con il feeling di
Joe The Lion ed "Heroes". E' come la vita delle
strade di New York ma senza l'enfasi sul consumismo. Politicamente, è molto più radicale nella sua espressione; tutti hanno una opinione
politica molto definita, o di estrema destra o di estrema sinistra.
Quel tipo di attrito produce un meraviglioso…si dice zeitgeist.
C'è uno zeitgeist del futuro, c'è una sensazione di responsabilità
sociale che è schiacciante. Non c'è il tipo di sontuosa decadenza
che in genere viene associata a Berlino - questo è del tutto sbagliato.
C'è una popolazione giovane; le persone di mezza età e le famiglie
si sono trasferite nella Germania Ovest perché non c'è rimasta
nessuna industria. Così, le persone che vivono a Berlino sono
vecchi stoici, che non hanno alcuna intenzione di andarsene, o
studenti, perché c'è ancora una forte enfasi sull'educazione a
Berlino. A causa di questo c'è una qualità seria nelle persone,
una resistenza alla stupidità. Vogliono cambiare per far accadere
qualcosa di positivo per le persone.
I: Gli osservatori a volte tendono ad interpretare i tedeschi
troppo direttamente attraverso la loro arte e la musica. Vedono
la severità e la rigidità di alcuni dei loro famosi pittori, ad
esempio, e credono che quello sia il modo in cui quegli artisti
vedono il mondo, piuttosto che riconoscere che, in effetti, quelle
sono immagini anticipatorie, che gli artisti creano per avvertire
la gente su realtà imminenti che possono essere respinte.
DB: Si, c'è davvero poco nichilismo nell'arte tedesca. Gli
espressionisti si preoccuppavano ["they
care"]. Anche gli ultimi Espressionisti come Otto
Dix e Georg Grosz, i satirici; essi forse non avevano gli stessi
teneri sentimenti nei confronti della vita, ma sapevano molto
bene cosa stava accadendo in Germania e cercarono di farlo notare
con i piccoli ritratti molto aggressivi dell'aspetto peggiore
della vita berlinese, che era una vita piccola. Quel lato peggiore
occupò il Kurfustendamn. La Berlino non divisa era otto volte
più grande di Parigi, e le persone qui parlano di una o due strade
che assunsero rilevanza nazionale alla fine degli anni 30, come
se Berlino fosse la sede di una qualche grande e decadente vita
da cabaret. Questo non è vero... Oggi gran parte dei berlinesi
sono persone che vogliono buoni e forti legami familiari ed un
buon tessuto sociale, in cui le persone si preoccupino le une
delle altre. Questo è il motivo per cui sono stato attratto da
quella città dopo Los Angeles, che è la sua antitesi. Berlino
è stata la mia clinica; mi ha riportato a contatto con le persone.
Mi ha riportato per le strade; non le strade in cui tutto è freddo
e ci sono le droghe, ma le strade dove persone giovani ed intelligenti
cercano di cavarsela, e sono interessate
in qualcosa di più di quanto denaro faranno alla settimana col
loro lavoro. I Berlinesi sono interessati al significato che può avere l'arte per le strade, non solo nelle gallerie. Si chiedono
come la pittura possa aiutarli nella loro vita.
I: In termini della tua zeitgeist pittorica, farai
mai una mostra dei tuoi dipinti?
DB: Sono tentato, in termini egoistici e auto-adulatori, perché
ho appena visto le nuove mostre a Berlino dei giovani artisti,
e mi sono improvvisamente reso conto di quanto le cose che ho
cominciato a dipingere a Los Angeles fossero vicine al loro lavoro.
Ero in sintonia. Non so se ci sia una qualche reale consistenza
nella mia pittura, ma certamente da un punto di vista formale
ero eccitato nel vedere quanto vicino fossi a quello che accadeva
a Düsseldorf ed a Monaco, e con i nuovi Espressionisti italiani.
L'ho visto anche a New York, con David Salle. E' un po' spaventante
(nervosa risatina), perché guarda cosa è accaduto al mondo l'ultima
volta che le persone hanno sentito il bisogno di lavorare in quel
tipo di forma, con la sensazione di "strappare via tutto,"perché
non abbiamo tempo per giochicchiare con l'arte decorativa, e c'è
solo il tempo di dipingere questo!" Ma qualsiasi stupido
può vedere due cose andare mano nella mano: l'avvento della distruttività nucleare e quel tipo di arte.
I: Come avvenne la registrazione di Fame con John Lennon
per l'album del 1975 Young Americans? Lo chiedo non per
nostalgia dopo la tragedia ma perché fu una collaborazione così solida, una canzone straordinaria.
DB: Dopo esserci incontrati in un club a New York, abbiamo
passato alcune sere a parlare ed a conoscerci, prima di entrare
in studio. Quel periodo della mia vita non è molto chiaro, molto
è davvero confuso, ma passammo ore interminabili parlando della
fama, e di cosa si prova a non avere più una propria vita. Di
quanto tu voglia essere noto prima che lo diventi, e quando lo
sei diventato, quanto desideri il contrario: "Non voglio fare
queste interviste! Non voglio fare queste foto!" Ci chiedevamo
come avviene quel lento cambiamento, e perché non era come avrebbe
dovuto essere. Immagino fosse inevitabile che il tema della canzone
fosse il medesimo delle nostre conversazioni. Dio, quella session
fu molto veloce. E' stato il lavoro di una sera! Mentre John e
Carlos Alomar stavano buttando giù il riff di chitarra in studio,
io cominciai a lavorare sul testo nella stanza di controllo. Ero
così eccitato che John fosse lì, e lui amava lavorare con la mia
band perché suonavano vecchi pezzi soul e cose della Stax. John
era così allegro, aveva così tanta energia; doveva essere molto
eccitante stargli sempre intorno.
I: Strano che un disco così urgente come Fame fosse
anche così danzabile, ma forse questo è tutto in un pezzo.
DB: (assentendo vigorosamente) Guarda il blues! Voglio dire,
devi tornare indietro. Nella nostra musica, il rock'n'roll, il
blues è il nostro mentore, il nostro padrino, tutto. Non abbiamo
mai perso quello, per quanto diversificata, modernista ed oppressa
dai clichè con i sintetizzatori la musica diventi. Non saremo
mai capaci di rinunciare al nostro retaggio iniziale.
I: Keith Richards ha detto che il rock'n'roll è su due cose:
il sesso ed il rischio.
DB: Sono un fondamento del rock. La vita riguarda il sesso
ed il rischio, ma questo non significa che essi siano tutto quello
che la vita è. Penso che sia esatto dire che saranno sempre un
forte elemento del rock, ma sono solo un punto di partenza (ridacchiando).
Penso che il rock possa espandere i suoi orizzonti un po' più
in là di questo - ma penso che anche una vita di sesso e rischio
possa essere soddisfacente. Ne ho avuto molto anche io. Ma aggiungerei
a questo le relazioni con gli altri.
I: Colla umanistica.
DB: Si, certo! Colla umanistica (malinconico sorriso). Questo
mi ricorda qualcosa. Sai, John Lennon aveva un punto di vista
così incisivo ed un modo di catturare proprio quello che stava
accadendo intorno a lui o a qualcun altro con cinque o dieci parole
od una frase tagliente, che era tanto esaustiva da non necessitare
di essere arricchita. Una volta gli chiesi, "Cosa pensi di quello
che faccio? Cosa pensi del glam-rock?". Lui disse (imitando Lennon),
" aww, è grande sai, ma è solo rock'n'roll col rossetto". Nessuno
l'ha mai detto meglio.