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"Parlando Di Arte Con David Bowie: la passione parallela di un musicista"
(Talking Art With David Bowie: A Musician Parallel Passion)
di Michael Kimmelman
New York Times, giugno 1998

Questa è la prima di un'occasionale serie di chiacchierate con persone che, in un modo o in un altro, hanno una speciale connessione con l'arte ma non sono (come attività principale) artisti: scrittori, musicisti, scienziati, politici, collezionisti. David Bowie si adatta ad alcune di queste descrizioni.

Come altri rocker britannici della sua generazione (ha 51 anni), ha frequentato la scuola d'arte. Ancora dipinge, disegna e fa stampe. Ha cominciato a collezionare quando era giovane e rappresenta la nuova ricchezza che così notevolmente ha alterato la demografia del collezionismo d'arte nelle ultime decadi. Recentemente ha aiutato a creare una casa editrice di libri d'arte, la "21", ed ha svolto un secondo lavoro come intervistatore di artisti per "Modern Painters", la rivista britannica. Ha anche cominciato ad esibire i suoi dipinti - con qualche trepidazione, come qui sotto ammette. I suoi quadri suggeriscono, tra le altre cose, l'amore per Picabia, il Surrealismo, i fumetti della Marvel ed Egon Schiele (Bowie ha un aspetto che ricorda anche un po' Schiele).

Oltre che parlare di arte e musica, del rock e della sua carriera, Bowie accenna ad un certo numero di artisti durante l'intervista: il pittore figurativo inglese David Bomberg (1890 - 1957) e gli allievi di Bomberg, Frank Auerbach (1931 - ) e Leon Kossoff (1926 - ); John Heartfield, il dadaista tedesco pioniere dei fotomontaggi anti-nazisti durante gli anni 30; F.W. Murnau, il regista tedesco di "Nosferatu" (1922) ed alcuni degli artisti londinesi più inclini alla morbosità, che hanno fatto colpo ultimamente, tra i quali Damien Hirst (dei dipinti di pezzi di mucca e spin paintings ) e Jake e Dinos Chapman (manichini dei grandi magazzini con peni e vagine multipli)

I: hai studiato arte a scuola. Hai anche cominciato presto a collezionare.

DB: si, ho cominciato a collezionare molto presto. Ho un paio di Tintoretto da molti, molti anni. Ho un Rubens. L'arte è stata, seriamente, l'unica cosa che ho mai voluto possedere. Per me è stata sempre un nutrimento stabile. La uso. Può cambiare il modo in cui mi sento al mattino. Lo stesso lavoro può cambiarmi in modi differenti, a seconda di ciò che mi sta accadendo. Per esempio, un artista che mi piace molto è Frank Auerbach. Penso che ci siano alcune mattine in cui se ci troviamo l'uno di fronte all'altro, io ed un ritratto di Auerbach, il dipinto può ampliare il tipo di depressione che sto attraversando. Darà peso spirituale alla mia angoscia. Alcune mattine lo guarderò e "Oh dio, lo so!". Ma quello stesso quadro, in un giorno diverso, può produrre in me un'incredibile sensazione del trionfo di cercare di esprimere me stesso come artista. Posso guardarlo e dire "Mio Dio, si! Voglio avere un suono come quel quadro".

I: non ti avrei associato ad un pittore come Auerbach.

DB: trovo il suo modo di dipingere a bassorilievo straordinario. A volte non sono molto sicuro se ho a che fare con la scultura o la pittura. In più, sono stato sempre un grande fan di David Bomberg. Mi piace quella particolare scuola. C'è qualcosa di molto inglese parrocchiale in essa. Ma non mi importa. Mi piace Kossoff per la stessa ragione.

I: e Lucian Freud?

DB: ammiro l'abilità del suo lavoro..... Ma non aderisco all'idea che sia il più grande pittore che abbiamo.

I: cosa pensi di Francis Bacon?

DB: no. Due o tre pezzi li trovo straordinari. Mi piacciono le sue figure alla base della croce, il primo pezzo che lo rese famoso, e, certo, il Papa, che era una cosa straordinaria. Ma si è indebolito presto. La sua fine è stata rapida. Per il resto, i miei gusti sono cattolici... Questo è quello che intendo per usare l'arte. Ci sono volte che preferisco un momento cerebrale con un artista, e mi piace lo spirito di un Picabia o di un Duchamp. Mi diverte che loro pensassero che quello che facevano sarebbe un buon modo di fare arte. A volte mi piacerebbe mettermi al posto di Duchamp per provare ciò che lui provava quando metteva in mostra quelle cose e diceva: "Mi chiedo come reagiranno. Mi chiedo cosa accadrà domani mattina". C'è l'altra parte di me che pensa che lo faceva solo perché non sapeva dipingere. Forse per ostilità nei confronti di una scena artistica in cui non aveva successo, si sentiva forzato nella situazione di produrre un nuovo tipo di arte - sarebbe una reazione molto umana, e non lo diminuirebbe affatto ai miei occhi se semplicemente avesse detto: "Metterò in mostra un gabinetto. Vediamo quanto lontano posso spingermi". Capirei quell'atteggiamento perfettamente, perché la cosa più interessante per un artista è prendere dai detriti di una cultura, per guardare a ciò che è stato dimenticato o non preso sul serio. Una volta che una cosa è classificata ed accettata diventa parte della tirannia del mainstream, e perde la sua forza. È sempre stato così per me: la cosa più imprigionante è sentirmi incasellato.... Sto cercando di pensare se c'è qualcuno che davvero ha raffinato la sua abilità al punto che sei davvero felice che abbia continuato a fare la stessa cosa per tutta la vita. Certo che c'è. Quanto sono stupido! Bob Dylan. Non ha cambiato molto il suo percorso, ed ora la sua musica ha una tale risonanza che quando ho ascoltato per la prima volta il suo nuovo album ho pensato che avrei dovuto ritirarmi.

I: hai menzionato Duchamp e Picabia. Cosa pensi degli attuali artisti londinesi che hanno un debito con loro? Penso ai Chapman, a Hirst.

DB: non sono un grande fan dei Chapman. É una cosa tipo piccolo scolaro sghignazzante - che è, in un certo senso, un'illustrazione del problema. Penso che la loro arte abbia lo stesso tipo di spin di Jerry Springer.

I: però ammiri Damien Hirst.

DB: lui è differente. Penso che il suo lavoro sia estremamente emozionale, soggettivo, molto legato alle sue paure personali - la sua paura della morte è molto forte - e trovo i suoi pezzi commoventi e per nulla frivoli.

I: io a volte lo trovo divertente, per esempio nei suoi dipinti spin.

DB: ne ho fatto uno con lui. Mi ha incoraggiato a vestirmi come un marziano, a stare su una scala e gettare colore su una tela rotante. Mi sono divertito un mondo. Mi sono sentito come se avessi di nuovo tre anni. Mi ha ricordato l'atteggiamento di Picasso. Sai, lui stabilisce parametri nello studio che producono una sorta di giocosità, da cui proviene una cosa molto pura. Con Damien non si lotta zelantemente per produrre un lavoro. Voglio dire, certamente applica il suo intelletto, ma non c'è nessuna disperazione in questo. Lui è anche una delle persone che ha aiutato a rendere l'arte molto accessibile al pubblico in Gran Bretagna, in un modo in cui non era mai accaduto prima, neanche al culmine degli anni 60. All'epoca dovevi comunque fare di tutto per vedere i lavori di Allen Jones o Hockney. Ora è molto facile uscire nei weekend e vedere della buona arte quasi ovunque in Gran Bretagna. E le persone che vanno nei musei e nelle gallerie oggi sembrano essere molto più giovani di quanto non siano mai stati. Penso che siano una generazione che non vede una separazione tra ciò che è visuale e ciò che è acustico. Sai, 25 anni fa c'era un gruppo di noi che cercava di mettere insieme tutte le arti e creare un potpourri, una sorta di nuova essenza per la musica inglese. Cominciò anche prima di noi, nella metà degli anni 60, quando molti dei nostri musicisti blues e gruppi rhythm&blues vennero fuori dalla scuola d'arte. In Gran Bretagna c'è sempre stata una battuta, che andavi alla scuola d'arte per imparare a suonare la chitarra blues.

I: tu suonavi il sax.

DB: volevo essere Gerry Mullighan, solo che, vedi, non avevo alcuna tecnica. Così pensai, "bene, il sax baritono è un po' più facile, posso riuscire a suonarlo", però non potevo permettermi un sax baritono, così comprai un sax alto, in cui c'era la stessa diteggiatura (ride).

Quello che accadde all'inizio degli anni 70 con persone come me e, forse, Bryan Ferry e Brian Eno, forse qualcuno dei Pink Floyd prima di noi, i King Crimson, quel tipo di band: eravamo tutti molto eccitati all'idea di far conoscere alle persone cosa confluiva nel nostro lavoro, che non stavamo tutti cercando di essere Chuck Berry. So che Ferry era un grande fan del Dada, per esempio. Pubblicò anche un album intitolato The Bride Stripped Bare. Eno ed io dicevamo "non dovrebbe farlo", pensando che l'avremmo dovuto fare prima noi (ride). Eravamo eccitati dalla scenografia, dal modo in cui vestivamo, dal cercare di creare un intero paesaggio per la musica che facevamo. I Beatles lo avevano fatto, in certo qual modo, perché avevano John [Lennon]. Ho sempre tratto molto piacere nel parlare e nello stare con John perché non c'era niente che non lo interessasse. Aveva un vero appetito per le cose. "Cos'è quello, mi piace! É rosso e grande e lo voglio!" Molti di noi volevano essere così. Parlavamo dei libri che leggevamo, sai, dei Beat ed autori del genere. Parlavamo del teatro Kabuki [teatro tradizionale giapponese]. Parlavamo degli artisti. Ero interessato agli Espressionisti. E c'era molto Dadaismo in quello che facevamo. Ricordo che fui colpito da dei collage...

I: Hannah Hoch?

DB: si, ma anche, qual'era il suo nome....?

I: Schwitters? Heartfield?

DB: Heartfield, che penso abbia influenzato anche alcune band punk inglesi negli anni 70: il modo in cui facevano i poster, facevano a pezzi le lettere e frantumavano le frasi. La distruzione dei vestiti.

I: la gente ha ritenuto che i Situazionisti degli anni 60 abbiano direttamente influenzato il punk. Tu intendi che anche i montaggi degli anni 30 di Heartfield li abbiano influenzati? Stracciare, rompere le cose, rimettendole insieme? O intendi la sua ironia?

DB: penso che negli anni 70 c'era una generale sensazione di caos, una sensazione che l'idea degli anni 60 come un "ideale" fosse non appropriata. Niente sembrava più ideale. Tutto sembrava nel mezzo [una via di mezzo]. Pensavamo, "stiamo entrando in un grande flusso da cui non usciremo più?" La reazione nel lavoro di Brian fu una sorta di intensità. Nel mio lavoro solo orrore. "Bene, è tutto finito! Allora vestiamoci! Metti i tuoi vestiti migliori perché è tutto finito!"

I: hai menzionato gli Espressionisti tedeschi. Ti riferisci ad artisti come George Grosz?

DB: no. Mi piacevano Murnau e Fritz Lang. Grosz era troppo diretto per me. Ho sempre voluto una certa astrazione. L'arte per me dovrebbe essere abbastanza aperta da consentire di sviluppare un proprio dialogo con essa.

I: cosa pensi allora dell'arte politica dei primi anni 90? Era molto diretta.

DB: mi ha lasciato indifferente. Ho pensato, "quale condizione ha forzato queste persone ad essere così accusatorie"? Fortunatamente, si è dissolta rapidamente. Ora c'è Matthew Barney, che si è impadronito dell'idea del mitologico, che sembra nell'aria: la completa paganizzazione della nostra cultura. Con Barney ed alcuni altri artisti... penso che il loro lavoro, qualche anno fa, sarebbe ricaduto nell'area dell'outsider art. Ma il mondo dell'arte amplia sempre i suoi parametri per elevare le cose dall'arte bassa all'arte alta.

I: c'è un'ovvia differenza tra il mondo dell'arte ed il mondo della musica rock.

DB: la differenza è che uno ha un cervello (ride). ... C'è un alto grado di ricerca della fama nel rock, e penso che porti verso un grande potenziale.

I: l'arte non è diversa da quel punto di vista, non credi?

DB: si, è vero. Suppongo che la stessa cosa si possa dire per alcuni artisti visuali. Ma il successo nell'arte sembra riguardare molto di più conoscere ed adulare alcune persone. Se un artista visuale sa essere eloquente sul suo lavoro, può dire ai collezionisti cosa pensare di quello che stanno comprando. La gente non sta seduta, ferma, ad ascoltare un musicista rock che spiega perché dovrebbero spendere 15 dollari per comprare il suo album. Non è facile farla franca nel rock senza che qualcuno ti dica "mi stai prendendo in giro". Non si tratta di venti persone; si parla di centinaia di migliaia, se sei fortunato, e così si forma un consenso nella musica. Come musicista rock puoi vivere di quello che ti dà il tuo pubblico, indipendentemente da quello che dicono i critici. Lascia che te lo dica, molte volte ho dovuto farlo. Gli alti e bassi possono essere davvero terrificanti (ride).

I: tu sei nella singolare posizione, ora, di avere iniziato una sorta di seconda carriera come pittore.

DB: è un terribile errore?

I: tu me lo chiedi? Lo sto chiedendo a te.

DB: è una domanda retorica, in effetti. Ho cominciato a rendere pubbliche le cose che faccio intorno al 1994. Non sono sicuro del perché ho fatto questa scelta, ed ancora oggi non sono sicuro se è stato un errore, ma non c'è modo di tornare indietro. Fino a quel momento dipingere per me era un fatto privato e, veramente, mi serviva a risolvere i problemi. Trovavo che se avevo qualche ostacolo creativo nella musica su cui lavoravo, spesso, tornavo a disegnarla o dipingerla. In qualche modo l'atto di cercare di ricreare la struttura della musica in pittura o nel disegno produceva una svolta.

I: come?

DB: è molto difficile per me esprimerlo in parole. Non sono certo di che processo si tratti. È un vero e proprio "Eureka!" Metto insieme una strana serie di strumentazioni, o combino suoni inusuali, e poi non sono sicuro di dove il testo dovrebbe cadere nella musica, o non sono sicuro di cosa il suono evoca per me. Così, cerco di disegnare o dipingere il suono della musica. E spesso un paesaggio produrrà se stesso, poi identificherò le posizioni all'interno del paesaggio. Improvvisamente capisco dove vanno le cose nella musica.

I: letteralmente paesaggi?

DB: bene, è tutta arte figurativa. Io lo chiamo paesaggio, ma localizzazione, penso, sia una parola più adatta.

I: non sono ancora sicuro di capire.

DB: questo è il problema quando si parla di arte, non credi?

I: bene, forse puoi spiegarmi più chiaramente perché hai cominciato a fare mostre.

DB: vanità (ride). No, davvero, Eno mi chiese di fare qualcosa per beneficenza. Così produssi una serie di stampe per lui. E mi piacque. Mi piacque stare nella galleria, un po' in disparte, a guardare le persone passare davanti alle opere e dare le proprie interpretazioni. Pensai, è divertente. Poi mi fu chiesto di fare una mostra. Un altro ragionamento è confluito in questo. Questo sta cominciando a diventare un argomento complesso, ma ero molto insoddisfatto di me stesso come musicista durante gran parte degli anni 80, l'ultima parte degli anni 80. Appena ho compiuto 40 anni tutto è andato male. Quando ho raggiunto il 1987 sembrava che niente funzionasse per me musicalmente. Avevo perso la strada. Mi sentivo male con me stesso come artista. E, probabilmente, cominciai di nuovo a lavorare nell'arte visuale quasi disperatamente, per trovare una qualche salvezza come artista. E poi durante i primi anni 90 ho ritrovato lentamente la mia strada nella musica. Ora nella musica mi sento soddisfatto - spero non completamente soddisfatto - da quello che faccio. Dall'altro lato, trovo che tengo a mente come le persone rispondono all'arte; il che ha prodotto una separazione tra l'aspetto visuale e quello musicale. Non sono sicuro che sia una buona cosa. Ma ci sono entrato con gli occhi ben aperti. Mi aspettavo lo scherno, e l'ho avuto (ride).

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