Q
di David Sinclair
Gli
anni 80 non sono stati una decade felice per David Bowie. Sebbene
abbia avuto un largo successo commerciale con
Let's Dance nel 1983, quell'album ha anche segnato
il punto in cui abbandonò i suoi sforzi artistici. Come
solista, la sua successiva ricerca di un ruolo musicale adatto
nel mondo del rock corporativo e mainstream del dopo Live
Aid produsse risultati rapidamente minori, mentre il suono
pre-grunge dei Tin Machine si dimostrò un pasto indigesto
per molti dei suoi ammiratori.
Ora ha riscoperto gli insistenti ritmi elettro-dance ed i sensuali
tessuti musicali del sintetizzatore e del sax, con cui ha sedotto
critici e fan, come nell'ultima parte degli anni 70. Per riconoscimento
dello stesso Bowie, Black Tie White Noise è un album
che ha ripreso dove Scary Monsters aveva lasciato nel 1980, e se una qualche collezione di canzoni
potrebbe ristabilire il suo stato di divinità, ebbene è
questa. Ma non ci saranno più travestimenti, niente strani
personaggi da aggiungere alla galleria delle sue "persone" degli anni 70.
Fin dall'inizio - un rintocco di campane che introduce uno strumentale
basato sul sassofono, che David Bowie ha composto per la sua cerimonia
di nozze - l'album ha a che fare innanzitutto con gli umori e
le esperienze del vero David Bowie, non mediate da alcuna fittizia
terza parte o inarcate da drammatica ironia.
La canzone che dà il titolo all'album è un commento
sui disordini di Los Angeles, che David Bowie ha sperimentato
molto da vicino. Una strisciante canzone soul-funk, che vede la
partecipazione al canto di Al B. Sure ed una citazione dal brano
di Marvin Gaye What's Going On; è sentita e socialmente
rilevante come qualsiasi cosa che David Bowie abbia mai registrato.
Altrove è data piena libertà alla sua vena romantica,
non solo nel brano Wedding Song, ma anche in una elegante,
pomiciosa ballata che si intitola Don't Let Me Down And Down,
e nella effervescente Miracle Goodnight, che combina un
motivo ritmico saltellante con delicati tocchi di chitarra highlife.
Prodotto da Nile Rodgers (che ha fatto anche
Let's Dance), l'album presenta un'adunata di diversi musicisti,
che include i chitarristi Mick Ronson e Reeves Gabrels, il pianista
Mike Garson (famoso per aver suonato su Aladdin
Sane, ed il celebrato trombettista jazz Lester Bowie (nessuna
relazione). E' il contributo di Lester Bowie che attribuisce la
più efficace e sofisticata dimensione jazz a molte delle
canzoni - ed ovviamente al groove fusion di Looking For Lester
- insieme ad alcune delle migliori performance al sassofono di
David Bowie mai messe su disco.
Ci sono due cover - un arrangiamento hard-elettronico di I Feel
Free dei Cream ed una versione da scuotere le finestre della
ballata di Morrissey I Know It's Gonna Happen Someday,
che David Bowie fa propria così completamente che è difficile non pensare che sia una delle sue composizioni.
Per tutta la sua immaginazione ed il suo fascino, l'unico ostacolo
al successo di questo album è la sua ovvia mancanza di
singoli da classifica. Jump They Say potrebbe avere qualche
mix da discoteca credibile ma non è una canzone da poter
mettere accanto ai classici successi del passato di David Bowie.
Ci sono delle cose straordinarie nel disco - la profonda e sorprendente
linea di basso elettro-funk di You've Been Around, il groove
sinistro, pseudo-hip-hop di Pallas Athena - ma nessuno
di questi è davvero materiale da singoli. La canzone di
Morrissey potrebbe essere la risposta.