Rolling
Stone n.824/1999 - USA
di Greg Tate
Non
importa il panico da fine millennio, David Bowie sembra dire in
Hours… proviamo la tristezza invece. Il 23mo album di Bowie
è così nudamente emotivo quanto il resto del suo iconico catalogo;
è un'affermazione riassuntiva dall'uomo che ha inventato il rock'n'roll
postmoderno, così la lezione comincia. Ma l'insegnante è più preoccupato
per le ferite scoperte che di fare grandi affermazioni: "le cose
belle stanno andando all'inferno/si sono logorate, ma dureranno
anni"; è grande quanto possibile. Il sentimento suona preso da
un diario di Johnny Rotten, quasi un bacio d'addio all'era del
rock.
Bowie è probabilmente l'unico in giro con la storia, l'ironia
e la distanza per cantare quel testo come un'autocritica, una
sentenza di morte, un'affettuosa reminescenza allo stesso tempo.
Alzare il suono delle chitarre avrebbe reso l'analogia con i Sex
Pistols più palpabile, ma avrebbe tolto all'album la sua atmosfera
di effervescente malinconia.
Hours contiene quella sopportabile leggerezza dell'essere
che viene dalla posizione di Bowie come una rilevante rock star
di una certa età. Avendo fatto la sua parte per il futuro primitivismo
nelle sue precedenti uscite concettualmente frenetiche, Outside
ed Earthling, Bowie chiude
il sipario sul secolo con una collezione di canzoni che sono soltanto,
bene, Hunky Dory. I fan potranno
anche sentire eco di Ziggy, Aladdin
Sane, "Heroes",
Low ed anche dei Tin Machine.
Anzitutto, però, l'introspezione di Hours… è un testamento
alla serenità che arriva con lo status di leggenda, la maturità
ed la sopportazione. Come nel caso di Miles Davis nel jazz, Bowie
è arrivato non solo a rappresentare le sue innovazioni ma a simbolizzare
il rock moderno come un linguaggio in cui letteratura, arte, moda,
esplorazione sessuale e commento sociale possono essere messi
insieme. Mentre questa non è un'idea priva di eredi diretti -
vengono in mente i nomi di Corgan, Reznor e Manson - Bowie fa
sembrare il tutto così dannatamente facile.
Hours… si diffonde nella stanza, porta come una brezza
i suoi arabeschi angosciati e le sue ninne-nanne dell'aldilà e
poi luminosamente si ritira in succinti 45 minuti e 42 secondi.
I momenti di confessione salienti includono Survive, con
la sua fragile, fallita atmosfera e Thursday's Child, su
una vita di disperazione salvata dall'amore. In queste canzoni
la voce di Bowie, più scura e legnosa nel timbro del solito e
sul punto di piangere, si affatica sulla musica gentilmente evocativa
del suono di Filadelfia e del fantasma di Philippe Wynn: "giorni
che si trascinano e notti solitarie/a volte il coraggio mi finiva
sotto i tacchi/vecchio sole fortunato nel mio cielo/niente mi
aveva preparato al tuo sorriso". Come sempre, l'eccentrico senso
della melodia di Bowie gira nelle orecchie come una "stranezza
spaziale ", arrivando sotto la pelle, toccando le corde del sentimento
e suscitando sentimenti di alienazione che non sapevamo di avere.
Il complice di vecchia data di Bowie, il chitarrista Reeves Gabrels,
ha credito come coautore su tutte le canzoni. La loro fertile
collaborazione produce arrangiamenti pieni di atmosfera, grinta
e sfumature; Hours è un album che migliora ad ogni nuovo
ascolto.. Proprio quando tutte le vecchie belle cose potevano
pensare che il loro mondo fosse salvo da intrusioni giurassiche,
è arrivato Bowie, a porre un'ipoteca sul prossimo, coraggioso
mondo del rock. Hours… è la ulteriore conferma della osservazione
di Richard Pryor che li chiamano vecchi saggi perché tutti
i giovani saggi sono morti.
Q
novembre 1999
Oh
guarda, è di nuovo uno di noi. Nel 1999 ci sono coloro che sono
troppo giovani per ricordare le ferrovie britanniche, le pettinature
a caschetto (??) od il tempo in cui potevi comprare un nuovo album
di David Bowie senza uno strisciante senso di timore. Possiamo
rimanere con le ferrovie privatizzate e la moneta decimale ma
il suo ultimo album è, piacevolmente, buono quanto usavano essere
i suoi album.
Hours è un disco riccamente composto ed emozionalmente vivido;
in contrasto con il cantato faxato ed i pezzetti chiacchierati
del suo predecessore Earthling, o dell'indigesto cibo concettuale
di Outside, possiamo vedere il miglioramento. Mentre Bowie
ha avvertito che queste canzoni non vanno viste come autobiografiche
- tuttavia riguardano largamente un uomo della sua età, in agrodolce
osservazione del passare degli anni - esse, quanto meno, suonano
abitate.
Per un artista che è sempre stato considerato distante e artificioso,
Bowie è in effetti un maestro del romanticismo da opera lirica.
Qui Thursday's Child e If I'm Dreaming My Life hanno
il battito emozionale delle sue tremule ballate degli anni 70,
Can You Hear Me e Word On A Wing. Lo srumentale
Brilliant Adventure, intanto, è una eco diretta del lato
2 di "Heroes". Questa volta però Bowie appare influenzato
da nessun'altro che se stesso, e non avrebbe potuto scegliere
un modello migliore.
MTV
David
Bowie si sente riflessivo ed il suo nuovo album Hours… bene, riflette questo. Scendendo qualche gradino dalla techno
di Earthling e dal suo coraggioso lavoro con i Nine Inch
Nails, Bowie è tornato ai fondamentali. E' diventato soft - nel
senso che non fa un tipo di musica ultra scura, nervosa come in
I'm Afraid Of Americans o danzabile come in Dead Man Walking.
In Hours..è un uomo che sta facendo i conti della sua vita
e scrive canzoni poetiche e sotto tono sulle proprie scoperte.
L'artista un tempo conosciuto come Ziggy Stardust ha dieci pensose
tracce piene di rimpianti sull'amore perduto e le opportunità
perdute, ma dalla prospettiva di un uomo maturo. David Bowie ha
52 anni dopo tutto, così la maturità non è una sorpresa. Forse
"saggezza" sarebbe un termine migliore per esprimere il tema di Hours…nota a margine: ironicamente, con questa saggezza
il sempre brillante Bowie sembra anche più giovane del solito,
con la sua nuova capigliatura di capelli lunghi e vestiti minimali
(cambiare spesso il suo look è solo una delle qualità che hanno
fatto di Bowie un artista così interessante negli anni). Insieme
alla saggezza di mezza età di Bowie c'è una larga dose di malinconia
e sottigliezza. Una tristezza seducente permea Hours…niente
ti colpisce sulla testa, ma piuttosto l'album filtra nell'organismo.
Thursday's Child è una canzone piena di sentimento su un nuovo
inizio dopo una vita di fallimenti: "tutta la mia vita ho tentato
così fortemente/di fare del mio meglio con ciò che avevo/niente
è accaduto comunque".
Something In The Air è una lunatica ballata rock sull'amore
smarrito: "usavamo ciò che potevamo/per avere le cose che volevamo/ma
ci siamo persi per la strada/credo che tu sappia che non ho mai
voluto nessun'altra che te".
Survive è nello stesso filone dell'amore perduto, e così
If I'm Dreaming My Life. Seven è sull'affrontare la
mortalità: "ho avuto sette giorni per vivere la mia vita/o sette
giorni per morire" . What's Really Happening suona come
il Bowie dei primi tempi. Qui esibisce uno stile vocale che non
avevamo sentito ultimamente, forse dall'epoca di Fame.
Hours… è poi infuso di un piccolo shock rock con The Pretty
Things Are Going To Hell. Potrebbe questo brano essere la
retrospettiva musicale di Bowie sulla sua fase glam, ed una dichiarazione
di quanto egli sia semplicemente felice di essere sopravvissuto?
("stai ancora respirando e non sai perché/la vita è un momento
ed a volte muori/stai ancora respirando e non puoi dirlo/non trattenere
il respiro ma tutte le belle cose stanno andando all'inferno").
La traccia più forte dell'album è The Dreamers.
Pulsa e si innalza. Quando la sua voce decolla in quello stile
alla "Heroes", niente può essere paragonabile. The Dreamers è la intensa storia di un uomo che ha perso la sua occasione:
"va così", canta appassionatamente. Siamo grati, David Bowie non
ha mancato la sua occasione.
New
Musical Express 10 agosto 1999
Chi
si chiede cosa David Bowie si aspetti di trovare in Internet,
www.guccipourhomme.com? www.burroughsianlyriculike.com? o forse
www.rentacredpopstarmete.co.uk? O forse il grande uomo è convinto
che ci sia qualche grande segreto che risiede nel profondo cyberspazio
che gli possa dare l'elisir della rinascita creativa. Per questo
il suo disco sarà disponibile in Internet una settimana prima
del cd, e c'è anche la prospettiva piuttosto agghiacciante che
lui e la sua band appaiano in un gioco per computer chiamato (oh,
si certo) Omikron - The Nomad Soul. Non solo
un altro album di David Bowie ma regali dal cyberspazio per una
nuova generazione! Davvero papà, non dovresti averlo. Ma aspettate!
Sembra che lo pseudo guerriero del futuro senza paura sia tornato
in contatto con il controllo a terra, perché parte di questo album
suona (gasp!) all'antica!
Il nuovo singolo Thursday Child fissa il tono, con
Sir David in malinconico, contemplativo, vero e proprio triste
umore. Infatti, suona allarmantemente come Stuart Staples dei
Tindersticks, tutto fragile vibrato sentimentale, quando canta
in tono basso come "tutta la mia vita ho cercato fortemente di
fare del mio meglio con quello che avevo…forse sono nato fuori
del mio tempo". E' questo David Bowie sulla Terra di cui stiamo
parlando? Bene, forse lo è, per una volta. Ed il risultato è una
cosa proprio splendida, ampia, da qualche parte tra Ashes To
Ashes e We Have All The Time In The World di
Louis Armstrong. Non c'è segno della autoconsapevolezza menopausale
o del noioso postmodernismo, della pretenziosità fantascientifica
che ci potevamo aspettare.
Ahimè, il resto dell'album è una pallida imitazione della stessa
magnificenza. If I'M Dreaming My Life ha una certa presenza
drammatica e l'eco di una melodia epica, e Something In The
Air ha una balbettante, nervosa grazia, ma altrove ci sono
molte riflessioni agrodolci, accordi minori e scariche emozionali,
ma poche preziose melodie memorabili. Al tempo stesso a volte
prova ad usare la sua vecchia voce cockney o inserisce qualche
suono spaziale, ma serve soltanto, come sempre per ciò che è vecchio,
a farlo sembrare come una donna matura che si atteggia a ragazzina.
L'altra eccezione a quel malessere è The Pretty Things Are
Going To Hell, che si contorce attorno ad uno scoppiettante
riff metal e ad una spavalderia glam che raramente abbiamo sentito
da Bowie in anni. A parte questo, dopo tutte le idee acchiappa
futuro e gli esperimenti affamati di innovazione che hanno menomato
i dischi di Bowie negli anni 90, Hours fallisce non per
la pretenziosità, la eccessiva ambizione o la voglia di essere
ordinario, ma per una scrittura - onorata dal tempo - mediocre.
Penso che in ciò sia l'ironia. Speriamo che non prenda piede.