SOGNO DI BALLERINA



LA DANZA

STORIA

NOTE SUI GRANDI BALLERINI DEL PASSATO

 

ARTICOLO DI CHARLES MERYEL SU NIJINSKIJ ED, INFINE, SULLA KARSAVINA, APPARSO SUL NUMERO SPECIALE DELLA "COMOEDIA ILLUSTREE"  IL 15 GIUGNO 1912 IN OCCASIONE DELLA PRIMA DE “L’APRES-MIDI D’UN FAUNE”

Dapprincipio avevamo detto che aveva del talento; oggi dobbiamo parlare di genio, tante forme egli ha saputo trovare atte ad esprimere sé stesso pur rimanendo fedele a sé stesso; è stato paragonato a Loie Fuller ed a Isadora Duncan, perché unisce all’esperienza del primo, l’istintiva potenza dell’altra. E’ vero: qualsiasi la sua parte, Nijinskij esteriorizza una forza interiore violenta sì, ma, allo stesso tempo controllata dalla sua volontà. Il supremo scopo della danza è di liberare i nostri limbi al punto che si facciano interpreti di tutti i ritmi dell’anima e sappiano tradurli in spazio. La maggior parte dei ballerini agisce o danza con il corpo: Nijinskij danza anche con l’anima; lascia libero corso a tutti i suoi gesti felici di essere allo stesso momento tanto libero e tanto disciplinato; la sua danza è amore. Quando, parlando di lui, ci riferiamo ai salti e alle “pointes” usiamo frasi senza senso reale. Ma poi se  Nijinskij, come è stato detto, sembra liberarsi dalla legge di gravità, è diminuirlo di molto ammirando solo la sua leggerezza. Prima di tutto lo si deve ammirare non per quella straordinaria capacità di elevarsi da terra, ma per saperci dare l’impressione con un corpo umano e linee in movimento di una specie di sogno aereo, per riuscire ad abbandonare un aspetto terreno per non essere che una visione divina e quasi immateriale. Ne' Le Spectre de la Rose Nijinskij è tutta acquiescenza; egli è l’infinito, è l’impossibile, è il riflesso di lui che richiama lui, è virginale, perché in una notte di delirio è una vergine che lo eccita. Al contrario in Shéhérazade è lui che lunghe ore di pesante e sensuale solitudine hanno atteso a lungo; le sue braccia che intessono invisibili ghirlande nel cielo suscitano applausi frenetici; al bacio giovane e ingenuo segue il morso degli spasmi oscuri; il desiderio regale è senza freni e davanti ad esso la morte è pallida. Quanto diverso da tutto ciò, benché nel suo genere, è L’Apres-midi d’un Faune. Prima di tutto bisogna mettere da arte la sottile memoria di Mallarmé e l’intossicazione “debussysta”. Ma una volta annesso il principio di questa cinematografia del basso rilievo, con quanta ingenuità l’interprete ha cercato di giustificarla! Sempre così libero, si riagghiaccia, ad un tratto, in atteggiamenti scultorei; poco per volta, per gradi, tradisce sé stesso, esprimendo in tal modo, invece della continuità dei pensieri coscienti, le reazioni improvvise dell’animale, l’eccitamento della conoscenza, la brutalità del richiamo d’amore, gli spasmi del desiderio. Ne' Le Dieu Bleu non abbiamo che forza divina; una forza serena che dominando la mente organizza, trionfa, ristora; solitaria e finita in sé, discendendo dalle sfere celesti, si sviluppa nella gioia delle insegne e dei simboli. Dopo aver incarnato ne’ Le Carneval un Arlecchino volubile e scapato, Nijinskij – e forse questa è la sua parte migliore – ha incarnato in Petrouchka la marionetta più dolorosa che mai si sia vista, lo schiavo di un vecchio ciarlatano, la cui anima soffre nel corpo che la imprigiona, un’anima che aspira a liberarsi, che piange, si dispera, si scuote e cade di nuovo, si rivolta contro il disprezzo in cui è tenuta. Piccole palpitazioni delle mani imprigionate in satin nero, povere mani giunte in alto verso il cielo! Cuore dolente, corpo stanco al quale rivolge la sua attenzione mentre vola e negli ultimi ridicolo spasmi della morte finchè si accascia, sollevandosi un’ultima volta da terra per gridare agli uomini indifferenti di guardare la sua triste e divina epopea! C’è tutta la tristezza senza fine dell’umanità: c’è Bainville, c’è Verlaine, c’è Laforgue!

La Karsavina, la cui nervosa e vibrante bellezza unisce la forza alla fragilità, trova in tutti i suoi atteggiamenti una tenerezza autoritaria, un’incantevole nobiltà che conquista; tremula grazia d’uccello, pudica, candida o supplichevole grazia della vergine (Spectre de la Rose, Le Dieu Bleu); vogliosa e fatale grazia di sultana (Shéhérazade, Thamar). Mai convenzionale, sempre espressiva ed allo stesso tempo grande ballerina ed ottima attrice drammatica.

 

 

DIFFERENZE TRA FANNY CERRITO E FANNY ELSSLER NELLA CRITICA DEL PAS DE DEUX COREOGRAFATO DA JULES PERROT A LONDRA IL 20 GIUGNO 1843 APPARSA SU « ILLUSTRATED LONDON NEWS » IL 5 AGOSTO 1843

 ….Mai un primo passo è costato ad un povero direttore tanta fatica di adattamento quanto il saltatorio duetto concertante tra due delle più note e raffinate ballerine del mondo. Perrot, compositore del passo, ed il produttore, Mr Lumley, hanno temuto fino alla disperazione di non poter tener fede alla promessa fatta a Sua Maestà di farle vedere la Cerrito e la Elssler ballare insieme; alla fine tutto si è risolto felicemente assicurandole che nessuna delle due avrebbe avuto il sopravvento sull’altra e che assieme avrebbero fatto questo assalto alla bellezza. Tale accordo piacque alle grazie rivali ed assieme eseguirono i loro passi, ciascuna di una bellezza così propria e rara che se vi fosse la possibilità di simboleggiare la visione come vi è quella di raddoppiarla, potremmo in fede giurare che la stessa Venere era presente nel bellissimo quadro che si muoveva davanti ai nostri occhi.

Determinare o tentare di determinare tra loro i rispettivi meriti di ballerine sarebbe pressocchè impossibile e certamente inutile. Ciascuna ha il proprio stile, totalmente diverso da quello dell’altra, “ciascuna piena di grazia, ma che rivalità di fascino!”. La Elssler è forse la più rifinita delle due per quanto riguarda i dettagli minori, ma la Cerrito ha più classe e libertà di movimenti e sembra sempre che danzi, come a volte ci capita di veder volare un uccello, nella astratta gioia dell’esercizio. L’aria ondulata è il suo elemento adorato e in essa si rivela con un entusiasmo saffico. Il bel contrasto del Moore tra Lesbia e Norah Creina può illustrare con giustezza la nostra idea della differenza tra l’apparenza personale e lo stile di queste due “rivali l’un l’altra”. I termini “rifinita”, “raffinata”, “squisitamente lavorato” etc potrebbero tutti adattarsi, e molto giustamente, alla rappresentazione della prima ballerina esecutiva d’Europa, Fanny Elssler, ma la canzone del bardo cui abbiamo fatto riferimento, ci fornisce gli aggettivi e le frasi che ci indurrebbero a pensare che ciascuno di noi ha la Cerrito “negli occhi dell’anima” portandoci a definirla, come il bardo, una “inattesa luce sorprendente” e “rapida e selvaggio come le brezze delle montagne”. Veramente, un simile pas de deux non è mai stato eseguito prima d’ora, per quanto possa ricordare il più vecchio abitué dell’opera.

 

 

DESCRIZIONE DI MARIA TAGLIONI E FANNY ELSSLER DI THEOPHILE GAUTIER (HISTOIRE DE L’ART DRAMATIQUE – Vol I° – 11 SETTEMBRE 1838)

La danza di Fanny Elssler già si distacca in partenza da premesse accademiche, ha un carattere personale che le dà un posto a parte tra le altre ballerine; non è l’aerea e virginea grazia della Taglioni, è qualcosa di molto più umano che fa presa più fortemente sui sensi. La Taglioni è, se si può usare tale espressione in rapporto ad un’arte proscritta dal cattolicesimo, una ballerina cristiana; vola come uno spirito libero tra nebbie trasparenti di mussolina bianca, di cui le piace avvilupparsi e somiglia ad uno spirito felice che appena sfiora, con la punta dei suoi delicati piedini rosati, i fiori celestiali quasi in una carezza morbida.

Fanny Elssler è una ballerina completamente pagana; richiama alla mente la musa Tersicore col suo tamburo basco e la tunica che le scende lungo le cosce sollevata e trattenuta su un fianco da una clipse d’oro. Quando inarca la schiena e spinge avanti le braccia ebra di voluttà, sembra di vedere una di quelle belle figure di Ercolano o di Pompei, bianche e solenni sul fondo nero che divinamente accompagnano i passi col sonoro crotalum… Ha osato più di quanto non abbia fatto alcun altra ballerina dell’Opéra: è stata la prima a portare su questa scena casta l’insolente cachouta, che a fatica perde qualcosa del suo gusto nativo. Danza con tutto di sé, con tutto il corpo, dalla cima dei capelli alla punta dei piedi. E’ una bella e reale ballerina, mentre le altre non sono che un paio di gambe che saltellano su un tronco che rimane stazionario.

 

 

THEOPHILE GAUTIER DESCRIVE FANNY CERRITO (HISTOIRE DE L’ART DRAMATIQUE – Vol V° - 25 OTTOBRE 1847)

Fanny Cerrito ha doti particolari per la scena. E’ bionda, i suoi occhi sono azzurri brillanti e teneri, un sorriso illumina sempre il suo volto interessante. E’ sottile di vita ed ha braccia rotonde e morbide, rare qualità queste in una ballerina. Il suo busto ben sviluppato non ha affatto quell’aspetto piatto ed incassato che tanto spesso si riscontra nelle ballerine, ha piedi delicati e graziosi. Fisicamente ha tutto quanto occorre per impersonare le poetiche creature del librettista. Ondine, silfidi, salamandre non avranno certo a lamentarsi della forma che essa darà loro.

Come ballerina, le principali qualità di Fanny Cerrito sono gli atteggiamenti graziosi ed inusitati, la leggerezza e rapidità di movimenti: balza e salta con ammirevole facilità ed elasticità; la parte superiore del suo corpo è particolarmente attraente, le braccia – impaccio di tutte le ballerine che volentieri darebbero retta al consiglio della serva nel “Malate Imaginaire”, se le taglierebbero come un impedimento superfluo – si attorcigliano e si articolano mollemente in aria come quelle collane di rose che volteggiano attorno alle ninfe sui fondi oscuri degli affreschi di Hercolanum.

Nel complesso il suo stile ha qualcosa di felice, di brillante e di facile, senza traccia di architettato e di forzato. Ma ciò che crea il suo stile, costituisce anche il suo difetto. Se la sua danza è fresca, facile, giovane, manca però di stile e, senza rischiare di cadere nella più ridicola delle pedanteria, quella della frivolezza, possiamo dire che la sua danza manca di scuola. La natura ha dotato di tutto, la Cerrito; ma anche la persona più fortunata abbisogna di cultura. Un’artista della sua forza e della sua fama non deve lasciare adito alla critica dei maestri di danza che pensano di aver detto tutto quanto c’è da dire allorché hanno fatto presente la debolezza di alcune pointes e hanno criticato alcune posizioni di piedi malamente od insufficientemente portati in fuori. Queste piccole critiche presto scompaiono nell’abbagliante turbine di questa danza ingenua ed intrepida, inattesa e graziosa, allo stesso tempo.

 

 

THEOPHILE GAUTIER DESCRIVE JULES PERROT (HISTOIRE DE L’ART DRAMATIQUE – Vol II – da "La Presse" 2 MARZO 1844)

 "Nulla è più abominevole di un uomo che mostra il collo rosso, le grosse braccia muscolose, le gambe con i polpacci da mazziere popolare e la pesante corporatura scossa da salti e pirouettes. (Histoire de l’Art dramatique – Vol V° - 25 ottobre 1847)"

Perrot non è bello, in realtà anzi è proprio brutto ; dalla vita in giù ha il fisico di un tenore e con questo ho già detto abbastanza, ma per il resto è affascinante. Non è facile nella nostra civiltà moderna notare la perfezione delle forme maschili, tuttavia non possiamo fare a meno di considerare le gambe del Perrot: immaginiamo però di parlare di una statua del mimo Bathyllus o del commediante Paride recentemente scoperte nel giardino di Nerone o di Ercolano. Le giunture dei piedi e delle ginocchia sono estremamente sottili e controbilanciano la rotondità alquanto femminea delle sue gambe che sono allo stesso tempo gentili e forti, eleganti e raffinate sul genere di quelle del giovane dai pantaloni rossi che rompe la bacchetta simbolica piegandola contro il ginocchio nella pittura di Raffaello “Lo sposalizio della Vergine”. Lasciatemi anche aggiungere che il Perrot, vestito dal Gavarni, non ha mai avuto quella insipida aria malaticcia che di solito rende insopportabili i ballerini. Il successo del Perrot era assicurato, prima ancora che cominciasse a danzare; dalla facile agilità, dal ritmo perfetto, dal movimento morbido ed elegante e la mimica indovinata era facile riconoscere il Perrot aereo, il Perrot silfide, il Perrot maschio da reggere il paragone con la Taglioni donna.

 

 

DESCRIZIONE DI ANNA PAVLOVA APPARSA SUL “THE TIMES” IL 30 OTTOBRE 1911

….Il merito più grande della Pavlova è che quando danza, tutto di lei danza. Con gli altri ballerini, la nostra attenzione, ed anche la loro, si è prestata ad un dato momento a questa o a quella parte, rimanendo il resto accessorio. Con la Pavlova non ci sono parti accessorie. Danza con i piedi, con le dita, col collo (quanta espressione vi è nelle varie inclinazioni del capo), il sorriso, gli occhi, l’abito. Nulla viene lasciato fuori; osservandola nelle sue evoluzioni si nota che nemmeno un briciolo della sua personalità rimane fuori di lei. Essa è tutta una danza e tutto un dramma nello stesso tempo. Dopo esser stata una selvaggia capriola, eccola assieme a Nijinskij in una posizione di assoluto controllo pronti a balzare di nuovo in qualsiasi direzione. I suoi gesti sembrano più semplici di quelli degli altri, benché seguano la medesima musica, e ciò in parte perché sono più audaci e quindi occupano maggior spazio e in parte perché sono pieni di varietà sottilmente immaginata. Il dramma delle sue successive emozioni è perfettamente chiaro; i suoi cambiamenti di sentimento sono istantaneamente seguiti da corti brividi e da mormorii, perfino nel pubblico indifferente che di solito riempie il Covent Garden. Quel suo strano modo di comportarsi è deliziosamente femminile nella strana combinazione di una intelligenza piena e sviluppata con un aspetto infantile.