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LA LIUTERIA NEL MEDIOEVO STRUMENTI MUSICALI NEL XII SECOLO LA CHITARRA CLASSICA

LA LIUTERIA
NEL MEDIOEVO

Medioevo: nelle corti europee sono i menestrelli, i giullari, i trovieri e i minnesänger (spesso nella persona stessa del sovrano, come per esempio l’imperatore di Germania Enrico VI) a rallegrare le feste dei nobili o comunque delle classi sociali più elevate.
Sui sagrati e nelle piazze trovatori, girovaghi, guitti e saltimbanchi rallegrano il popolo.
E così nasce nel 1207 la celeberrima e struggente "Kalenda maya" che Raimbaut de Vaqueiras, troviere francese tra i più attivi nelle corti italiane, compone e canta, accompagnandosi con la viella, il suo impossibile amore per la castellana.

E’ un mondo che ben difficilmente possiamo immaginare o tentare di ricostruire.
Oltre al momento storico nel quale il musico opera e alla sua cultura musicale che si limita a melodie monodiche (solo nella musica sacra si hanno i primi esempi di polifonia, infatti uno dei primi documenti è il Codex Calixtinus conservato a Santiago de Compostela), influisce la grande varietà di forme degli strumenti musicali derivata da una libera pratica strumentale.

E’ una realtà che sta nascendo e che trova di volta in volta le proprie forme nella fantasia dei musici e degli artigiani che inventavano e reinventavano le caratteristiche tecniche e timbriche degli strumenti musicali che suonavano.
Possiamo anche dedurre che molti strumentisti progettavano e costruivano essi stessi gli strumenti atti alle loro esigenze.

Così Belaqua, citato da Dante Alighieri, e Lodewyk van Vaelbeke a Bruxelles, re dei menestrelli che dal 1294 al 1312 costruivano vielle, ribeche e lire.
Il più antico documento che cita la costruzione di strumenti musicali come professione indipendente proviene da Parigi ed è del 1292 dove sono registrati dei "feseurs de vielles".
Documenti del XIII sec. citano che nella città di Firenze si costruiscono liuti.

Il notevole interesse verso la musica medievale di questi ultimi anni, che ha visto insigni musicisti e musicologi dedicarsi alla ricerca delle musiche di un periodo del quale ben poco ci è pervenuto (molto era affidato alla memoria), ha imposto ai liutai lo stesso impegno nella costruzione di quegli strumenti che possano riprodurre il più fedelmente possibile le timbriche e le sonorità del tempo.
Questi, inoltre, debbono risultare copie degli strumenti di cui è possibile avere elementi costruttivi; ma pochissimi sono gli strumenti che ci sono pervenuti e che sono sicuramente originali come, ad esempio, la "violeta" di S. Caterina de’ Vigri conservata a Bologna nel Convento del Sacro Cuore.

Pertanto l’attenzione e la ricerca del liutaio è volta principalmente alle molte miniature
Cantigas delle quali sono ricchissimi i codici medievali (di notevole interesse sono le miniature delle "Cantigas de Santa Maria" scritte nella quasi totalità da Alfonso X di Castiglia nel XIII sec. e conservate all’Escorial nei pressi di Madrid).
Oltre alle miniature sono estremamente interessanti le icone, i dipinti e gli affreschi di cui sono ricchissime le nostre chiese e i monasteri, le incisioni lignee e le sculture (tanti ed interessanti sono gli strumenti rappresentati sul Portale della Gloria a Santiago de Compostela).
Miniatura delle Cantigas de Santa Maria
Sempre da queste raffigurazioni emerge il fatto che si tratta di "pezzi unici" ovvero non si trova lo stesso strumento rappresentato più di una volta. Symphonia Symphonia chiusa
Symphonia tratta da una miniatura delle Cantigas de Santa Maria

Interessanti per il liutaio sono i trattati di Pretorius (1620) e di Marsenne (1636). Il medioevo è finito da più di un secolo ma di esso traspare tutta l’eredità, infatti sono indispensabili non solo per la conoscenza degli strumenti musicali, ma anche per la loro ricostruzione. Nel volume "De organographia" del Pretorius gli strumenti sono raffigurati in scala per cui è possibile, con notevole margine di sicurezza, dedurne le reali dimensioni.

A questo punto il liutaio deve tener presente che il pittore, con molta probabilità, ha attribuito allo strumento funzioni decorative e simboliche e non documentaristiche. Spesso, dove si possono vedere strumenti "reali" ovvero in grado di poter suonare, appaiono strumenti di dubbie possibilità musicali.

Nascono poi un’infinità di domande che mettono alla prova il senso critico:

  • il liutaio si trova dinanzi ad un’immagine reale?
  • sono copie fedeli?
  • l’artista ha avuto delle dimenticanze?
  • ha dato un aspetto globale dello strumento?
  • l’opera è stata ritoccata successivamente?

Scienze come ad esempio l’archeologia ci permettono di avere prove ben determinate del passato ma spesso troppo poco per quanto riguarda la musica e gli strumenti musicali nel medioevo.

Il liutaio moderno, che per la sua professione, ha già assimilato le indispensabili nozioni di fisica, matematica, acustica, chimica, disegno, tecnologia dei legni e storia della musica e degli strumenti musicali, deve mettere in pratica le più essenziali metodologie di rilevamento sia microscopico che fotografico e possibilmente fotogrammetrico.

A questo punto, ad esempio, dopo avere rilevato le dimensioni dello strumento da un affresco con le proporzioni rifacendosi ai volti ed alle mani delle figure umane raffigurate, deve risolvere il problema dei materiali che furono usati. E per questo deve tener presente che, come precedentemente detto, il musico medievale si costruiva gli strumenti da sé con mezzi spesso rudimentali e con i legni che poteva reperire nel proprio territorio.

Pertanto, grazie ai pur pochissimi reperti nei musei, alle recenti ricerche ed alle deduzioni logiche, si può affermare che gli strumenti musicali medievali, in particolare nel nostro territorio, vennero realizzati con le essenze che il liutaio poteva reperire con una certa facilità: si usò legno di pero, melo, ciliegio, cipresso, castagno, noce, carrubo per fondi, fasce, manici e caviglieri (in un solo blocco come per le ribeche e le mandore che erano scavate); legno di olivo e bosso per i piroli e le tastiere.

Liuto medievale a quattro cori

Liuto Liuto doghe Liuto tastiera
Tavola armonica in abete Doghe, manico e cavigliere in ciliegio Tastiera e piroli in bosso

In particolare tutti i legni ricavati da alberi da frutto vennero usati con molta parsimonia e solamente per strumenti di valore o destinati ai nobili, dato che la legge del tempo ne proibiva il taglio e c’erano tasse altissime per chi lo volesse fare, in quanto detti alberi producevano frutti destinati all’alimentazione specialmente delle classi poco abbienti.

Altro problema è quello di cercare di intuire quale fosse stato il timbro dello strumento raffigurato.

Il primo passo è di cercare di immaginare l’uso a cui era destinato: serenate, ballate, danze, accompagnamenti di canti epici, ecc.
Da tenere presente, ad esempio, che spesso i Padri della Chiesa assimilavano gli strumenti a stati d’animo: S. Agostino ci dimostra che la citola è simile alla "melanconia", un’anima prigioniera del corpo ma che aspira fortemente al ritorno verso Dio. Nel XII° sec. l’abate Gioacchino da Fiore definisce il salterio un misterioso simbolo della Divinità in cui si combinano la triangolarità dei vertici che raffigurano la Trinità delle Persone.

Anche per quanto riguarda le corde si possono avere diverse interpretazioni:

  • erano di budello?
  • erano di metallo?
  • erano di seta?

Noi sappiamo che i romani già filavano il metallo ma non sappiamo se lo usassero anche per gli strumenti musicali. Solo da antichi testi cinesi sappiamo che le corde dei loro strumenti erano di seta.
Per quanto riguarda il budello siamo certi del suo uso e che veniva montato su tutti i cordofoni sino dall’antichità.

Questi sono i problemi che si presentano ogni qualvolta ci si appresta a costruire la copia di uno strumento medievale in grado di "suonare" e, trattandosi, come già detto, di pezzi unici, ogni volta c’è un problema nuovo.
Spesso ci si trova dinanzi a strumenti che non hanno il foro di risonanza: fu una dimenticanza di colui che dipinse lo strumento, era così anche l’originale oppure il foro non è visibile perché posto su di una fascia? Comunque l’opinione che uno strumento senza foro non possa suonare è assolutamente falsa: la sonorità ne risulta limitata ma molto suggestiva. Perciò non deve sorprendere una tavola armonica senza rosetta oppure con dei semplici "occhi" come il celebre salterio di Lotario del IX sec. (British Museum-Londra).

Rosetta S.Rufino La rosetta era il foro di risonanza che veniva incisa sulla tavola armonica con notevole maestria e spesso era tratta dalla simbologia dei rosoni delle chiese.
Rosetta tratta dal rosone della Cattedrale di S.Rufino in Assisi

Non sempre è chiaro se lo strumento è tastato: spesso appaiono, raffigurati sulle tastiere, legacci di minugia, barrette di osso, avorio o legno duro mentre per gli strumenti ad arco ed i liuti di derivazione araba è evidente che non vi sono tastature.

Si pone poi il problema di come chiamarli: l’uomo medievale, affascinato dall’antichità, conservava la parola "lira" e la adottava per gli strumenti che più gli erano familiari; oppure la parola "giga" usata per la viella chiamata spesso anche con altri nomi come fidula per poi arrivare alla fine del medioevo in cui, con il nome di "vihuela" si ebbe quella ‘de arco’, ‘de mano’ e ‘de plectro’. Ribeca e Viella
Ribeca a tre corde
(la cassa è ricavata in un solo pezzo di noce scavato)
e Viella a cinque corde

Prendiamo in esame la citola: era un cordofono a pizzico con cassa piriforme e fondo piatto; ebbe altri nomi come cetra, cetola, cistola e successivamente nel Rinascimento avrà una notevole diffusione assumendo il nome di cetera o cithara in Italia, citole o chitole in Francia, English guitar o cytol in Inghilterra, cister o gittern in Germania.
Nel 1200 la cithara veniva per lo più usata dai trovatori e giullari in coppia con il liuto tanto da essere ricordata dall’Alighieri e dal Boccaccio.

Poi, non ultimo, è il problema del volume che a causa delle essenze usate doveva essere notevolmente flebile. Però noi sappiamo che l’udito dell’uomo medievale era molto più sensibile rispetto al nostro (un buon udito all’epoca era spesso motivo di sopravvivenza sia nella caccia che per difendersi dai nemici e l’inquinamento acustico era ancora molto lontano da venire).
Inoltre le esecuzioni, quando non erano serenate dove l’unico rumore di fondo era provocato dai grilli, avvenivano in ambienti familiari ristretti e non certo in sale da concerto o auditorium.
Il volume non fu l’assillo del liutaio medievale!

Si notano infatti dipinti con rosette estremamente grandi o inesistenti che, come già detto, limitavano il volume dello strumento.

Affresco di Simone Martini Un esempio tipico si può vedere nell’affresco di Simone Martini nella Cappella di S.Martino presso la Basilica inferiore di S. Francesco in Assisi dove la citola è rappresentata con una rosa estremamente grande in rapporto allo strumento (ma anche qui sorge il problema: la rosa era come raffigurata oppure l’artista volle enfatizzare la sua bellezza aumentandone il diametro?) Citola
Affresco di Simone Martini presso la Basilica di S.Francesco in Assisi Citola tratta dall'affresco di Simone Martini

Le vernici non rappresentano un grosso problema: i reperti museali non presentano tracce di verniciature originali ma sappiamo che in particolare veniva usato il propoli, che aveva anche funzioni anti tarlo, ambra liquida o gomma lacca (di questa se ne deduce l’antico uso poiché "gomma lacca" in sanscrito rappresenta il numero 15.000 ovvero il numero di insetti che con il loro "prodotto" partecipavano alla realizzazione di un bastoncino di questa resina). Questi prodotti venivano disciolti in spirito di vino. Molto spesso era usata la cera d’api.

Ler le colle si trattava di un composto ottenuto con la bollitura di ossa animali o di sostanze di origine ittica. Tali colle sono estremamente valide ed ancora oggi usate, ma sappiamo che con il tempo danno problemi di muffe e funghi e ‘tragici’ risultati quando lo strumento deve affrontare lunghi viaggi nei vani bagaglio degli aerei.

Dai testi e dalle intavolature che ci sono pervenuti è possibile dedurre le accordature estremamente varie sia per il momento storico che per gli argomenti sacri o profani. Alcuni testi poi consigliano di accordare il liuto tirando la prima corda al limite della rottura e poi le altre (spesso era usato l’intervallo per quarte). Anche la frequenza che noi oggi attribuiamo alla nota La di 440 Hz era estremamente variabile (sono state trovate canne d’organo dove il La aveva in alcuni casi la frequenza di 415 Hz , in altre di 451 Hz, ecc.).

A questo punto è il musicologo che ci deve indicare come leggere, interpretare i testi e la tecnica strumentale con la quale eseguire le musiche che dall’inizio del secondo millennio ci sono pervenute, grazie al genio di Guido d’Arezzo ed a quanti ne seguirono l’esempio.


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