I vini passiti non si
identificano con i vini da “uve stramature”. A sottolinearlo è
l’Associazione Nazionale Città del Vino che lancia l’allarme
contro il rischio di compromettere una nicchia produttiva molto
importante, molto tradizionale e dal forte legame con il territorio.
In Italia si è arrivati a distinguere i vini passiti e a definirli
dal punto di vista normativo solo un anno e mezzo fa e dopo un duro
lavoro delle Città del Vino e della Fondazione Centro Nazionale
Vini Passiti, con sede a Montefalco (Perugia), con il nuovo Testo
Unico sul vino. L’Italia è il Paese maggiormente interessato alla
produzione di vini Passiti, una tipologia che troviamo anche in
altre aree del Mediterraneo, come
la Grecia
e
la Spagna. La
nuova Ocm però rischia di confondere ancora i consumatori e di
esporre i passiti a concorrenza sleale. Questo perché nella
proposta presentata dalla Commissione a fine luglio non sono
riconosciuti tra le “Categorie di prodotti vitivinicoli”
(Allegato IV), prevedendo invece solo i “vini liquorosi” e il
“vino da uve stranature”.
Sembra pertanto
corretto, sostiene Città del Vino, che venga aggiunta anche la
categoria dei passiti, fra l’altro la legge italiana (vedi L.82
del 20/2/2006 “Disposizioni di attuazione della normativa
comunitaria concernente l’OCM vino”) lo fa in maniera molto
chiara.
“E’
indispensabile che i passiti vengano riconosciuti e tutelati –
ribadisce Valentino Valentini, presidente delle Città del Vino -.
Purtroppo su questo tema e sul tema delle demoninazioni, cioè sulla
classificazione della categoria dei vini, la nuova Ocm rischia di
togliere quei punti fermi di riferimento che le Doc, le Docg e le
Igt rappresentano per il consumatore”.
La sovrammaturazione
delle uve è tecnicamente un’altra cosa rispetto
all’appassimento. Cioè è una categoria di vini, quelli prodotti
con uve stramature, che non ricomprende i vini passiti; può essere
vero invece il contrario intendendo l’azione della botrytis (muffa
nobile) o del gelo come metodo di sottrazione dell’acqua