Scandalo Brunello di Montalcino, alla soluzione era meglio pensarci prima.              di Luigi Salvo

Tutto quello che si è detto e scritto in questi giorni sullo scandalo del Brunello, (“la Procura di Siena indaga per frode in commercio su cinque grossi produttori di Montalcino, l’ipotesi è che quei produttori usassero tra il 10 e il 20% d’uve non Sangiovese nel loro Brunello, che invece in base al disciplinare deve contenere al 100 per 100 quel vitigno”) desta grande sconforto tra gli estimatori sia in italia che all’estero, di questo storico vino italiano, a Montalcino la preoccupazione dei tanti produttori che hanno sempre lavorato con diligenza ed onesta è enorme, si rischia di compromettere ed offuscare irrimediabilmente un simbolo, una significativa bandiera dell’Italia enoica.

La chiarezza produttiva è fondamentale, a maggior ragione nel caso di un prodotto alimentare di tale lignaggio, ma queste fughe di notizie ad indagini in corso, atte a creare scalpore, se non supportate da dati certi, rischiano di causare un danno difficilmente sanabile, non solo al Brunello di Montalcino, ma a tutto il comparto del vino minandone a fondo la credibilità.
E’ stato un tam tam di notizie: prima si è vociferato della presenza d’uve provenienti da altre regioni, poi ci si è limitati alla supposta presenza delle uve di vitigni internazionali.
Per tutti quelli che come me giudicano e criticano il vino, quest’ultimo dubbio non è certamente una novità, proprio alcuni mesi fa affrontai quest’argomento con un notissimo giornalista “guidaiolo” toscano, egli raccontandomi di centinaia d’assaggi di Brunello in cantina, mi confermò dubbi e preoccupazioni, ma privo di dati certi, mi sono guardato bene di scrivere su tale argomento, come d’altronde ha fatto anche lui.

Se da un conto i controlli in vigna ed in cantina sull’operato delle aziende sono fondamentali affinchè questi dubbi non assalgano chi si ritrova il vino nel bicchiere, e tutelino con certezza il consumatore finale, come mai questi compiti di controllo così importanti per la certificazione della qualità, sono stati affidati ai consorzi vitivinicoli, il cui organigramma è composto per lo più dai produttori e dagli enologi delle stesse aziende da controllare, e non a chi è scevro da interessi di parte ?
Non bisogna urlare “al ladro al ladro”, se si lascia una banconota di grosso taglio incustodita sul marciapiede, ovvero nel caso in questione, se nel territorio del comune di Montalcino si prevede la produzione di una DOC Sant’Antimo dai vitigni Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot, Syrah e Pinot Nero, si è crea almeno la tentazione di poter correggerlo ed allungarlo il Brunello.

Per esperienza personale ho fatto parte di commissioni della Camera di Commercio, in qualità di tecnico degustatore per l’assaggio di alcuni vini DOC e D.O.C.G. ed è capitato di trovarmi in serio imbarazzo davanti ad alcuni campioni che hanno ottenuto la qualifica in commissione, anche se assolutamente organoletticamente difformi dai parametri fondamentali della tipologia.
Ecco perché condanno gli scoop facili, non approvo che si faccia cassa sulle spalle dei seri produttori del Brunello che sono certamente la stragrande maggioranza e che subiranno un danno gravissimo da tanto “can can” mediatico. Il problema dei controlli è fondamentale, e non bisogna neanche tentare di sminuire la faccenda, affermare che questi sono seri ed organizzati e che quindi è solo un’esagerazione del momento e tutto rientrrà nella norma.
Bisogna, invece per il bene del Brunello, come di tanti altri vini italiani, pensarci prima, prima che la Guardia di Finanza accerti gravi irregolarità, prima che si diffondano a catena voci, indiscrezioni e subdole diffamazioni, bisogna prima rendere severi i controlli, affinché tutto questo non avvenga, affinché un bene d’inestimabile valore, il vino italiano, sia tutelato a dovere e non  perda la faccia

Luigi Salvo

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