Ludovico Ariosto (1474-1533)

Torna all'Archivio

Biografia di Ludovico Ariosto

Orlando Furioso

Ludovico Ariosto, Orlando Furioso
a cura di Lanfranco Caretti, presentazione di Italo Calvino,
Einaudi Tascabili, Torino 1992,
2 voll., Lire 34.000

Ludovico Ariosto, Orlando Furioso,
a cura di Cesare Segre,
Mondadori, Oscar Grandi Classici, Milano 1990,
2 voll., Lire 38.000

Orlando Furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino
Mondadori, Oscar Grandi Classici,
Milano 1995, 403 pp.,
Lire 18.000 euro 9,30

Nella colta ricca raffinata e cortigiana Ferrara degli Estensi in guerra con il Papato, «nel cuore di quel campo di perpetua guerra europea» che - all'inizio del Cinquecento - era la pianura padana, «parte in causa in tutte le contese tra Francia e Spagna per la supremazia sul continente», nasce e affonda le sue radici la poesia dell'Orlando Furioso.

Benché nato come «gionta», ovvero come continuazione del Orlando Innamorato del Boiardo, il poema ariostesco si distacca strutturalmente e ideologicamente dall'umanesimo cortese e cavalleresco del suo predecessore. Nel Furioso la materia cavalleresca è «apparente» e «di superficie». Di fatto, essa diviene strumento letterario e metafora, per veicolare la cinquecentesca visione del mondo: quella cosiddetta «cultura della contraddizione», riscontrabile anche in Macchiavelli, in Erasmo da Rotterdam e in François Rabelais.

Siamo negli anni dell'aspra crisi della libertà italiana, della crisi dei valori etici umanistici e anche cristiani: anni in cui gli equilibri appaiono così pericolosamente minacciati e imprevedibilmente mutevoli, che si profilano i limiti di ogni visione unitaria assoluta dell'uomo e della realtà.

L'Ariosto muta spesso corda, e varia continuamente e inaspettatamente suono, tono e registro. Con straordinaria sapienza tecnica e stilistica, tesse «varie fila a varie tele». Secondo una sottile serie di rispondenze, sospensioni e riprese, intreccia tra loro molteplici episodi. In modo mirabilmente vario e variopinto, ingarbuglia, districa e riingarbuglia i percorsi e i destini dei personaggi. E così viene a riprodurre e a rispecchiare, nello ordito del suo poema, la nuova coscienza cinquecentesca: il senso laico «libero, estroso, incalcolabile e inesauribile della vita».

Anche le magie e gli incantesimi, le ricerche e gli inseguimenti dell'inafferrabile e irraggiungibile Angelica in fuga, e soprattutto il palazzo di Atlante, incantato regno del desiderio e dell'inganno, sono metafore di un'esistenza umana turbata e ingannata da inconsistenti e vani miraggi: quindi non più regolata e governata da fissi e prestabiliti provvidenziali disegni, ma organizzata e dominata dall'imponderabile, imprevedibile e irrazionale caso. E solamente nel perfetto «rovescio» del paesaggio terrestre, proprio là sulla luna, nella «mirabile valle delle cose perdute», dove è raccolto tutto ciò che l'uomo continuamente smarrisce sulla terra, Astolfo potrà ritrovare il senno di Orlando «che per amor venne in furore e matto».

Se da un lato, l'ironia ariostesca tende a «dissolvere» - e a dissolvere non tanto il mondo cavalleresco, secondo il giudizio di Hegel - quanto piuttosto ogni certezza etica e psicologica, per svelare come nella realtà il «giudicio umano spesso erra». Dall'altro lato, la celebre «armonia» etica dell'Ariosto, quella sua profonda conoscenza del mondo, frutto di una saggezza dolorosamente e concretamente sperimentata, riconduce e riduce ad unità la natura umana, in tutta la sua intera varietà, ambivalenza, incongruenza e contraddittorietà. Ma ad un'unità non più di tipo medioevale, immobile e prestabilita, bensì dinamica e in perenne movimento. Alle «lunghe onde con le quali l'Oceano rompea sulla spiaggia», Didimo Chierico, l'immaginario alter-ego di Ugo Foscolo, paragona, per l'appunto, il poetare dell'Ariosto.

Opera dalla struttura aperta, in movimento continuo, pronta ad arricchirsi e a modificarsi seguendo il divenire dei tempi, fu la composizione stessa del Furioso. Alle prime due edizioni, rispettivamente del 1516 e del 1521, più vicine nel linguaggio e nella costruzione alla tradizione «municipale» ferrarese, seguì una terza edizione nel 1532. Dopo la crisi della cultura cortigiana italiana di fronte alle armi straniere, l'Ariosto, infatti, perse speranza e fiducia che Ferrara potesse assumere un ruolo culturale di primo piano. Quindi, intendendo rivolgersi non più e solamente alla corte estense ma all'intera società italiana, rielaborò e corresse il testo secondo il modello vincente della letteratura italiana, quello del toscano letterario suggerito da Pietro Bembo. Inserendosi in un orizzonte letterario nazionale, il poema ariostesco è, dunque, la prima grande opera della letteratura moderna ad essere pensata, composta e curata dal suo autore proprio in vista di una più vasta diffusione attraverso la stampa.

Ed ancora oggi, per la sua energica, continua ed ininterrotta vitalità, l'Orlando Furioso appare un «libro perenne».