Mallarmè

 

Torna all'Archivio  


Nacque da una famiglia di funzionari del Registro. La perdita della madre a cinque anni, la morte della sorella e un modesto impiego statale che comportava periodiche umiliazioni lo segnarono profondamente. Cercò di superare le difficoltà economiche perfezionando la lingua inglese con un soggiorno in Gran Bretagna. Al ritorno si sposò e vinse una cattedra al liceo di Tournon. Fondamentale per la sua formazione letteraria fu la conoscenza dell'opera di Baudelaire e di Poe. Iniziò a pubblicare poesie e poemi (Hérodiade) su riviste e, ottenuta finalmente una cattedra a Parigi, si trasferì nella capitale, dove divennero celebri i suoi «martedì letterari». Frattanto, aveva iniziato il racconto Igitur, o la follia di Elbehnon (1867), cui fece seguito il poemetto Il meriggio di un fauno (1876, che ispirò l'omonima composizione di Debussy). Staccandosi dal filone del decadentismo, elaborò una poetica (raffigurare «non la cosa, ma l'effetto che essa produce») che fece di lui il caposcuola del simbolismo. Mentre la critica benpensante reagiva con sconcerto e diffidenza, P. Verlaine includeva Mallarmé nell'opera I poeti maledetti (1884), accanto a se stesso e a A. Rimbaud. Artista raffinato, fu sensibile ai valori musicali della parola, alla ricerca di forme nuove (la rottura della sintassi e del sistema grafico tradizionale), al culto per la funzione «magica» dello stile: atteggiamenti nati dalla crisi del romanticismo. Nel 1897 uscì il poema Un colpo di dadi non abolirà mai il caso, imprevedibile e sorprendente nel suo aspetto formale, e l'anno dopo, prostrato da insonnie e abbattimenti, Mallarmé morì senza aver potuto realizzare il «Libro» assoluto che da sempre inseguiva. La sua influenza sulla poesia europea posteriore è immensa: tocca i dadaisti, i futuristi, gli ermetici italiani e giunge fino ai cosiddetti «poeti visivi» contemporanei.