Petrarca

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Il Canzoniere (Rerum Vulgarium Fragmenta) (600 kbyte)    I Trionfi (200 kbyte)   



Petrarca Francesco, poeta e letterato italiano (Arezzo 1304-Arquà 1374). Trascorse la primissima infanzia tra la piccola casa aretina, sulle pendici del colle di S. Donato all'ombra del Duomo, e l'avito podere dell'Incisa. A sette anni fu con i suoi a Pisa dove il padre si era recato ad attendere Enrico VII, speranza degli Italiani. A Pisa e a Genova, dove pure la famiglia si recò sempre per incontrarsi con la Corte imperiale, il fanciulletto conobbe Dante, anche lui ramingo e in attesa dell'Imperatore. Tra il 1312 e il 1313 il padre si trasferì con la famiglia in Avignone, sede della Corte papale, dove sperava di poter esercitare vantaggiosamente il notariato. Per 4 anni, dal 1313 al 1317, Francesco vi attese allo studio del latino. Nel 1317 il P. fu inviato all'Università di Montpellier a studiare il diritto, secondo la tradizione familiare, ma dimostrò presto di preferire la lettura dei poeti e degli storici latini. Nel 1322 insieme con il fratello Gherardo, sotto la sorveglianza di un pedagogo, fu mandato a perfezionare gli studi giuridici a Bologna dove subì l'influsso di Cino da Pistoia, che ancora vi teneva cattedra, e di Dante, da poco scomparso a Ravenna e di cui allora si divulgava il "Paradiso". È probabile che a Bologna il P. abbia dato inizio ai suoi cimenti poetici; certo in quel clima e in quell'ambiente si formò la sua personalità di poeta e di studioso. Nel 1326 Francesco e Gherardo tornarono ad Avignone, dove l'anno prima era morto il padre. Ben poco restò loro del patrimonio, per cui dovettero procurarsi un sostegno economico. Francesco, presa la tonsura per potere aspirare ai benefici ecclesiastici, si avvicinò alla Corte di papa Giovanni XXII; qui fu lodato e stimato per i primi e non mediocri saggi di poesia latina. Il 6 aprile 1327, come egli stesso racconta, nella chiesa di S. Chiara vide per la prima volta Laura, l'ispiratrice dei sogni di tutta la sua vita. Nel 1330, chiamato dal suo antico collega Giacomo Colonna, creato Vescovo di Lambez, andò nella sua diocesi e visitò per la prima volta Parigi. Poco dopo Giacomo Colonna introdusse il P. anche nella Corte del fratello, Giovanni Colonna, cardinale, la cui influenza su tutti gli affari politici, specialmente in Italia, era grandissima. Questo permise al P. non soltanto di entrare nella politica e di avere incarichi di fiducia, ma anche di soddisfare la sua irrequietezza spirituale, il desiderio tutto umanistico di 'esperimentare' gli uomini, di conoscere direttamente genti e paesi. A questo periodo risalgono i viaggi in Italia, a Roma (1331), città che lo riempì di profonda commozione, a Capranica, dove fu ospite degli Anguillara (parenti dei Colonna), in Spagna, in Inghilterra. Nel 1337 tornò in Avignone e verso la fine dell'anno si ritirò nella solitudine di Valchiusa dove concepì e pose mano a molte delle sue opere. Nel 1340 ricevette, contemporaneamente da Parigi e da Roma, l'offerta dell'incoronazione poetica. Preferì Roma; giunto a Napoli fu esaminato con solenne cermonia dal re Roberto d'Angiò, suo grande estimatore, e nella Pasqua del 1341 il Senatore di Roma, Orso dell'Anguillara, lo cinse con il lauro poetico in Campidoglio. Partito da Roma in compagnia di Azzo da Correggio, che lo aveva invitato, prese dimora a Parma, alternando il soggiorno nella città alla solitudine di Selvapiana in Val d'Enza, dove riprese la stesura del poema "Africa" portata a buon punto a Valchiusa. Soltanto nel febbraio del 1342 tornò ad Avignone dove poco dopo, morto Benedetto XII, venne eletto Clemente VI. Al P., come già in occasione del precedente conclave, fu dato l'incarico di esprimere in versi latini il desiderio ardente di Roma di riavere, possibilmente per sempre, il proprio Vescovo tra le sue mura. In questa occasione il P. conobbe non solo gli ambasciatori ufficiali di Roma, ma anche il tribuno Cola di Rienzo che per proprio conto si era recato alla Corte del nuovo Pontefice. Nel 1343, a seguito di gravi avvenimenti familiari, si rifugiò negli studi e iniziò a studiare il greco. La cecità dei principi italiani in lotta tra loro lo ispirò nella composizione della "Canzone all'Italia". Lasciata Parma assediata, giunse faticosamente a Verona. Soltanto verso la fine del 1345 raggiunse Avignone. Forse la questione di Parma fu risolta grazie anche alla sua influenza politica: ceduta a Luchino Visconti, questi si affrettò a concedere al poeta un beneficio. Nel 1346 a Valchiusa, luogo di pace silvestre, il P. attese al "Bucolicum carmen". Nel 1347 giunsero le prime notizie della Rivoluzione romana capeggiata da Cola di Rienzo; attirato dal nuovo tentativo di riforma politica, P. partì per Roma, ma il fallimento dell'impresa e la situazione che si andava creando lo fermarono a Parma. Dal Papa ebbe l'incarico di una missione presso Mastino della Scala. Deluso nelle sue speranze politiche, a Verona venne tra l'altro a sapere della morte per peste di Laura. Riprese allora a peregrinare per l'Italia, ovunque accolto con grandi onori. Visse due anni fra Parma e Padova; invocò l'intervento di Carlo IV in Italia, visitò più volte gli Estensi, i Gonzaga, gli Scaligeri, intessendo trame diplomatiche. In occasione dell'Anno Santo (1350) si recò a Roma e successivamente visitò Firenze, dove fu accolto con affettuosa deferenza dal Boccaccio. Tornò a Parma, quindi a Padova, dove nel 1351 ospitò il Boccaccio giunto per invitarlo, a nome del Comune di Firenze, ad assumere la cattedra nello Studio fiorentino, incarico che rifiutò cortesemente. Nell'estate del 1351 tornò ad Avignone, ma la morte di Clemente VI e l'elezione di Innocenzo VI, che sapeva non amico, lo fecero ripartire. Si recò a Milano presso i Visconti. Fece da paciere tra Genova e Venezia, andò ambasciatore da Carlo IV (1356), rese molti servizi politici ai Visconti, cosa che gli fu rimproverata perchè erano considerati tiranni, ma soprattutto, nella sua casetta presso la basilica di S. Ambrogio, attese ai suoi studi. La peste del 1361 gli tolse il figlio Giovanni e molti amici. Abbandonata Milano, dubbioso se tornare in Francia, visse tra Padova e Venezia. Tornò spesso a Milano e a Pavia ospite dei Visconti, che aiutò in occasione della seconda venuta di Carlo di Boemia (1368). Dal 1369 alla morte, visse quasi sempre nella villetta di Arquà sui colli Euganei, dove morì improvvisamente, nella notte tra il 18 e il 19 luglio 1374, mentre chino sullo scrittorio leggeva e commentava Virgilio. Fu sepolto in un'arca presso la sua villetta con grandissimi onori. La fatica letteraria di Francesco P. è assai vasta e varia per interessi, minore tuttavia di quanto egli avesse progettato. All'infuori delle liriche raccolte nel "Canzoniere" e degli incompiuti "Trionfi", egli scrisse sempre in latino: alle opere latine che oggi consideriamo minori, e specialmente all' "Africa", egli ritenne affidata la sua gloria. Alla maturità appartengono i trattati religioso-morali: il "Secretum" o "De secreto conflictu curarum mearum" (1342-43 e 1353-58); il "De vita solitaria" scritto nel 1346 ma completato dieci anni dopo; il "De remediis utriusque fortunae" steso intorno al 1354 e dedicato ad Azzo da Correggio; tutte opere che risentono, anche formalmente, del pensiero di sant'Agostino. Tra le altre opere latine: il "Bucolicum carmen", raccolta di 12 egloghe varie per epoca, per argomento, per limpidezza d'ispirazione e di dettato. Nel vasto epistolario, tutto scritto e rivisto con intenti letterari, un posto a sè hanno le "Epistolae metricae", componimenti in versi indirizzati ad amici sull'esempio di Orazio e riordinati attorno al 1350. Ci sono poi le varie raccolte delle lettere in prosa, distinte in "Familiares" (tra le quali si suole porre anche la famosa lettera "Posteritati"), "Seniles", "Variae"; un gruppo a parte di lettere sono quelle contenute nel "Libellus sine nomine". Il P. scrisse in latino anche opuscoli polemici, epigrammi, dediche, ecc. Le opere italiane sono il "Canzoniere" (cui si dedicò lungo tutto l'arco della sua vita) e i "Trionfi" (dal 1340 al 1374). La lirica del Petrarca fu ammirata ed imitata durante il Rinascimento in Italia e in tutta Europa, e l'influsso che essa esercitò sul gusto, sulle idee e sulla sensibilità fu così profondo che difficilmente si riesce ad abbracciarlo nella sua vastità. Con Dante e Boccaccio, le altre «corone» del Trecento, il P. fu il maestro della lirica italiana, decisivo nella creazione del moderno linguaggio poetico. Si deve inoltre riconoscere al P. il merito di essere stato il primo a porre la basi per l'affermazione di una mentalità intellettuale moderna. Egli, infatti, rivendicò alla letteratura e alla poesia una funzione sociale. Inoltre, non si limitò a godere della passione per gli studi letterari e per la poesia nella sua vita privata, ma ne fece la sua unica attività professionale.