IL "MITO" DI BATTISTI



Una delle figure più controverse. Secondo lui, che aveva letto Cattaneo, uno dei primi veri federalisti della storia d'Italia, tutte le nazionalità avrebbero dovuto godere di un trattamento paritario nel segno di una maggiore giustizia sociale. Un’utopia.
Di seguito un articolo di Mirko Molteni tratto da La Padania del 23 settembre 2004.

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Si era sempre battuto per un Trentino libero nell’ambito dell’Impero. Ma...

Battisti, da autonomista a “mito ” della nazione

________________________Mirko Molteni________________________

Sulla figura di Cesare Battisti si discute da tempo e nel giudicarlo si è sempre in bilico fra la qualifica di “patriota”, cara all’Italia, e quella di “traditore”, secondo l’ottica austriaca. Siamo convinti che il personaggio andrebbe valutato con serenità per quello che era, un intellettuale socialista che, in primis, era interessato a ottenere per il Trentino l’autonomia dalla grossa provincia che comprendeva l’intero Tirolo (quest’ultimo in un ruolo dominante) e che aveva per capoluogo Innsbruck. Un’autonomia nell’ambito dell’Austria e non al di fuori di essa. Certamente l’ultimo Battisti, quello del biennio 1914-1916, prese le armi contro l’Impero di cui era cittadino. Ma nel frattempo era intervenuta la guerra a sconvolgere vecchi equilibri e a esasperare gli animi di tutti. Comunque va ricordato che egli ebbe sempre seri dubbi sull’opportunità, in caso di vittoria italiana, di portare il confine sul Brennero includendo il Sud Tirolo. Ne fanno fede i suoi dibattiti epistolari con varie personalità, da Gaetano Salvemini a Ettore Tolomei, riportati da Claus Gatterer nel suo bel libro “Cesare Battisti, ritratto di un alto traditore”. Non ci sembra azzardato supporre che se fosse sopravvissuto fino alla fine della guerra, da geografo esperto qual’era, Battisti avrebbe proposto l’annessione all’Italia del solo Trentino, considerando il cosiddetto “Alto Adige” parte naturale del Tirolo e dunque da lasciare all’Austria. Vediamo ora di ricostruire la vicenda terrena di quest’uomo, che come milioni di altri fu inghiottito da un mondo impazzito ed ebbro di sangue.


UN SIMPATICO “FRANTI”

Cesare Battisti nacque a Trento il 4 febbraio 1875, quando il Trentino era una delle aree più povere dell’Impero. Compreso nel Kronland del Tirolo, quel territorio subiva in effetti la supremazia dell’elemento tedesco, mentre la sua agricoltura languiva fra gli opposti estremi di grandi latifondi e misere microproprietà. Essendo di famiglia agiata potè studiare nell’Imperial Regio Ginnasio Superiore di Trento, dove, insieme ad alcuni suoi amici, manifestò fin da 15enne l’insofferenza alla pedanteria cattolica delle autorità scolastiche. Del periodo adolescenziale, intorno al 1890, ricordò vari episodi il suo compagno di scuola Eugenio Zaniboni in un articolo del 1926, ripubblicato nel luglio 1975 dalla rivista “Historia”.
Zaniboni ci presenta il giovane Battisti come una “simpatica canaglia”, una specie di Franti uscito dal “Cuore” del De Amicis, ma inteso in senso creativo. Sempre pronto a sfidare le regole dell’istituto fumando vistosamente (nonostante non fosse un vero fumatore), Battisti era il più giovane (lo stesso Zaniboni era maggiore di 2 anni) in un’allegra compagnia che talvolta organizzava bigiate da leggenda trascorrendo le mattinate lungo l’Adige a caccia di tordi. Questi ragazzi di lingua italiana non si limitavano però a marinare la scuola. Sapevano indirizzare il ribellismo su strade più serie. Esisteva a Trento, in via del Teatro, il Caffè Carloni, un bar dove Battisti e gli amici reperivano giornali introdotti di contrabbando dall’Italia, come il “Corriere della Sera” o “Il Secolo”, a quei tempi proibiti nell’Impero. Come proibita era la divulgazione a scuola degli episodi del Risorgimento italiano, fatti storici comunque importantissimi che avevano interessato l’Austria per la maggior parte del XIX secolo.
Una politica idiota, perchè anzichè snobbare certi eventi, meglio sarebbe stato per gli Austriaci raccontarli sviluppando una propria prospettiva. In giovani studenti come Battisti l’emozionante passione per i “proibiti” Mazzini e Garibaldi non poteva che esserne alimentata.


SUL GIORNALE
UN MOTTO DI CATTANEO

Dal 1893 frequentò l’università, dapprima a Vienna e Graz. Passò poi a terminare gli studi in Italia, dove, dopo una parentesi a Torino, si sarebbe laureato in lettere a Firenze nel 1897 con una tesi di geografia sul Trentino. In quegli anni, ormai determinato a fare qualcosa per la sua comunità, aveva imboccato la strada di un socialismo attento alla nazionalità. Può essere considerato il fondatore del socialismo trentino, insieme all’amico Antonio Piscel (lo stesso che divenuto avvocato avrebbe dato lavoro a Fabio Filzi). Ancora studenti, fondarono una “Rivista Popolare Trentina”, il cui unico numero uscì il 2 febbraio 1895. In prima pagina campeggiava un motto di Carlo Cattaneo: «In quanto il povero s’interessa all’intera sua casta, s’interessa, anche senza volerlo, alla più larga cultura di tutta la nazione. La sua causa adunque non è quella dell’egoismo, è la causa di tutti, è la causa del genere umano». Qui stava un po’ il nocciolo della visione di Battisti. Nell’Impero tutte le nazionalità avrebbero dovuto godere di un trattamento paritario nel segno di una maggiore giustizia sociale. Come si sa, Tedeschi e Ungheresi si spartivano il potere a scapito delle altre stirpi, tanto che dal 1867 l’esatta denominazione dello Stato era appunto “Austria- Ungheria”. Tutte le copie di quel primo giornale furono sequestrate dalla polizia, ma ciò non impedì al geografo di creare in pochi anni a Trento un solido nucleo di socialisti. Il 15 novembre 1895 usciva il suo nuovo giornale “L’Avvenire del lavoratore”, cui si affiancò dal 7 aprile 1900 il quotidiano “Il Popolo”, sempre creato da Battisti, ormai editore e tipografo, oltre che studioso. Girava per le valli documentandosi sulla vita dei contadini, e sull’economia. Interessante la testimonianza che raccolse da un anziano di oltre 70 anni: «Quando ero ragazzo tutti questi boschi e questi prati erano proprietà collettiva. Allora eravamo ricchi. Un bel giorno furono venduti ad alcuni signori per pochi quattrini e noi siamo rimasti poveri. La terra deve tornare in comune».


DA PARLAMENTARE
A “TRADITORE” DELL’IMPERO

All’inizio del XX secolo la lotta dei socialisti per rivendicare l’autonomia trentina era più dura che mai. Battisti si era intanto sposato con la compagna Ernesta Bittanti e vedeva nascere tre figli. Non disgiungeva la sua battaglia per strappare Trento a Innsbruck da tematiche anticlericali tipiche del socialismo, come ad esempio la proposta di abolire l’obbligo della messa per i bambini delle elementari. Non poteva certo sperare nell’appoggio degli altri schieramenti politici trentini, come i popolari fra cui già si distingueva il giovane Alcide De Gasperi, amico del vescovo di Trento mons. Endrici. Nel 1909, anzi, Battisti venne perfino alle mani con De Gasperi, o almeno così credette. Somministrò un possente ceffone a un collaboratore del leader cattolico, scambiandolo per lo stesso De Gasperi, che gli aveva offeso la moglie. Scontò una settimana di carcere per lesioni, ma, a parte questo episodio, gli unici altri guai con la giustizia si limitavano alla censura di qualche numero de “Il Popolo”.
Nel 1911 riuscì a farsi eleggere al Reichsrat, il Parlamento di Vienna, dove l’unica lingua ammessa era il tedesco. Oltre che parlamentare alla capitale fu anche, dal 18 aprile 1914, deputato della dieta (o Landhaus) del Tirolo a Innsbruck. Ma la sua lotta, che era connessa alla richiesta del suffragio universale, finì arenata nelle pastoie parlamentari. Più volte cercò di far breccia nel governo, come nel discorso parlamentare che tenne il 6 novembre 1913: «Il Vorarlberg dà ora l’esempio della riscossa, chiedendo il completo distacco dal Tirolo. Il Trentino non può non imitarlo. solo in un’amministrazione autonoma il Trentino troverà modo di risorgere economicamente e di metter termine a ogni conflitto nazionale».
Disilluso circa la capacità di rinnovamento interno dell’Impero, solo allo scoppio del conflitto europeo divenne irredentista, lasciando l’Austria per l’Italia il 12 agosto 1914. Andò a Milano, da dove il 21 agosto spedì alla moglie, ancora a Trento, una cartolina sotto il cui francobollo aveva scritto un messaggio nascosto che le intimava di chiudere i battenti del giornale e di raggiungerlo nel capoluogo lombardo.


CON LA PENNA SUL CAPPELLO

Nei mesi delle esaltazioni interventiste, anche Cesare Battisti partecipò ai più vari dibattiti e conferenze in decine di città. Ma l’annessione del Trentino all’Italia come era letta da un socialista? Si era convertito al nazionalismo puro e semplice? Ebbe a dire: “Fra l’uomo singolo e l’umanità c’è un anello di congiunzione che non si può spezzare nè dimenticare, ed è la patria, è la nazione”. Ma talvolta diceva “regione”, anzichè “nazione”. E parlando a Bologna nell’ottobre 1914 parve accennare alla guerra semplicemente come tappa intermedia e progressiva verso i futuri Stati Uniti d’Europa: «Distrutti i focolari di reazione che si annidano al centro d’Europa, tolta al teutonismo la possibilità di soffocare le altre nazioni, potrà tramutarsi in realtà quello che fu il sospiro di Mazzini e il programma di Carlo Marx, la Federazione degli Stati d’Europa». Certamente ebbe dei dubbi, delle incertezze. Era però sicuro che allo scoppio della guerra italo-austriaca si sarebbe offerto volontario per rischiare in prima linea come tutti, pur sapendo che si sarebbe ritrovato a sparare su altri trentini: «Anche se fortunata questa guerra esige sacrifici enormi ed io, al pensiero che è fatta per le mie terre, vorrei essere in ogni scontro, in ogni avanzata». Il 29 maggio 1915 entrò nel 5° Reggimento Alpini come soldato semplice e fu spedito a Edolo per l’addestramento. Arrivò sul fronte del Tonale il 1° luglio e iniziò la sua carriera di combattente accompagnando il suo capitano durante le perlustrazioni. L’Alpino Battisti, stando ai rapporti ufficiali, si distinse presto in azioni belliche, e si guadagnò una medaglia di bronzo dopo gli scontri sostenuti sull’Albiolo fra il 23 e il 25 agosto. In seguito entrò in un reparto di Alpini Sciatori e fu destinato nell’area dell’Adamello, presso il rifugio Garibaldi. Fu lì che il 13 novembre 1915 venne promosso sottotenente. Nove giorni dopo assunse il comando di un plotone della 258° Compagnia del Battaglione Vicenza, 6° Reggimento. Dopo un periodo di retrovia a Verona, fu di nuovo in area calda dal 30 maggio 1916. Coi suoi uomini si trovava in Vallarsa, in un teatro di guerra assai più difficile del previsto. «Ho terrore della fanteria. Ho visto qui in valle alcuni accampamenti. sono il regno della sporcizia, delle malattie. Sono soldati da macello», è il suo drammatico commento della situazione.


IL CAPPIO CHE NON PERDONA

All’inizio di luglio gli Alpini del Battaglione Vicenza si apprestavano a lanciarsi all’assalto delle posizioni austroungariche sul Monte Corno. L’ordine di attacco arrivò il 9 luglio 1916 e Battisti, sulle prime, non pareva preoccupato, tanto che così scrisse quello stesso giorno in una lettera alla sorella: «La fortuna mi ha sempre arriso. Compiuta un’azione alle spalle del Monte Corno, il battaglione avrà un po’ di riposo. Allora ti scriverò più a lungo».
All’una di notte del 10 luglio l’attacco degli Alpini fallì, anche per il maldestro appoggio dell’artiglieria italiana. Stando alle testimonianze degli ufficiali austriaci, sembra addirittura che il reparto di Battisti, pur vedendo la mala parata, non sia riuscito a ritirarsi a causa del tiro troppo corto dei cannoni italiani, che tagliava le vie di fuga! Al di là di possibili speculazioni da “giallo” storico, sta di fatto che il socialista trentino fu catturato da un gruppo di Tiroler Landesschutzen comandato da un altro trentino, l’alfiere Bruno Franceschini. Tra i prigionieri vi era anche l’irredentista Fabio Filzi, che avrebbe condiviso con Battisti l’inevitabile condanna a morte.
Il giorno dopo erano già stati condotti sotto scorta a Trento, dove fu resa loro noto che sarebbero stati impiccati per tradimento. Il bollettino della loro cattura fu così diffuso in Trentino: «I nostri Bersaglieri Tirolesi hanno preso i due agitatori mentre, tramutatisi in ufficiali italiani, guidavano il nemico contro la loro patria e compivano senza rimorso e senza vergogna il fratricidio».
Il 12 luglio 1916, poco dopo le 19, Cesare Battisti e Fabio Filzi venivano giustiziati nel fossato del Castello del Buon Consiglio di Trento. Sembra che Battisti abbia urlato frasi patriottiche fino alla fine, tantopiù che il suo cappio si era spezzato e il boia Josef Lang dovette prepararne un altro. Ci vollero ben 8 minuti, tra spasmi e contorsioni, perchè Battisti cessasse di vivere. Cosa avrà pensato l’impiccato in quegli ultimi atroci momenti? Forse un abisso di umana paura avrà fatto da sfondo alla consapevolezza di avere dedicato tutta una vita al Trentino. Se si trattasse o meno di una causa “persa”, in rapporto alle opinioni della maggioranza della popolazione trentina, non è certo facile da stabilire. Quel che è sicuro è che poco più di due anni dopo, nel novembre 1918, l’Impero degli Asburgo si sarebbe sfasciato come cartone sotto la pioggia, non per volere dei vincitori, ma per le sue convulsioni interne. Finì perchè doveva finire, condannato dalla Storia.

Mirko Molteni







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