Negli anni della Prima Guerra
Mondiale (o immediatamente
precedenti a essa) l’irredentismo
non ebbe presa sulla maggior
parte dei circa 300mila Trentini di
lingua italiana. La devozione cattolica
per il binomio Chiesa-Imperatore
era infatti preponderante. A
testimoniarlo è lo stesso Benito Mussolini,
che quando era ancora un
giovanotto socialista ebbe modo di
conoscere direttamente quella realtà
sociale, vivendo a Trento per diversi
mesi e lavorando insieme a Cesare
Battisti.
Dalla sua esperienza trasse il materiale
utilizzato per un’inchiesta
che compilò dopo essere rientrato in
Italia. Era il 28 febbraio 1911 quando
a Firenze usciva, per la serie dei
quaderni della “Voce” (il giornale
diretto da Giuseppe Prezzolini) il
libretto “Il Trentino veduto da un
socialista”. Pagine in cui il 28enne
Mussolini diede un quadro sintetico,
ma significativo degli atteggiamenti
da lui osservati un paio d’anni prima
fra quelle genti. Il baldo ragazzotto romagnolo, che già aveva
sulle spalle diversi vagabondaggi
politici, era giunto nella Trento austriaca
il 2 febbraio 1909 e si era
subito messo a disposizione dei socialisti
locali. Diventò segretario della
Camera del Lavoro e animò il
settimanale “L’Avvenire del lavoratore”,
spesso sequestrato dalla Imperial
Regia Polizia a causa degli
attacchi al vetriolo condotti contro le
alte gerarchie della Chiesa. Mussolini
passò poi a lavorare per la
redazione de “Il Popolo” di Cesare
Battisti, scrivendo per quel quotidiano
perfino un romanzetto anticlericale
a puntate, intitolato “Claudia
Particella amante del cardinale”.
Una narrazione salace con cui il
giovane Mussolini volle far riflettere
il pubblico, in modo peraltro originale
e acuto, sul fatto che in fondo
anche i religiosi sono uomini uguali
agli altri! Dopo 9 mesi di permanenza,
Benito si trovò in guai seri,
sospettato di complicità nel furto di
380mila corone da una banca cooperativa.
Incarcerato a Rovereto, fu
assolto, ma le autorità austriache
colsero comunque il pretesto per
espellere dall’Impero un elemento
perturbatore. Mussolini aveva nel
frattempo visto abbastanza per rendersi
conto che l’irredentismo e l’annessione
all’Italia erano chimere inseguite
da pochi. Già nella prefazione
del pamphlet (da lui scritta in
terza persona) sottolinea: “L’autore
delle pagine che seguono ha dimorato
nel Trentino quasi tutto l’anno
1909. Ha osservato, notato, raccolto.
Suo compito era quello di descrivere
il Trentino qual’è oggi nella
sua situazione linguistica, economica,
politica, di informare il grande
pubblico che ha idee false o ignora o
si culla di beate illusioni che la realtà
purtroppo smentisce”.
Le prime pagine dell’inchiesta sono
dedicate all’esame delle dottrine
pangermaniste diffuse in Germania
e Austria a cavallo fra XIX e XX
secolo. Tali idee, imperniate sulla
presunta superiorità del ceppo razziale
nordico, vengono collegate da
Mussolini ai rapporti di subalternità
che vedono i 300mila Trentini dominati dai 500mila Tirolesi di stirpe
tedesca. In verità l’essenza del problema
era più che altro amministrativa,
poichè al Trentino non veniva
riconosciuta l’autonomia nell’ambito
del Tirolo, cioè la provincia
(o “Kronland”) in cui esso era compreso.
Comunque i Trentini non protestavano
che blandamente contro
questo stato di cose e, soprattutto,
non intendevano staccarsi dall’Impero
per unirsi all’Italia. Per citare le
esatte parole di Mussolini: “Il Trentino
è oggi impotente. Non può combattere
il Tirolo perchè non vuol
combattere l’Austria”. D’altronde il
maggior punto di riferimento per la
popolazione era la Chiesa cattolica,
che andava a braccetto col potere di
Vienna. “Qui il clericalismo - scrive
Benito - non è adulterato o mascherato
dalla religione o da vernici
moderniste: è genuino. E si mostra
anzitutto come una vasta e ben
congegnata organizzazione di interessi
profani (...) La massima dei
clericali trentini è quella del vescovo
Pelizzo da Padova: una chiesa di
meno e un giornale di più. I fogli dei
preti esercitano una specie di censura
su quanto pensano o scrivono i
cittadini. Per i clericali trentini il
nemico è l’Italia. Essi sono austriacanti”.
Il nostro testimone d’eccezione
ci riferisce inoltre una curiosa
strofa anti-italiana (nel senso: contro
lo Stato italiano, non contro la
cultura di Dante) che molti cattolici
trentini usavano canticchiare: “Colla
pell de Garibaldi/ Ne farem tanti
tamburi,/ Tirolesi stè sicuri/ Garibaldi
no ven pù”. Soprattutto i
contadini erano fra i più affezionati
all’ordine asburgico, tanto che “talvolta
i coscritti di certe vallate trentine,
scendendo nelle città, cantano
inni anti-italiani, offendono gli Italiani
e gridano - Viva l’Austria! - ”.
Solo i socialisti di Battisti lottavano
seriamente per un’autonomia
del Trentino nell’ambito dell’Austria-
Ungheria (si badi, autonomia e
non secessione dall’Impero). Gli altri
schieramenti politici locali non vi
erano realmente interessati. E’ quindi
comprensibile la conclusione cui
giunge Mussolini: «Ci dicano ora gli
irredentisti italiani (...) se un Paese
che lotta così blandamente per l’autonomia
può essere domani capace
di un’insurrezione per l’annessione
all’Italia. Ne dubitiamo».
L’inchiesta del socialista romagnolo
è espressione di un ben determinato
periodo della vita del futuro
Duce, quello del marxista internazionalista...
per quanto un marxista
anomalo sorbitosi robuste dosi
di Nietzsche. In quello stesso 1911,
Mussolini ribadì il suo punto di vista
sulla questione con queste frasi:
«Ormai si dovrebbe avere il coraggio
di abbandonare le pose e il frasario
quarantottesco dell’irredentismo
austrofobo. A meno che non si voglia
provocare la guerra. Nel qual caso, o
irredentisti, voi vivrete Lissa e Custoza,
la sconfitta e la vergogna».
Come sappiamo, avrebbe poi cambiato
idea, anche se il suo interventismo
del 1914 non sarebbe stato
focalizzato tanto sulla questione
di Trento e Trieste, quanto sul mito
della guerra rivoluzionaria.
Mirko Molteni
|