Capitolo I

2 - UNA LACRIMA AL TRAMONTO - L'IMPERATORE

Francesco Giuseppe (chiamato familiarmente dalle valli di lingua italiana Cecco Beppe) aveva preso in mano il regno a soli 18 anni nel 1848; in quel periodo l'Impero attraversava momenti difficili sotto l'aspetto geopolitico, ma momenti sostanzialmente di pace. Quando pochi giorni prima dell'assassinio di Sarajevo i maggiori dell'esercito imperiale, tra cui Conrad Hözendorf (capo di stato maggiore) e lo stesso Francesco Ferdinando (l'erede al trono), chiesero all'ormai vecchio Francesco Giuseppe l'autorizzazione a dichiarare guerra all'Italia per riottenere le terre perdute nelle guerre di indipendenza. Irato l'Imperatore tuonò che la sua era "una politica di Pace! E la guerra non si farà, fin tanto che l'Italia ci attaccherà". Non lasci ingannare quindi la dichiarazione di guerra alla Serbia in seguito all'attentato: infatti dietro a questo fatto si nascondevano situazioni famigliari-diplomatiche che non potevano più essere tollerate. La vita di Francesco Giuseppe infatti è stata turbata da una serie infinita di lutti e sciagure. Per il bene dello Stato, infatti, il kaiser, grazie alla sua personalità rigida e burocratica, aveva superato con apparente imperturbabilità la pazzia della sorella Carlotta di Miramar, lo scandalo di suo fratello Luzivuzi, il dolore per la tragica fine a 35 anni del fratello Massimiliano imperatore del Messico nel 1867, fucilato dai rivoluzionari di Benito Juarez, lo sconcerto per la morte crudele della cognata a Parigi, vittima di un incendio in un bazar de la Charité a Parigi; la disperazione per il suicidio del figlio Rudolf, unico erede, insieme alla sua amante Vachsera a Mayerling nel 1889, ma soprattutto l'assassinio a Ginevra dell'imperatrice Elisabetta il 10 settembre 1898, pugnalata alle spalle dall'anarchico italiano Luigi Lucheni con un coltello a lama forgiata a stiletto. L'imperatrice Elisabetta morì come lei stessa sembrò descrivere anni prima: "io me ne andrò come se ne va il fumo, la mia anima uscirà da una piccola apertura nel cuore". Emblematico il giorno precedente alla tragedia, quando in piazza Brunswik, a Ginevra, un corvo venne a posarsi ai piedi di Elisabetta; la contessa Sztàray, dama di compagnia dell'imperatrice, disse ignara di ciò che sarebbe avvenuto: "ecco un uccello che indica sempre sventura alla mia casa".
Elisabetta era nata la notte di Natale del 1837 a Monaco di Baviera in un palazzo della Ludwigstraße (via dedicata al re bavarese Ludwig I, suo nonno) dal duca Massimiliano Giuseppe e da Luisa, figlia del re Massimiliano I di Baviera, nonché sorella dell'arciduchessa d'Austria Sofia, proprio la madre di Francesco Giuseppe suo marito. Non deve stupire questo matrimonio tra cugini dato che era consuetudine all'epoca maritare i figli per secondo l'interesse del regno; in un primo momento però Francesco Giuseppe avrebbe dovuto sposare la sorella di Elisabetta, Sofia, ma pare sia stato colpito dalla straordinaria bellezza di quest'ultima durante un ricevimento: alta e magra con un vitino da vespa (50 cm!). Il "Tagenbuch-Blätter" del 1886 descriveva l'imperatrice come "bellissima e mite d'animo, esercitò dapprima benefica influenza sull'animo dell'imperatore, contribuendo a far togliere gli stati d'assedio e a mitigare i rigori della polizia austriaca". Fu proprio per questo che anche in Trentino la kaiserine suscitava estrema simpatia tanto che al suo funerale parteciparono in molti, tra fiumi di lacrime e cortei spontanei; Elizabeth si trovava straordinariamente bene tra i sudtirolesi tanto che prediligeva trascorrere le vacanze ella reggia di Merano, tenuta oggi come allora come monumento "nazionale" di orgoglio. Fu anche grazie alla sua attitudine poco diplomatica e quasi ostile a Vienna e alla stessa Austria, che l'Ungheria cessò in parte l'ondata indipendentista che si rifaceva alle prime scaramucce del 1848 con l' "esercito" di Kossuth. Dopo l'incontro tra l'imperatrice e un principe ungherese rappresentante del movimento di liberazione nazionale al castello di Gödöllö, i magiari cominciarono ad amare Elisabetta (meglio conosciuta con il nome di Sissi), particolarmente sensibile per quella terra, tanto che nemmeno il governo comunista osò cambiare il nome del ponte di Budapest a lei dedicato. Sissi fu incoronata Regina d'Ungheria nella chiesa di San Mattia l'8 giugno 1867, forse il giorno più felice della sua vita. Poco più di nove mesi dopo, Sissi fece nascere a Budapest la sua ultima figlia, Maria Valeria, la cui paternità, secondo le male lingue, fu attribuita al conte ungherese Andrassy, "mediatore" dei rapporti austro-ungheresi. Malgrado i suoi 48 titoli nobiliari (1 per nascita, 47 per matrimonio), Elisabetta non solo aveva previsto il crollo dell'Impero asburgico ma era in fondo repubblicana, pur guardandosi bene dal rinunciare ai suoi privilegi monarchici e a quelli derivanti la sua ingente ricchezza. La morte di Sissi fu una ferita che l'Impero si portò nella tomba e che fece suscitare nei popoli asburgici un lutto infinito. Sull'enorme tomba di Sissi nella Cripta dei Cappuccini a Vienna (per ovvi motivi non si poté accontentare i suoi ultimi desideri che la volevano sepolta in mare), ci sono sempre i fiori freschi con i colori dell'Ungheria... "Ejlen Erzsébet".
Il rapporto sentimentale tra Francesco Giuseppe ed Elizabeth era autentico e molto sentito, tanto che ancora oggi la loro storia è romanzata perfino nei cartoni animati. Gli unici dissidi con l'imperatrice infatti, soprattutto dopo la crisi che Sissi accusò dopo i lutti, erano provocati, neanche a dirlo, da motivi strettamente politici, a causa del carattere di Elisabetta inadempiente e non consono al prestigio e il rispetto che un'imperatrice deve saper ottenere. Era inammissibile, per esempio, che Sissi andasse a cavallo, o lasciasse Vienna come e quando le piacesse poiché ciò avrebbe sminuito il rispetto sincero del suddito. Sempre per motivi di stato c'erano attriti anche tra Francesco Giuseppe, che non aveva discendenti diretti vivi, e l'unico erede al trono, l'Arciduca Francesco Ferdinando; l' uccisione di quest'ultimo con la moglie a Sarajevo il 28 giugno 1914 da parte dello studente serbo Gavrilo Princip non poteva quindi passare impunita, essendo stato colpito non tanto l'uomo ma l'istituzione, l'orgoglio di un'impero insultato da troppo tempo che chiedeva rispetto, soprattutto da parte di una popolazione, quella serba, da sempre pronta a sfidare l'Austria per inseguire il suo sogno panslavo.
La gravità del fatto si dimostrò subito anche nella vita comune del popolo: il giorno seguente furono chiuse le scuole per lutto. Il 30 giugno l'Imperial Regio Consiglio scolastico distrettuale, a firma Taxis, così scriveva alle dirigenze scolastiche: "Un profondo lutto colpì la dinastia del nostro Augusto Imperatore. [...] In quest'ora di piena tristezza gli scolari tutti parteciperanno al cordoglio generale col suffragare le anime degli Augusti Estinti e coll'assistere all'ufficio funebre solenne che si celebrerà prossimamente. Ogni dirigente [...] commemorerà la figura di sua altezza il principe ereditario e dell'augusta consorte, fomentando nei teneri cuori l'attaccamento alla serenissima Casa degli Asburgo, instillando il ribrezzo per l'orribile misfatto e suscitando alti sentimenti di devota pietà e profonda simpatia per l'Augusto sovrano [...] e per i figli degli Augusti defunti, i quali perdettero, nella stessa ora, il migliore dei padri ed una madre piena di tenerezza". Sono le parole di un onesto dirigente scolastico e nessuno può dubitare che non abbiano rispecchiato, nello stesso momento, i sentimenti di tristezza di tutta la popolazione dell'Impero.
Furono loro le prime vittime della Grande Guerra. Il saggio imperatore, restìo alla guerra, dovette riflettere - era tra i suoi principi - tre volte e poi ancora tre volte, prima di portare alla guerra il suo Paese, il suo Impero che aveva bisogno di pace più che del pane quotidiano. Ed alla guerra ci fu quasi costretto dai suoi ministri.
L'affezione all'Austria delle popolazioni dell'Impero, soprattutto quelle occidentali, veniva manifestata perfino sugli archi da culla dove era possibile osservare l'aquila bicipite artigianalmente intagliata, come in un arco fiemmese del secolo scorso. Perfino quando morì il 21 novembre 1916 l'ottantaseienne Francesco Giuseppe per collasso cardiaco in seguito a polmonite e pleurite, nella sontuosa villa di Schönbrunn, alle porte di Vienna, in ogni abitazione del Trentino il ritratto dell'imperatore fu onorato e per lungo tempo anche dopo che sugli edifici pubblici apparve il tricolore e sulle piazze apparve il monumento al Re d'Italia e ciò perché nella mente ed anche nel cuore era rimasta la figura del buon imperatore.


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