Il servo di Dio Carlo I d’Asburgo, pronipote e successore dell’imperatore Franz Josef I, alla guida dell’impero austro-ungarico dal 1848 al 1916,
nacque il 17 agosto 1887 nel castello di Persenbeug, sul Danubio, e nel 1911 sposò Zita di Borbone-Parma. In seguito all’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando e della moglie Sofia a Sarajevo, Carlo, secondo nella linea di successione, nel novembre del 1916, all’età di ventinove anni, divenne imperatore; il mese dopo fu incoronato a Budapest re apostolico d’Ungheria con la corona di santo Stefano.
Il suo primo gesto fu quello di indirizzare a tutti i suoi popoli – ognuno dei quali era parte di un impero unito e multiforme – un proclama nel quale si legge tra l’altro: «Voglio fare di tutto per bandire, nel tempo più breve, gli orrori e i sacrifici della guerra e rendere ai miei popoli i benefici scomparsi della pace, non appena me lo permetteranno l’onore delle armi, le condizioni vitali dei miei stati e dei loro fedeli alleati e la testardaggine dei nostri nemici. Io desidero essere per i miei popoli un principe giusto e pieno di affetto; voglio mantenere le libertà costituzionali e gli altri diritti e vegliare con cura alla parità giuridica per tutti. [...] Animato da un profondo amore per i miei popoli, voglio consacrare la mia vita e tutte le mie forze a questo alto compito».
Non si trattava di vuote espressioni di circostanza: uomo profondamente religioso e animato da una forte percezione delle proprie responsabilità di sovrano della Casa d’Asburgo, egli durante tutto il suo breve regno si sforzò con ogni mezzo di raggiungere la pace, ma le sue offerte furono sistematicamente rifiutate dalle forze dell’Intesa. Costretto a combattere una guerra alla quale avrebbe desiderato porre fine – la “prima guerra civile europea”, definita da Benedetto XV “un’inutile strage” –, Carlo prese parte alle operazioni sia sul fronte russo che su quello italiano, dimostrandosi un comandante valoroso e intelligente, sempre attento a lenire le sofferenze dei soldati, le cui vite si sforzò di non mettere mai superficialmente a repentaglio. Pieno di ammirazione per il valore col quale le sue truppe difesero dall’aggressione italiana le valli del Tirolo meridionale, egli, nel 1917, concesse alle milizie territoriali tirolesi la qualifica onorifica di Tiroler Kaiserschützen.
Alla fine della guerra i vincitori vollero far scomparire l’Austria-Ungheria: si trattò di una volontà precisa, dettata da ragioni ideologiche, dal momento che l’impero nel 1914, pur con tanti problemi interni, era in piena vitalità economica e culturale. La saldezza della compagine asburgica fu evidente durante la guerra, nel corso della quale, come ha scritto François Fejtö, «[...] a parte la diserzione di qualche reggimento ceco, l’esercito multinazionale si batté fino all’ultimo per l’impero come patria e non come prigione dei suoi popoli».
Peraltro, a quali risultati abbia portato lo smembramento della duplice monarchia nell’Europa centrale (abbandonata al totalitarismo sovietico e a quello nazional-socialista) e nei Balcani, è cosa a tutti evidente.
Dopo l’esilio in Svizzera e due tentativi di tornare in Ungheria come legittimo sovrano – falliti a causa del tradimento del reggente, l’ammiraglio Horthy –, nel 1921 Carlo e la sua famiglia furono portati sull’isola portoghese di Madeira da una nave inglese; qui, il primo giorno di aprile del 1922, vinto e lontano dalla patria, l’ultimo imperatore concluse il suo pellegrinaggio terreno all’età di 34 anni. Nel 1949 ebbe inizio la sua causa di beatificazione, ancora oggi promossa da un’associazione di preghiera diffusa in tutto il mondo, la Gebetsliga.
Oggi più che mai, la nobile figura dell’imperatore Carlo d’Asburgo, esponente di una dinastia europea più di qualunque altra e sovrano di un impero sovra-nazionale erede del Sacro Romano Impero, rappresenta il simbolo di un’Europa unita che, lungi dall’assomigliare a un mega-stato tecnocratico e ateo, sia fondata sulle nostre radici cristiane.
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