ITINERARIO 1

 

ALLA RICERCA DI SAN CASTO VECCHIO, LA BASILICA PALEOCRISTIANA NASCOSTA SOTTO IL PONTE DELL'AUTOSTRADA

Quattro volte costruita e quattro volte distrutta

 

Le origini della basilica di San Casto Vecchio, risalgono al IV secolo. Essa quasi certamente sorge su una fabbrica ancora più antica: quella di una palestra romana. Nel tardo impero, il recinto divenne area di sepoltura, e verso la fine del IV sec., nella parte sud-ovest, ospitò la primitiva basilica di San Casto Vecchio. Questa all'inizio fu ad una sola navata, a croce commessa, monoabsidata, con muratura in "opera listata" e con arco trionfale in "opera laterizia". Lo spessore della muratura è di circa 60 cm, "a modulo", su due file alterne di due mattoni e due tufelli. L'orientamento del tempio è Nord-Sud, la lunghezza di 29 metri e la larghezza al transetto di 19 metri; 10 metri all'interno del corpo e di circa 11 metri alla fronte esterna. Il tempio fu trasformato in chiesa a tre navate di diseguale grandezza, probabilmente negli ultimi decenni del secolo VIII e i primi del IX. Era costituita di solo tufo, saccheggiato da edifici antichi del posto. Allora fu costruita una seconda facciata, aderente al parametro interno della prima, ed ancorata ai muri delle navatelle. La muratura fu giustapposta a quell'antica. La basilica, così trasformata, dovette essere distrutta con il saccheggio di Calvi negli anni 880-82. Autori del saccheggio furono i Saraceni di Attanasio di Napoli, alleati del famigerato principe longobardo Pandolfo di Capua. Poi fu edificato un terzo tempio che fu anch'esso distrutto in modo tale che non ci è stato possibile rifarne interamente la linea. Questo terzo tempio abbandonò i primi 14 metri, riducendo la struttura a 15 metri di lunghezza per almeno 5 metri di larghezza. Sicuramente dopo il mille abbiamo il quarto tempio costruito, almeno in parte sulla linea del precedente: ne avanza l'intera fronte che a destra sbarra la navatella antica. In questo tempio si trovava la "sedia vescovile" antichissima, con immagini scolpite e con l'iscrizione di San Casto vescovo e martire. (v.Cerbone: Vita e Passione dei gloriosi martiri S. Casto vescovo di Calvi e S. Cassio vescovo di Sinuessa, Napoli 1685, pag.156). Questa sedia, descritta dal Cerbone, è molto diversa da quella che attualmente osserviamo nella cattedrale romanica che non reca immagini né iscrizioni del santo patrono. Ma di essa ignoriamo la sorte. Nell'anno 1685 sappiamo che la basilica di san Casto Vecchio, non è più adatta al culto, per cui entro il1722 venne abbandonata. Poi negli ultimi anni del secolo diciottesimo i coloni dei campi vicini (contro i quali inveisce lo storico Mattia Zona), saccheggiano il materiale del tempio per costruire le loro masserie. Nel 1805 la chiesa ha ancora un ingresso con due immagini semicancellate ai lati. immagini che non esistono più trent'anni dopo. Gli avanzi col tempo si interrano e restano  alla superficie solo parte dell'abside, all'altezza dell'arco trionfale, e parte dei muri della fronte antica. Nel 1960, però durante i lavori per l'attraversamento dell'autostrada del sole il tempio è stato in parte coperto da un gigantesco ponte. Johannowskj, effettuando una serie di sondaggi in vari siti della zona archeologica, nella relazione sugli scavi effettuati rileva:"Nella parte nord dell'edificio, sono stati rinvenuti gli avanzi di una camera sepolcrale absidata con strutture in laterizio ad opera listata. Nell'abside, sotto il pavimento, vi erano quattro sarcofagi con copertura a due spioventi, di cui uno figurato in marmo bluastro, forse microasiatico, misurante m. 2.20 X 088 X 071 di altezza. Lo schema del lato anteriore è quello dei sarcofagi con stagioni, sostituite qui da crates cacciatori di lepri, con al centro due vittorie ai lati di un medaglione rimasto anepigrafo. Sui lati corti vi sono delfini incrociati e il coperchio ha acroteri solo negli angoli anteriori e una modanatura lungo il lato posteriore. La relativa plasticità e organicità, il senso del volume delle figure, in cui sono ancora evidenti i rapporti con il classicismo gallienico, e la notevole attenuazione della linea del panneggio delle vittorie, fanno rientrare il sarcofago nel cosiddetto periodo di transizione fra il 260 ed il 280 d.C. all'incirca. L'assenza dei colori compositivi che si trovano invece nei sarcofagi romani contemporanei e del busto a rilievo nel medaglione di questi ultimi può far pensare ad una officina campana, anche se la qualità del lavoro è discreta". Uno scavo più sistematico ed una relazione più particolareggiata da parte degli organismi preposti, e anche una maggiore sensibilità da parte dei nostri amministratori, sarebbe un dono alla fede dei cristiani dell'antica chiesa di Calvi e non meno all'amore per l'arte della nostra terra. «

 

 

ITINERARIO 2

ALLA SCOPERTA DELLA CATTEDRALE ROMANICA DI SAN CASTO DEL XII sec, d. C.- MONUMENTO NAZIONALE

 

La Cattedrale romanica di San Casto è il monumento più rappresentativo e meglio conservato del Medioevo caleno. L’esame delle sue caratteristiche architettoniche ne fa risalire la costruzione all’ultimo quarto dell’XI secolo, cioè all’epoca in cui era vescovo di Calvi Falcone II e i signori della città erano i conti Landone Scannacavallo con i figli Roberto e Ruggero.

Gli elementi di maggior rilievo che si notano nella cattedrale sono:

“Il portale”

si compone di due pilastri che sorreggono l’architrave su cui si appoggia un arco a tutto sesto; ma la cosa più interessante del portalino della facciata è  costituita dal grosso blocco di pietra ritrovato nei pressi della cattedrale e sistemato sotto l’archivolto. Si tratta di una “lastra di sarcofago” di epoca longobarda (fine VIII –IX secolo), scolpita a bassorilievo.

Nella parte centrale vi è rappresentata una figura togata, probabilmente una nobile longobarda di Calvi, inserita in un grosso medaglione.

Almeno fino al 1685 le tre navate erano separate da due file di colonne di marmo di epoca classica di cui però oggi non si vede più traccia. Al posto di questo doppio ordine di colonne vennero realizzate due file di robusti pilastri rettangolari.

Dopo il transetto, sopraelevato di 5 gradini, si staglia il magnifico “presbiterio”

al centro di questo ambiente, domina in posizione sopraelevata, il settecentesco altare maggiore, realizzato in marmi policromi in un fastoso stile barocco. Ad esso fa da sfondo il coro in legno scuro, disposto a semicerchio.

Fino a qualche anno fa, sul lato destro del presbiterio era collocata la stupenda

“cattedra episcopale”

da molti critici d’arte considerata, insieme all’ambone, una delle più rare e significative testimonianze della scultura romanica in Campania. Lo straordinario trono di marmo è stato datato tra il XII ed il XIII secolo. Il sedile è sorretto da due animali bardati che non si capisce bene cosa siano (forse due tapiri), mentre due leoncini sono collocati alla base del trono, come se fossero a guardia. L’intero manufatto appare chiaramente ispirato a motivi e decori propri dell’arte islamica, arrivata in Campania al seguito dei Normanni di Sicilia. Anche il magnifico

“pergamo”, almeno nella decorazione musiva del frontale della cassa, appare decisamente influenzato da modi di estrazione islamica e bizantina. La cassa dell’ambone poggia su una massiccia lastra marmorea nella cui parte mediana emerge una figura umana stilizzata. Il tutto poggia su due leoncini stilofori, collocati su di una predella marmorea.

La sua parte più nascosta e suggestiva è

“la cripta”

un vasto ambiente sotterraneo che è situato sotto il presbiterio: in essa venivano custodite le reliquie di San Casto.

Le piccole volte a crociera sono sostenute da una nutrita serie di antiche colonne, alcune di marmo, altre di granito, che furono tutte asportate dagli edifici in rovina della circostante area archeologica calena.

Un altro interessante ambiente è  la

“sacrestia”. Qui si trovano affrescati sulle pareti i busti di tutti i vescovi di Calvi. Le loro sembianze sono frutto dell’estro pittorico di Angelo Mozzillo, artista napoletano attivo a Calvi nel 1780.

Il “campanile”, invece, è situato sul margine della fiancata destra della cattedrale, alla quale è raccordato tramite il locale della sagrestia.

Le “tre absidi” che insistono sulla parte posteriore della chiesa, fanno subito notare il caratteristico particolare di archetti pensili –tipico del romanico- usato come cornice decorativa.

La monofora centrale venne occlusa probabilmente nel settecento per ospitare all’interno della cattedrale il grande quadro dell’Annunciazione.