Da Carbusters Magazine n. 14

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INTERNI CONTRO ESTERNI:

UNA QUESTIONE DI SCALA

Di Randy Ghent, trad. Enrico Bonfatti

 

 

            Nelle tradizionali città pedonali del Marocco, gli ambienti interni ed esterni sono costruiti secondo lo stesso ordine di grandezza, quello umano. I corridoi esterni (vie) non sono più larghi di quelli interni, i locali esterni (piazze, raramente dalla forma molto regolare) non sono più ampi di quelli interni (stanze o cortili). Piuttosto che trovarsi di fronte a uno iato secco tra il dentro e il fuori, è spesso difficile capire con certezza dove ci si trova. Spesso un cortile privato sembra essere un ambiente interno, anche se è aperto. E un mercato di strada coperto? E un negozio con tre sole pareti? La linea di confine si confonde, la distinzione perde di significato.

            Nelle città moderne gli automobilisti, gli utenti del mezzo pubblico, perfino i ciclisti si lamentano spesso che camminare risulta troppo lento – ma non perché, come essi stessi pensano, i piedi di cui sono stati dotati sono inefficienti, ma perché la Città Automobile ha distrutto e sostituito l’ambiente urbano nel quale i pedoni prosperano. Sbagliano i pedoni ad interrogarsi sui loro piedi invece che sulla forma distorta della moderna città. Una volta che abbiamo cominciato a deprecare la lentezza delle nostre gambe, siamo seriamente confusi, incapaci di prendere decisioni adeguate sull’ambiente in cui viviamo.

            Basta prendere in considerazione il fatto che, quando ci si trova in ambienti interni, anche enormi come un centro commerciale, nessuno sembra trovare il camminare particolarmente inadeguato. Entrando a piedi in un edificio nessuno avrebbe il coraggio di sostenere che il suo diritto alla mobilità, motorizzata o ciclistica che sia, sia stato calpestato. È semplicemente ovvio, per gli occhi di chiunque, che le attività che si svolgono all’interno degli edifici – parlare, fare la spesa, cucinare, mangiare, spostarsi da un locale all’altro, specialmente se sonnambuli – sono molto più efficacemente soddisfatte se eseguite a passo d’uomo.

            Solo in un ambiente interno enormemente sovradimensionato la gente trova davvero utile aumentare la velocità. (Pensiamo ai grandi ipermercati dove i dipendenti zigzagano sui rollerblade – ma anche qui il vantaggio verrebbe perso nel caso anche i clienti si dotassero della medesima attrezzatura.)

            Quindi perché esiste questa differenza nel metro di giudizio sulla mobilità interna rispetto a quella esterna? Perché accettiamo come normale che l’ambiente interno venga costruito su scala umana mentre la scala sulla quale viene edificato l’esterno è semplicemente alienante – sacrificato tutto alla velocità, alla circolazione e alla sosta degli autoveicoli, svuotato totalmente di vita?

            Come il pesce, incapace di chiedersi alcunché a proposito dell’acqua in cui si trova, troviamo esageratamente difficile intravedere una forma urbana alternativa, in parte perché non ci rendiamo nemmeno conto che qualcosa come “la forma urbana” possa esistere. È molto più facile rifiutare una tecnologia particolare come l’automobile, ancora più facile abbracciare una tecnologia alternativa come la bicicletta. Molti di noi hanno continuato a promuovere l’utilizzo di mezzi alternativi di trasporto come alternativi in se stessi, senza preoccuparsi di creare le condizioni necessarie per un generale favore dell’opinione pubblica verso di essi. Abbiamo dato per scontato che avremmo dovuto occuparci di proporre diverse opzioni al pubblico, come se l’auto e queste alternative esistessero su uno stesso piano – come se uno stesso piano fosse possibile.

            Questo è il punto sul quale dobbiamo riflettere se vogliamo che pedalare e camminare diventino delle modalità di trasporto realizzabili per tutti e non restino la scelta di una piccola e combattiva minoranza di persone “alternative”. Fino a che non sceglieremo la prima possibilità non riusciremo a spostare la nostra attenzione sul problema della forma urbana. Se e quando ci riusciremo il “piano” sul quale giocare la partita non sarà più lo stesso, ma, esattamente come il nostro ambiente interno, sarà decisamente sbilanciato in favore dei pedoni.

            Si può anche lavorare per fare della città un ambiente di compromesso tra automobilisti e pedoni, servendo nessuno molto bene, oppure possiamo lavorare per fare diventare tutti dei pedoni, nello stesso modo in cui la Città Automobile fa diventare tutti degli automobilisti.Le esperienze del turismo suggeriscono che molte persone amerebbero moltissimo passare del tempo in un ambiente pedonale; solamente non vogliono fare i pedoni (o i ciclisti, o gli utenti del trasporto pubblico) in un ambiente a misura di automobile.

            In una città costruita per e intorno all’automobile, la maggior parte delle persone “sceglierà” di guidare. In una città pedonale, “sceglierà” di camminare. Sembra che il miglior modo di cambiare i comportamenti sia quello di cambiare l’ambiente.