Francesco Lomanto

 POPOLAZIONE, VITA CRISTIANA 
E CURA PASTORALE A VILLALBA 
ATTRAVERSO I LIBRI PARROCCHIALI

  Prefazione di Giacomo Martina

 

 

Abbreviazioni

 

ADC - Archivio Diocesano di Caltanissetta

APV - Archivio Parrocchiale di Villalba

LB - Libro dei Battezzati

LC - Libro dei Cresimati

LCron - Libro delle Cronache

LD - Libro dei Defunti

LDen - Libro delle Denunzie

LM - Libro dei Matrimoni

 

 

Prefazione


Da qualche decennio la storiografia ecclesiastica, senza trascurare i temi classici, istituzionali (papato, gerarchia, Chiesa e Stato...), ha rivolto la sua attenzione alla vita concreta del popolo di Dio, prima largamente trascurata. Ci si è chiesti in che misura e in che modo i fedeli credessero, quali fossero le forme di pietà più diffuse, se la loro vita concreta fosse in armonia con la fede... In questa storia socio-religiosa si sono analizzate con cura le fonti essenziali: visite ad limina, visite pastorali, lettere pastorali, sinodi diocesani e provinciali, registri parrocchiali... In questi ultimi anni proprio questi sono stati oggetto di diversi studi, che l’autore ricorda esattamente nella bibliografia che accompagna il suo lavoro.

Il pericolo di queste ricerche è di cadere in particolari secondari, di restringersi in angusti orizzonti, dimenticando il contesto storico generale e i problemi centrali. Mi sembra che l’autore di queste pagine abbia largamente superato questo pericolo: pur dandoci una mole notevole di dati minuti, egli ne coglie il vero significato, e solleva grossi problemi.

Possiamo cogliere così, almeno indirettamente, il quadro storico cui si riferiscono i registri. Siamo in una diocesi piuttosto recente (Caltanissetta è fondata nel 1844) e in un piccolo centro rurale, non troppo distante dal centro diocesano, con una popolazione che in un secolo (1798-1881) si quadruplica, passando da un migliaio ad oltre quattromila.

L’economia era esclusivamente agricola, con le colture tradizionali di grano, vite e ulivi, condotte con i vecchi metodi, non troppo differenti da quelli dei Romani, degli Arabi, dei Normanni: nessuna meccanizzazione, aratri rudimentali, scarsa produzione di grano per ettaro, certo inferiore a quelle rese oggi possibili dalle nuove varietà di frumento, scientificamente selezionate, dall’abbondante concimazione, dalla meccanizzazione. I trasporti erano ancora quelli di sempre: nelle più umili case coloniche non mancava il carretto e almeno un cavallo. Le strade non dovevano essere troppo buone: non conosciamo quanto tempo occorresse per andare da Villalba a Caltanissetta. L’autore non si ferma e non si preoccupa di questo contesto, probabilmente perché gli è troppo noto: ma avremmo desiderato un’introduzione che allargasse e approfondisse il quadro che ho delineato, traendolo da cenni sparsi qua e là in queste pagine.

Possiamo però toccare con mano la vita concreta di questo centro, almeno quella morale-religiosa. Francesco Lomanto ha saputo trarre dai registri parrocchiali (e dai dati anagrafici civili che li completano) dati esatti, centrali, copiosi. L’indice di natalità ha una forte evoluzione, dal 54,02 per mille del 1798, del tutto eccezionale, all’11,15 del 1991; la composizione delle famiglie, nonostante l’alta natalità, resta piuttosto ristretta, con quattro o cinque componenti, data la forte mortalità infantile (la morte e i lutti familiari accompagnavano regolarmente contadini e notabili...); il logorio abbreviava la vita media delle donne, poche delle quali superavano i 65 anni; gli sposi erano giovani, quasi tutti sui venti anni circa; le grandi epidemie di colera (1837, 1867...) falcidiano la popolazione; elevato era il numero di sacerdoti, 1 per 750 abitanti; e frequenti erano i matrimoni tra consanguinei, fenomeno normale e piuttosto frequente, ma indice anche di un orizzonte piuttosto ristretto, di un ambiente chiuso e portato a ripiegarsi su se stesso... L’analfabetismo era ancora elevato all’inizio di questo secolo...

Potremmo continuare a riportare questi dati, ma non vogliamo anticipare né ripetere quello che è detto così bene dal Lomanto. Preferisco fermarmi su alcuni aspetti che emergono con chiarezza da questi registri, e che non sono particolari di Villalba: li troviamo spesso, al Nord e al Sud d’Italia, ma anche in molti altri paesi, di qua e di là dall’Oceano.

Prima di tutto i registri parrocchiali a Villalba risultano tutt’altro che regolari. La parrocchia attuale sorse nel 1848, ma già prima esisteva una certa attività pastorale. E’ quindi normale che i libri dei battesimi e dei defunti comincino col 1785, e quelli dei matrimoni col 1813 (l’autore si mostra più severo su questo fatto, ma vorremmo sapere se le indicazioni relative non siano conservate nel centro parrocchiale vero e proprio, preesistente all’attuale parrocchia). I libri delle cresime comunque cominciano col 1869, gli stati delle anime col 1875. Tutto il mondo è paese, e una trascuratezza, ora relativa ora notevole, nella compilazione dei registri parrocchiali costituisce un fenomeno abbastanza diffuso, non solo in Italia. Sorge spontanea la domanda se i vescovi o i loro delegati in visita pastorale non abbiano insistito su questo punto, o se abbiano lasciato correre. E non possiamo allontanare il sospetto che in molte parrocchie e diocesi lo zelo pastorale dei sacerdoti non fosse proprio intenso. Non dimentichiamo però, a Villalba, la presenza di sacerdoti notevoli, e l’alto numero di vocazioni (che si possono però spiegare in diversi modi, senza escludere del tutto la speranza di promozione sociale in certe famiglie).

Un secondo aspetto, anch’esso non esclusivo della piccola parrocchia siciliana: l’irregolarità nell’amministrazione delle cresime, con lunghi intervalli fra l’una e l’altra, che porta a un elevato numero di cresimandi (un terzo o metà dell’intero paese), trasformando in parte un fatto religioso in un fenomeno di massa, con una preparazione sulla cui efficacia si può discutere. Avveniva lo stesso in Italia e in molte parti del mondo. Avvertiamo queste lunghe vacanze nell’Abruzzo del Sette ed Ottocento, in Sardegna, qualche volta in Puglia. Nell’America Latina alla soglia dell’indipendenza, le lunghe vacanze delle sedi episcopali, e lo scarso numero dei vescovi presenti, le grandi distanze per decenni rendono il fenomeno un fatto stabile. Quando mons. Muzi arriva a Buenos Aires nel gennaio 1824 (missione Muzi-Mastai in Cile,

1823-25), è assalito da gruppi di genitori che approfittano del breve soggiorno del prelato per tentare di far cresimare ad ogni costo i loro figli. La situazione non migliora molto anche dopo l’erezione di una gerarchia stabile. Mons. Vicuna, arcivescovo di Santiago in Cile dal 1833 al 1838, nella visita pastorale al Nord del paese negli anni 1833-38 cresimò in otto mesi oltre 100.000 fedeli, e nella visita al Sud degli stessi anni confermò in cinque mesi 117.092 persone, con una media di quasi 800 al giorno. La preparazione alla cresima si riduceva a una breve conversazione ai fedeli. In Spagna, mons. Ciriaco Sancha y Hervas, ausiliare di Toledo, la sede primaziale dello Stato, dal 1876 al 1882, entrato in carica cominciò a visitare la diocesi: da una cinquantina d’anni nessun vescovo lo aveva fatto, e ancora una volta si ripete il fenomeno delle cresime in massa. Villalba si trovava in una situazione diversa; poca distanza dal centro diocesano, nessuna vacanza di rilievo. Eppure il fenomeno si ripete, come osserva il Lomanto cui rinviamo. E’ dunque certo che i vescovi in molte diocesi si muovevano poco (anzianità, difficoltà di comunicazioni, pigrizia, scarso zelo, poco spirito di sacrificio, altre cause?), e non conoscevano direttamente il popolo loro affidato. E ci si può domandare se il clero locale avesse contatti regolari con il vescovo, o fosse abbandonato a se stesso. Sarei incline a un certo pessimismo. Naturalmente, il problema andrebbe approfondito.

Accanto ai problemi di fondo, ci sono aspetti secondari che fanno sorridere. Anche a Villalba non mancano “esposti”. Non sembrano molti: 9 fra il 1810 e il 1814. Ma i nomi imposti rivelano una certa fantasia, o, se vogliamo, stravaganza (Orso Petronilla, Calamaro Giuseppe...). Fermiamoci su due nomi: una bambina nata nel 1855 viene chiamata Sebastopoli Carolina... Sta per finire la guerra in Crimea, che si è svolta appunto nella zona di Sebastopoli. I contadini e le mammane di Villalba non sapevano con precisione dove era la Crimea (oh, l’ignoranza geografica, tutt’altro che scomparsa ai nostri giorni), né dove era Sebastopoli: ma avevano sentito che laggiù, lontano, in capo al mondo, in un paese dal nome strano si svolgeva una guerra, e ne erano rimasti impressionati. Non esisteva radio né televisioni, giornali ne saranno arrivati a Villalba, ma non tutti erano in grado di leggerli (la stampa era riservata ai notabili, il sindaco, il segretario comunale, il parroco e i viceparroci, i “signori”...). Ma tutti, analfabeti e alfabetizzati, erano rimasti scossi. Più tardi Verga ne I Malavoglia (scritto paradossalmente a Milano e non in Sicilia) racconterà l’eccitazione prodotta ad Aci Trezza dalla vaga notizia della battaglia e della sconfitta di Lissa. Anche nei piccoli centri arriva l’eco dei grandi avvenimenti, e molti ne restano scossi. Non mi meraviglierei di trovare qualche bambino, esposto o no, battezzato in qualche parte d’Italia nel 1896 col nome di Adua... Nel 1860 un esposto riceve il nome di Savoia Vittorio: la coincidenza è fin troppo chiara. L’idea dovette venire certo non a un nostalgico del regime borbonico, ma un “italianissimo”...

Si potrebbero fare altri rilievi... Ricordo solo che l’introduzione del matrimonio civile non viene accompagnata nei registri da segni particolari, come ho avvertito invece nei registri di Pescocostanzo in Abruzzo. Si direbbe che la novità non venne molto avvertita. Purtroppo il parroco non si curò di indicare nei registri la data del matrimonio civile: solo un confronto con i registri civili permette di conoscere la distanza che talora correva fra i due atti, religioso e civile. Si direbbe che il matrimonio civile precedeva quello religioso, con le conseguenze che possiamo immaginare. Lomanto nota del resto che non si può escludere che coabitazione e consumazione seguissero gli sponsali, e precedessero il vero matrimonio.

In genere, uno sguardo attento all’evoluzione dei registri mostra il passaggio dallo stato confessionale borbonico a quello laico italiano. Purtroppo manca nei registri (anche negli stati delle anime) un’indicazione all’effettivo adempimento del precetto pasquale. Restiamo nel campo delle congetture.

Mi permetto in conclusione di esprimere due auguri. All’autore, di proseguire in queste ricerche, appena iniziate, allargandole e approfondendole: troppi interrogativi restano aperti, nel campo puramente socio-civile, come in quello religioso. Questo primo lavoro (che posso considerare con gratitudine al Signore anche come frutto dei corsi seguiti dall’autore nella facoltà di storia ecclesiastica della Gregoriana, e in particolare del corso Aspetti della vita cristiana e della cura pastorale nell’ancien régime e nell’età liberale) fa bene sperare: dunque, avanti... E mi auguro insieme che si moltiplichino queste ricerche, perché varie ipotesi ora avanzate su alcuni problemi di fondo possano essere confermate o smentite, e ci si avvicini a una miglior conoscenza della vita cristiana dei secoli moderni; a una visione sobria e realistica, aliena da ogni trionfalismo ma anche da ogni pessimismo deprimente e infondato.

 

GIACOMO MARTINA S. J.

Roma, Università Gregoriana, Pasqua 1994

 

 

 

Introduzione


I libri dei battesimi, delle cresime, dei matrimoni, dei defunti e dello stato delle anime costituiscono tuttora fonti interessanti per lo studio della vita dei fedeli, la cura pastorale e la dinamica demografica, sociale e culturale della popolazione. 1

Non sappiamo quando comincia l’uso ecclesiastico di registrare battesimi matrimoni e decessi degli abitanti di una parrocchia. E’ certo, però, che tale usanza nei primi tempi era ristretta e lasciata all’iniziativa personale dei parroci, senza che vi fosse una precisa disposizione a riguardo. 2 Le prime disposizioni sui libri parrocchiali risalgono alla penultima sessione del Concilio di Trento, la XXIV, dell’11 novembre 1563: “Habeat parochus librum, in quo coniugum et testium nomina, diemque et locum contracti matrimonii describat, quem diligenter apud se custodiat” e ancora: “Parochus […] in libro eorum nomina (baptizati et patrinorum) describat”. 3  Queste poche e generiche disposizioni del Concilio di Trento, ristrette ai libri dei battesimi e dei matrimoni, furono in seguito delineate più chiaramente - dopo l’iniziativa di S. Carlo Borromeo - 4  da Paolo V con il suo Rituale Romano del 1614, dove prescriveva essenzialmente cinque libri, cioè dei battezzati, dei cresimati, dei matrimoni, dei defunti e dello stato delle anime. 5  In seguito all’emanazione del Rituale Romano anche Benedetto XIV diede delle regolamentazioni con l’enciclica Satis Vobis del 17 novembre 1741 e con la costituzione apostolica Firmandis del 6 novembre 1744, 6 nella quale parla di quattro libri, escluso quello dei defunti. Nel 1920 un decreto del primo Concilio Plenario Siculo 7 - ribadito dal secondo Concilio Plenario Siculo del 1952 8  - stabiliva con il canone 66, che il parroco, oltre ai libri prescritti dal diritto, tenesse anche il libro delle cronache dove annotare gli avvenimenti più importanti della parrocchia.

I vescovi eseguirono le prescrizioni papali nelle loro diocesi e i vari sinodi sollecitano con frequenza i parroci affinché redigano e custodiscano i libri parrocchiali. In Sicilia i vescovi di Agrigento ribadirono tali prescrizioni nei sinodi del 1589, 9 1610, 10  1630, 11 1655 12 e 1703. 13 Inoltre nel 1892 molti decreti di quest’ultimo sinodo furono accolti ed estesi dal vescovo di Caltanissetta, mons. Giovanni Guttadauro (1858-1896), alla sua neodiocesi, 14 costituita nel 1844 15 con comuni per lo più agrigentini, tra cui Villalba.

Dal Concilio di Trento fino alla nascita del comune nel senso moderno soltanto i parroci avevano l’obbligo di provvedere alla registrazione delle nascite, dei matrimoni e dei decessi. Perciò gli atti parrocchiali, oltre che documenti pubblici ecclesiastici, furono considerati veri registri di stato civile. 16  “Si tenga presente che in Sicilia lo stato civile fu introdotto con ritardo, rispetto alla parte continentale del regno: solo con legge del 13 agosto 1819, e la norma andò in vigore col 1 gennaio 1820”. 17 Abolito il loro valore pubblico, gli atti parrocchiali continuarono la loro funzione nell’ambito della Chiesa e conservano tuttora la loro validità, anzi escono ormai dal loro “letargo secolare” e si affermano come fonte di valore per la storia sociale e religiosa. 18

Constatando, a riguardo, i risultati delle feconde ricerche di Gabriele De Rosa sulla storia della Chiesa nel Mezzogiorno, 19 ritengo utile descrivere sommariamente i libri parrocchiali di Villalba 20 e farne alcuni rilievi. Premetto alla descrizione dei libri parrocchiali alcuni cenni sulla condizione dello stato civile.

 

 

1. Libri parrocchiali e cenni sullo stato civile

 

1.1 Lo stato civile

 

L’anagrafe (o stato civile) nasce nel 1820. I registri (nascite, matrimoni, morti e atti diversi) ricordano che tutto si compie a norma delle disposizioni del libro I, tit. 2 e tit. 1, parte I del codice del Regno delle Due Sicilie 21 e del reale decreto del 13 agosto 1819. I registri di atti diversi (di adozione, di ricognizione di figli, delle nascite durante un viaggio di mare, dei defunti fuori domicilio, dei nati morti e di nascita dei “proietti”) coprono quasi tutto l’arco di tempo che va dal 1825 al 1865. Purtroppo, fino al 1866, mancano parecchi libri delle varie serie (probabilmente sono stati distrutti da incendi e da alluvioni). Salvo eccezioni, i registri esistenti della restaurazione sono in buone condizioni, stampati e compilati in modo chiaro e preciso, su carta normale con indicazione di cartiera (filigrane rotonde e ovali raffiguranti stemmi, animali e vari tipi di ancora), rilegati in cartoncino ricoperto alcune volte di cartapecora, ora interamente ora soltanto sul dorso, altre volte ricoperto di tela soltanto sul dorso; i formulari sono sempre stampati e abbastanza ampi. La situazione generale è pari, se non superiore, a quella che si riscontra nei libri redatti dopo il 1866, interamente manoscritti per alcuni anni.

L’evoluzione dello stato civile si presenta come riflesso del succedersi dei regni borbonico e italiano. Dal 1820 accanto all’atto di nascita viene riportata in una colonna l’indicazione del giorno in cui è stato amministrato il sacramento del battesimo. Per il matrimonio i registri di stato civile della restaurazione nel Regno delle Due Sicilie contengono soltanto la notificazione, avvenuta nel comune, della solenne promessa di celebrare il matrimonio in chiesa secondo le norme prescritte dal Concilio di Trento e l’indicazione della seguita celebrazione canonica del matrimonio. Nel 1866 viene meno negli atti di nascita l’indicazione del battesimo e si inizia naturalmente negli appositi libri la registrazione dei matrimoni civili, ferma restando la notificazione delle avvenute pubblicazioni riservate al comune. Nello stesso anno, in tutti i registri scompare il richiamo alle norme del codice del Regno delle Due Sicilie e comincia a comparire il timbro del Regno d’Italia. E infine con il concordato del 1929 la registrazione del solo matrimonio civile viene sostituita dalla trascrizione dell’atto di matrimonio celebrato secondo il rito della “Santa Romana Chiesa”, poiché lo stesso matrimonio produce gli effetti civili secondo le leggi dello stato

 

1.2 I libri parrocchiali

 

Documenti preziosi per la demografia storica e per lo studio dell’attività pastorale, svolta ininterrottamente dai parroci e sacerdoti succedutisi alla guida della parrocchia S. Giuseppe, 22 sono i libri parrocchiali. Questi hanno seguito le travagliate vicende dei trasferimenti della casa del parroco e dell’ufficio parrocchiale fino alla costruzione dell’attuale chiesa, nei cui locali furono trasferiti e conservati. 23 Infine i libri passarono nell’archivio parrocchiale, situato nella casa canonica e tuttora in corso di riordinamento.

Fino al 1991 si conservano sette tipi di libri parrocchiali: libri dei battesimi, delle cresime, dei matrimoni, dei defunti, dello stato delle anime, delle denunzie e delle cronache. I libri dei battesimi e dei defunti cominciano nel 1785, con l’inizio dell’attività pastorale a Villalba; quelli dei matrimoni si aprono col 1813 e quelli delle denunzie col 1831. I libri delle cresime si conservano a partire dal 1869, gli stati delle anime dal 1875 e le cronache dal 1937. Ad eccezione dello stato delle anime e delle denunzie, la registrazione dei vari atti parrocchiali continua ininterrottamente fino ai giorni nostri. I singoli volumi contengono le registrazioni di più anni. I formulari, salvo lievi varianti, sono quelli comuni codificati nelle costituzioni dei citati sinodi agrigentini.

Lo stato dei libri è in discrete condizioni. Sino alla fine dell’Ottocento si trovano in genere volumi lunghi e stretti, 24 ben rilegati con dorso in pergamena e piatti cartonati, e scritti in latino, tranne i libri delle cresime, delle denunzie e degli stati delle anime che sono redatti tutti in italiano. Dagli inizi del Novecento in poi, i volumi sono più larghi (cm. 31 x 21) e più grossi, rilegati con dorso in pergamena o tela e piatti cartonati; i formulari da compilare sono tutti stampati, ampi e scritti in latino per quasi la prima metà del nostro secolo, eccetto quelli di battesimo che arrivano fino agli anni ottanta. Tutti i libri, poi, sono forniti di un indice alfabetico, di numeri di pagine e d’ordine; sono redatti con più o meno cura dai parroci (o da altri sacerdoti collaboratori) in un latino discreto, ma alle volte con grafia scadente. 25 Nel loro complesso reggono bene il confronto con i registri dello stato civile.

Ad evitare inutili ripetizioni, nella descrizione dei vari libri, segnalo adesso le loro caratteristiche generali, e cioè il controllo episcopale durante le visite pastorali, l’indicazione dell’inizio e della fine dell’attività pastorale del parroco, e le formule di apertura e di chiusura dell’anno civile. Innanzi tutto bisogna dire che nulla si legge negli atti parrocchiali del 1844 sul trasferimento di Villalba dalla diocesi di Agrigento alla nuova diocesi di Caltanissetta. Soltanto nell’anno successivo appare il visto del primo vescovo di Caltanissetta, mons. Antonio Maria Stromillo (1845-1858). Dal 1785 al 1844 per cinque volte è stato riscontrato il controllo episcopale nel corso della visita pastorale: nel 1797, nel 1806, nel 1819, nel 1835 e nel 1839. Si trova sempre la stessa formula: “Visitatus Villalbae in cursu Sacrae Visitationis...”, con l’aggiunta del giorno, mese, anno e firma del visitatore, mai quella del vescovo. Soltanto nel 1806 si riscontra un’ammonizione: “Si aggiunga nella nota del Battesimo l’ora in cui è nato il Bambino, scrivendosi: ‘hodie natus hora circiter’ vel ‘hac nocte natus hora circiter’. Visitatus Villalbae in decursu Sacrae Visitationis die 21 aug. 1806. Can.s Carmelo Faraci Visitator”. 26 Pertanto negli anni seguenti la registrazione appare più completa.

Dal 1845 in poi troviamo sedici volte il controllo episcopale (sempre con il timbro e la firma del vescovo, e alle volte anche dei “convisitatori”, tranne nel 1856 e nel 1948 dove appaiono soltanto il timbro del vescovo e la firma del “convisitatore”). Lo troviamo due volte mentre era vescovo mons. Antonio Maria Stromillo (1845-1858), e cioè nel 1845 (“Villalbae die decimaquarta Octobris 18quadragesimoquinto in Sacrae Visitationis decursu. Vidimus, legimus et laudavimus. Antoninus M.a Episcopus”) 27 e nel 1856 (con la seguente ammonizione per gli atti di battesimo: “Vidimus Villalbae in cursu S. Visitationis die 16 8bris 1856, et praecepimus ut in posterum non omittantur quae ad diem nativitatis, legitimitatem natalium, subscriptionem capellani conferentis Baptismum pertinent, et observetur formula in rituali praescripta. Convisitator Can.s Salvatore M.a Speciale”). 28 Un controllo episcopale è fatto da mons. Giovanni Guttadauro (18581896) nel 1881 (“Villalbae die 27a octobris anni 1881 in cursu Sacrae Visitationis. Vidit. Joannes Episc.”). 29 Due sono di mons. Ignazio Zuccaro (1896-1906) nel 1897 (“Villae-Albae. In cursu S. Visitationis die 23 octobris 1897. Adprobamus suprascripta acta. Vidimus. t Ignatius Zuccaro Episcopus et convisitatores...”) 30 e nel 1901 (“Villalbae in cursu Sacrae Visitationis die decimaquinta Maji 1901. Superscripta acta adprobamus. Convisitato res can.s Salvator Gerbino, can.s Michael Natale. Vidimus. Ignatius Episcopus”). 31 Altri due sono di mons. Antonio Augusto Intreccialagli (1907-1921) nel 1908 e nel 1913 (“Vidimus et adprobavimus. Villalbae tempore S. Visitationis... Antonino O.C.D. Episcopus et convisitatores...”). 32 Cinque sono di mons. Giovanni Jacono (1921-1956) nel 1922, nel 1928, nel 1934, nel 1942 e nel 1948 (in genere si riscontra: “Vidimus et adprobavimus in S. Visitatione... Joannes Episcopus”). E tre di mons. Francesco Monaco (1956-1973) nel 1958 (con ammonizione in latino per gli atti di battesimo e in italiano per gli atti di matrimonio, defunti e cresime), 33 nel 1965 e nel 1969 (“Vidimus...”). E infine si incontra il visto dell’attuale vescovo mons. Alfredo Maria Garsia nel 1978. Se negli ultimi decenni troviamo un semplice visto, nella visita pastorale del 1990 viene a mancare anche questo.

 

Per quanto concerne, poi, l’inizio e la fine dell’attività pastorale dei parroci - oltre alle notizie approssimative che si possono ricavare dalle registrazioni degli stessi atti - raramente incontriamo formule come questa: “Dies septima Octobris Dominica SS. Rosari signat initium Parochatus Iosephi M. Vizzini 1849” 34 e “Anno Incarnationis Millesimo Octingentesimo Sexagesimo Tertio die vigesima mensis Novembris [...] muneri suo Parochiali [...] Sac. Emmanuel Insinna Sacrae Theologiae Doctor... iam Parochus Ecclesiae quae est Villalbae finem imponit”. 35

 

L’inizio e la fine di ogni anno civile sono contraddistinti invece da formule stereotipate scritte con caratteri grandi, pieni e alle volte ornati. Così all’inizio: “Incipiunt acta baptizatorum (o matrimoniorum, ecc.) communitatis Villalbae pro Anno Domini...”, 36 più l’indicazione dell’anno (in cifre romane o arabiche o in lettere) e spesso anche dell’indizione. Si può trovare anche: “Initium Anni Domini...” o soltanto “Initium Anni...” o ancora “Anno Domini...”. L’indicazione dell’anno figura anche all’inizio di ogni pagina che contiene da quattro a sei atti. Poi la fine di un anno è segnata da espressioni come queste: “Laus Deo nostro”, “Finis Anni...” o semplicemente “Finis”. Alle volte si incontra una vera formula di chiusura dell’anno, come ad esempio: “Vidi et recognovi statum baptizatorum (o mortuorum, ecc.) a Januario ad Decembrem mensem huius anni [...] in numero...”, 37 seguita dalla firma e dal timbro del parroco.

 

1.2.1 Libri dei battesimi

 

I libri dei battesimi esaminati dal 1785 ad oggi sono complessivamente, senza alcuna interruzione per mancanza di volumi, ventinove. Ciascun registro porta sul dorso in cartapecora e sul superiore dei piatti cartonati il titolo Liber Batzizatorum ab anno Domini... usque ad..., con il numero del volume e l’indicazione del periodo compreso dagli atti.

Fino al 1913 i volumi sono interamente manoscritti. La scrittura di diverse mani, in corsivo, con inchiostro normalmente marrone, è quasi sempre leggibile. Il formulario degli atti è pressoché identico: data, officiante (parroco o altro sacerdote), chiesa, “baptizavi infantem hodie (o pridie, hac mane, hac nocte, summo mane, praecedente nocte) natum hora circiter [...] ex”, nome dei genitori, con l’indicazione dell’eventuale provenienza (spesso si trova “filium/am legitimum/am et naturalem” oppure per gli illegittimi “ex illegitimo coitu”, “ex illegitima copula”, “ex incerto patre”, “ex parentis ignotis”), nome del battezzato (scritto con caratteri molto evidenti o sottolineato), nome dei padrini (in genere due o anche uno) e spesso nome della praticona locale (che assisteva al parto, “mammana”, e quasi sempre fungeva da madrina, “commare”, o amministrava il battesimo in casa “ob imminens mortis periculum” del neonato), “ad fidem”, generalità del parroco. Dalla fine del 1835 fino al 1845 appare il riferimento all’anagrafe (“status civilis die ut supra”, “status civilis et responsio die ut supra - o - eodem die”), ricompare soltanto nella seconda metà del 1848 (è riportato solo il numero d’ordine dello stato civile), ma poi scompare del tutto. Poco frequentemente è annotato l’avvenuto matrimonio religioso accanto all’atto di battesimo.

Dopo il 1912 i formulari sono stampati sempre identici con scarse varianti fino al 1982: “Anno Domini Millesimo Nongentesimo... Die... Mensis... Ego... in... solemniter baptizavi infantem natum die... ex legitimis coniugibus... cui impositum fuit nomen... Patrini fuere... Sac...”. Accanto all’atto di battesimo è prevista l’indicazione del matrimonio religioso, alla quale il parroco aggiungeva diligentemente anche quella della morte e della confermazione. Per quanto riguarda l’indice di natalità si confronti il secondo capitolo.

 

1.2.2 Libri delle cresime

 

Non si conservano registri delle cresime anteriori al 1869. Ma a partire da questo anno fino ad oggi abbiamo senza interruzione una serie di otto volumi. Il primo volume porta in alto sul dorso (in cartapecora) la scritta Registro di cresima e il disegno di una colomba nell’atto di discendere dall’alto. Sul frontespizio viene precisato il titolo: Registro a tallone della cresima tenuta... dall’Ecc. Monsignor Giovanni Guttadauro, vescovo di Caltanissetta, nell’anno 1869. In effetti il registro contiene l’elenco dei cresimati in Villalba e Vallelunga dal 10 al 19 novembre del 1869 38 - come si legge alla fine di un fascicoletto “suppletorio al magistrale” - e altre sei registrazioni di cresime di cui due conferite a Caltanissetta nel 1879 e quattro a Mussomeli nel 1881. In ogni pagina, in alto da sinistra verso destra, in senso orizzontale sono indicati:

Numero d’ordine

Cognome e nome del cresimato

Paternità del cresimato

Luogo della nascita

Domicilio

Padrino o madrina

Giorno della cresima

Ogni pagina contiene otto registrazioni. I cresimati nel 1869 sono 1210 (secondo le statistiche ufficiali nel 1861 Villalba conta 3353 abitanti), tutti domiciliati a Villalba, eccetto una ventina provenienti dai paesi vicini. Purtroppo non è indicata l’età dei cresimati. Inoltre manca l’indice e la numerazione delle pagine.

Seguono altri tre volumetti, anch’essi senza indice e senza numerazione di pagine. All’inizio e alla fine di questi volumetti è scritto: “Cresimati dal 24 al 28 ottobre 1881 dall’Ecc.mo Mons. Giovanni Guttadauro, vescovo di Caltanissetta”. In ogni pagina, in alto, si legge: “Stato dei fanciulli e delle fanciulle di Villalba da cresimarsi nel 1881”, e un po’ sotto da sinistra verso destra, segue generalmente questo schema:

Numero progressivo

Cognome e nome

Paternità maternità

Anni

Padrino o madrina

Ogni pagina contiene dieci registrazioni. I cresimati sono 1294 (Villalba nel 1881 conta 4181 abitanti). Seguono al lungo elenco altre sette registrazioni di cresime conferite fuori di Villalba nel 1883, nel 1884, nel 1886 e nel 1889.

Il quinto volume contiene gli elenchi dei cresimati da mons. Ignazio Zuccaro nel 1897 e nel 1901: nel primo elenco abbiamo 1019 registrazioni, di cui 609 numerate e 410 non numerate; nel secondo elenco 434 registrazioni tutte numerate. Il volume presenta le stesse caratteristiche dei tre precedenti.

Il sesto volume ricorda innanzi tutto che le cresime sono state conferite dal vescovo di Caltanissetta negli anni: 1908 (194 cresimati), 1913 (278), 1922 (447), 1928 (187), 1934 (171), 1942 (734), 1944 (90), 1948 (423),1956 (456). Inoltre appare che dal 1912 al 1934 mons. Giuseppe Scarlata, vescovo di Muro Lucano (1911-1935), originario di Villalba, in varie riprese amministrò 686 cresime; e anche mons. Giuseppe Vizzini, 39 vescovo di Noto (1913-1935), originario pure di Villalba, ne amministrò 45 nel 1923 e 2 nel 1926.

Gli ultimi due registri non contengono schemi o elenchi, ma formulari. Son ben rilegati, ma non sempre compilati in modo chiaro e preciso. Da essi emerge che la cresima è amministrata con una certa periodicità.

 

1.2.3. Libri degli stati delle anime

 

Abbiamo due stati delle anime: uno del 1875 e l’altro del 1920. Entrambi sono aggiornati per oltre un decennio.

Il primo è contenuto in un volume di 305 pagine numerate, e 93 non numerate successive, dal titolo: Libro dello stato delle anime di Villalba dal 1875 a... Il paese è diviso per vie e sezioni. In alto, dalla pagina sinistra verso la destra sono indicati:

Via, sezione e numero civico

Numero di (famiglia e individui)

Cognome, nome, paternità

Stato (coniuge, vedovo, celibe)

Età

Condizione (civile, agiata, borghese, artigiana, operaia, povera)

Cresima

Comunione pasquale

Condotta morale (buona, mediocre, cattiva)

Variazioni

Purtroppo non sono state compilate le voci sulla condizione e la condotta morale. In genere una pagina contiene la registrazione di più famiglie, e per ogni famiglia sono elencati: prima il “capo di casa”, poi la moglie, i figli e - in alcuni casi - anche i parenti.

Il secondo stato delle anime consta di tre volumi, ciascuno di oltre 1000 pagine, dal titolo: Anagrafe o Stato delle anime. Il primo volume contiene i nomi che vanno dalla lettera A alla F, il secondo dalla G alla Q, il terzo dalla R alla Z. Per ogni stato di famiglia appare uno schema (disteso in due pagine, dalla sinistra alla destra), in vari punti diverso dal precedente. In alto, nella metà interna delle due pagine, si trova il numero e il nome della famiglia; un po’ sotto, da un estremo all’altro, il titolo della parrocchia, il nome del rione e della via, il numero civico, la condizione della casa e il piano. Sotto ancora, dalla pagina sinistra alla destra, in senso orizzontale, sono indicati:

Numero d’ordine

Relazione con il capo famiglia

Cognome e nome dei componenti la famiglia

Nome del padre, cognome e nome della madre

Luogo della nascita

Data della nascita (giorno, mese, anno)

Data del battesimo (giorno, mese, anno)

Data della cresima (anno)

Data della prima comunione

Luogo del matrimonio

Data del matrimonio (giorno, mese, anno)

Condizione, professione, mestiere

Istruzione (Sa leggere? Sa scrivere?)

Data della morte (giorno, mese, anno)

A parte le voci “professione” e “istruzione”, tutte le altre in genere sono compilate. Interessanti sono quelle relative alla data di nascita, battesimo, cresima e comunione per un’indagine sulla prassi seguita nel conferire i sacramenti della iniziazione cristiana. Risulta impossibile, però, con i soli libri dello stato delle anime, ricostruire esattamente il movimento demografico, sia per la mancanza di stati delle anime fino al 1875, sia per i diversi criteri adottati dai parroci nella compilazione di essi. Pertanto completeremo il nostro studio sulla demografia storica con i dati offertici dalle statistiche ufficiali e dai censimenti dello stato italiano.

 

1.2.4 Libri delle denunzie

 

Per gli anni 1831-1918 si conservano anche tre libri di denunzie. Essi contengono le notizie delle pubblicazioni di matrimonio, 40 di professione religiosa e di ordinazione (suddiaconale, diaconale e presbiteriale), che avvenivano nelle messe solenni di tre giorni festivi continui, prima delle relative celebrazioni. Ogni registrazione riporta ordinariamente, all’inizio o accanto, nel corpo o alla fine, tutte e tre le date delle rispettive pubblicazioni; oppure in via eccezionale una sola data accompagnata dalla scritta: “Una pro tribus”. Il formulario è in italiano con espressioni latine e dialettali; esso differisce un po’ secondo il tipo di pubblicazione. Per le denunzie di matrimonio il formulario è il seguente: “Si fa denunzia di matrimonio da contrarsi tra... schetto (o celibe), figlio legittimo e naturale di... e di... (o figlio di ignoti), jugali di Questa (cioè comune di Villalba). E... nubile, figlia legittima e naturale di... e di... (eventuale provenienza dei genitori), jugali di Questa. Se qualcuno conoscesse qualche legittimo impedimento è tenuto a rivelarlo alla Corte Spirituale”. Quando la pubblicazione è per uno solo dei contraenti, allora si registra: “Denuncia di matrimonio di... figlio/a di. . e di... promesso/a sposo/a in”, nome della città o paese, “con un/a certo/a...”. Alla fine sono ricordate anche le dispense vescovili, pontificie (o della “Regia Monarchia e Apostolica Legazia pro Sicilia” prima del 1867). Più frequenti risultano i casi di dispensa dall’impedimento di consanguineità in secondo o terzo grado. Inoltre si trova spesso l’annotazione dell’avvenuto matrimonio con le seguenti specificazioni: data, “sposati dal Vicario... e benedetti dal Parroco... (oppure sposati e benedetti da), testimoni...”. Spesso tra i testimoni figura il sacrista.

Per le denunzie delle ordinazioni e delle professioni religiose il formulario è più semplice: “Si fa noto al pubblico che il chierico accolito (o suddiacono, o ancora diacono) figlio dei coniugi... di questa parrocchia, ascenderà al Sacro ordine del suddiaconato (diaconato, presbiterato)”; oppure: “Si fa noto a tutti che il giovane (o la giovane)... figlio/a di... entrerà in religione”. Anche in questa registrazione è indicata alle volte la dispensa di qualche impedimento, per esempio: “dispensa pontificia pel difetto di età canonica”. 41 Infine, accanto alle varie registrazioni, si incontra spesso l’annotazione: “Soddisfatti (o pagati) i cappellani e il sacrista”. I volumi riportano alcune volte anche il controllo episcopale.

 

1.2.5 Libri dei matrimoni

 

Abbiamo in tutto quattordici registri. Ciascun atto contiene: la data, la notizia delle eventuali dispense e delle avvenute pubblicazioni (“tribus denunciationibus praemissis diebus festivis continuis de praecepto solitis et a Concilio Tridentino 42 ordinatis in missa parochiali die...”), nome del sacerdote officiante, la chiesa in cui si svolge la cerimonia, nomi degli sposi (con la specificazione “filium/am legitimum/am et naturalem ex”), paternità e maternità, nomi dei testimoni. Per gli sposi e i testimoni forestieri è indicata la provenienza. La solita formula menziona fino al 1929 la solenne promessa e il successivo matrimonio 43: “Solemniter per verba de praesenti matrimonio coniunxi”; e “Postea eis ex ritu S. Matris Ecclesiae in Missae celebratione benedixit Sac....”. Purtroppo l’età degli sposi non è sempre indicata, appare quasi sistematicamente soltanto dal 1866 44 in poi. Negli atti dal 1836 al 1865 leggiamo anche: “atque praevia promissione coram officiali status civilis sub die... huius anni currentis”, e il numero d’ordine del registro dello stato civile.

Nel 1866 non troviamo nessun segno che alluda all’introduzione del matrimonio civile 45 e nessuna nota accanto all’atto del matrimonio religioso che ricordi la celebrazione del rito civile. Confrontando però gli atti parrocchiali con quelli dello stato civile risulta che in genere la celebrazione del rito civile precede quella religiosa di qualche giorno (uno, due, tre o una settimana), raramente di un mese o più. A partire dal 1866 per un decennio appare anche la menzione: “et Genitorum sponsi/ae habito assensu”, secondo l’ammonizione del parroco. 46 E’ probabile che da questo provenga l’espressione dialettale “Patri sì” per indicare ancora oggi il processino matrimoniale.

Infine con il Concordato del 1929 è indicata, accanto alI’atto di matrimonio, l’avvenuta trascrizione nei registri dello stato civile.

Assieme ai libri dei matrimoni si conserva anche un volume di 72 pagine numerate e 322 non numerate successive, di cui 106 con formulari non compilati, dal titolo: Sponsali dal 1908 al 1929. Esso contiene la registrazione delle scambievoli promesse di matrimonio che si davano i contraenti con l’impegno di celebrare il matrimonio entro due mesi. Tale registrazione si conclude con la firma dei contraenti, del parroco e frequentemente con la seguente annotazione - prevista dal formulario -: “i contraenti (o uno dei contraenti) non firmano perché analfabeti”. Il volume porta anche i visti dei controlli episcopali durante le visite pastorali.

 

1.2.6 I libri dei defunti

 

Diciassette registri in tutto, contenenti sin dall’inizio anche gli atti dei bambini morti in tenerissima età. I dati risultanti da ciascun atto sono: la data, il nome e il cognome del defunto, la famiglia, l’età, il luogo della sepoltura e i sacramenti ricevuti. Dal 1832 al 1838 è riportata l’ora esatta della morte e della sepoltura (ore 2, ore 3... ore 23, ore 24). 47 Dal 1836 al 1845 appare quasi sistematicamente una nota con l’indicazione del giorno, mese e anno del relativo registro dello stato civile. E in genere è scritto: “eodem die” o “die quo supra”. Fino al 1913 gli atti sono interamente manoscritti con formule più o meno ricche. Le più ricorrenti sono:

“...in C(ommunione) S(anctae) M(atris) E(cclesiae) animam Deo reddidit...”;

“...in C.S.M.E. obiit...a; “...in C.S.M.E. efflavit animam...”;

“...in C.S.M.E (o ‘in Domino’) obdormivit...”;

“...in Domino quievit...”; “...vitam commutavit...”;

“...animam eius Deo commendavi...”;

“...mortuus est in C.S.M.E....”;

Altre varianti usate per tutti ma particolarmente per i bambini sono:

“...anima eius evolavit in caelum...”;

“...ab hac vita migravit...”;

“...ad Dominum migravit...”.

Raramente leggiamo: “nullis sacramentis munitus quia repentino morbo correptus”. Dopo il 1913 i formulari sono stampati e sempre identici fino al 1942, anno in cui appaiono quelli in italiano. Per quanto riguarda la mortalità infantile si confronti la seconda parte.

 

1.2.7 I libri delle cronache

 

Due, complessivamente, i libri delle cronache esaminati dal 1937 ad oggi, con la sola interruzione 1943-1950.

Il primo comprende il periodo 1937-1971. E’ rilegato con dorso in tela e piatti cartonati. Sul superiore del libro è il titolo: Cronache della Parrocchia di Villalba dal 1937. La compilazione venne iniziata da mons. Giovanni Vizzini - appena fu nominato parroco di Villalba (1937-1952) dopo aver lasciato l’ufficio di vicario generale della diocesi di Muro Lucano - e continuata dal sacerdote Alfonso Iucolino, prima in qualità di vicario adiutore (1951-1952), poi in qualità di arciprete (1953-1989).

Il secondo (1972-1991), rilegato in brossura, porta il titolo Cronache Parrocchiali sul frontespizio. Esso comprende anche un allegato di sette fogli, dattiloscritti dall’arciprete Alfonso Iucolino, in cui sono raccolte alcune notizie sui parroci e sacerdoti villalbesi del Novecento.

Entrambi sono redatti accuratamente, con precisazioni cronologiche, in un italiano corretto e con grafia discreta. L’inizio e la fine di ogni anno è segnata da espressioni particolari: “Anno...”, “A(nno) D(omini)...”, “Procedamus in pace in nomine Christi. Amen” e “Deo Gratias”, “Deo Gratias et Virgini Mariae”, “Benedicamus

Domino”. I libri descrivono gli avvenimenti più rilevanti della parrocchia:

- le celebrazioni dell’anno liturgico: feste del Signore, della Madre di Dio e dei santi (con i rispettivi tridui, ottavari e novene); avvento, quaresima, triduo pasquale e settimana santa (con le varie tradizioni locali);

- le devozioni all’eucarestia (le quarantore), al Sacro Cuore di Gesù (mese di giugno), alla beata Vergine Maria (mese di maggio e mese di ottobre) e al patrono S. Giuseppe, festeggiato tuttora due volte l’anno: il 19 marzo e la terza domenica di agosto;

- le processioni, i pellegrinaggi e la pietà popolare;

- le visite pastorali;

- le missioni cittadine;

- l’ordinazione e la morte dei sacerdoti villalbesi con cenni biografici;

- le visite del parroco agli emigrati;

- le attività dell’Azione cattolica, delle confraternite (Immacolata Concezione, SS. Sacramento, Maria Gesù Giuseppe, Maria SS. Addolorata e Maria SS. Annunziata) e degli istituti religiosi (suore eucaristiche mercedarie, suore ancelle riparatrici, suore francescane del Signore);

- i lavori di ristrutturazione delle chiese;

- le osservazioni varie sullo stato della parrocchia.

A tutto questo si aggiungono le notizie che riguardano la diocesi (morte e nomina dei vescovi, celebrazioni, disposizioni e ricorrenze particolari), la Chiesa Universale (morte ed elezione dei pontefici, celebrazioni e viaggi del S. Padre trasmessi per radio e televisione) e la nazione (la seconda guerra mondiale, elezioni politiche). Nulla emerge però della convocazione del Concilio Vaticano II e del lavoro dei padri conciliari. Soltanto nel 1965 sono annotate alcune istruzioni che il parroco ha dato ai fedeli sulle nuove disposizioni liturgiche della messa. Inoltre il volume riporta incollata tutta una serie di articoli sulla vita parrocchiale e diocesana tratti dal Giornale di Sicilia e da Sicilia del Popolo.

 

 

2. POPOLAZIONE, VITA CRISTIANA E CURA PASTORALE

 

2.1 Osservazioni generali

 

L’esame condotto sui libri parrocchiali e sui registri dello stato civile o anagrafe suggerisce alcune osservazioni. E’ interessante notare prima di tutto l’influsso che la rivoluzione francese e il regime napoleonico hanno esercitato, a distanza di pochi anni, anche in un piccolo paese dell’entroterra siculo, malgrado l’intera isola non avesse conosciuto il dominio francese. Dal 1820 Villalba possiede il proprio stato civile ben organizzato e, per certi aspetti, se non superiore, almeno pari a quello attuato poi dal Regno d’Italia. 48 Si pensi ad esempio all’introduzione dei registri per gli atti diversi di stato civile durante la restaurazione e alla loro scomparsa dopo il 1865. L’evoluzione dello stato civile riflette - come si è detto - le caratteristiche dei due regimi: allo stato confessionale borbonico succede il nuovo stato che si afferma sempre più laico. Si notino in proposito i cambiamenti già osservati nella registrazione della nascita e del matrimonio. 49

Per quanto riguarda i libri parrocchiali, si è potuto già notare la natura diversa degli atti. Essa dipende dalla personalità dei singoli parroci, dalla loro sensibilità, preparazione e capacità. In genere i libri sono tenuti con una cura che denota una discreta cultura e una certa sensibilità dei parroci. Tuttavia in certi periodi non mancano i consueti danni: lacune, disordine e cattiva conservazione. Nulla può giustificare l’assenza di libri di matrimonio per il periodo anteriore al 1813, segno questo di trascuratezza e negligenza. Questa negligenza è indizio anche di scarso zelo pastorale o denota soltanto l’inesperienza amministrativa dei parroci? Non lo sappiamo. I visitatori (vescovi, vicari foranei o altri ecclesiastici delegati “ad actum”) che controllavano i libri, hanno avvertito queste lacune, hanno preso provvedimenti? La domanda rimane aperta come la prima. In ogni modo il materiale esistente permette alcuni rilievi di carattere religioso e demografico. Pertanto vedremo adesso, nelle pagine seguenti, quali spunti offrono i libri parrocchiali per lo studio della popolazione, della vita cristiana e della cura pastorale. Oltre i registri comunali, terremo presenti anche gli atti dei sinodi agrigentini e dei concili plenari siculi.

 

2.2 La popolazione e i registri parrocchiali

 

Esponiamo qui alcune osservazioni sui fenomeni demografici: nascita, mortalità, nuzialità e composizione della famiglia. La nostra indagine, a riguardo, si limita ai libri dei battesimi, dei defunti, dei matrimoni, degli stati delle anime e delle cronache. 50

 

2.2.1 Battesimi

 

L’arco di tempo coperto dagli atti di battesimo consente un esame dell’andamento delle nascite in tutto il periodo da noi considerato. Un semplice sguardo alla Tav. I ci fa notare come - dopo il primo decennio 1785-1794 di natalità molto bassa (29,3 di media all’anno) - si ha un periodo, dal 1795 al 1884, in cui i valori tendono decisamente a salire fino ad arrivare ai 191,3 di media del decennio 1875-1884. Dal 1885 ad oggi i valori si invertono, cioè tendono a scendere, con la sola eccezione del decennio 1925-1934 in cui si avverte un incremento (144,8 di media annuale), seguito però da un nuovo calo nel decennio successivo (122,0 di media). In questo arco di oltre un secolo (1885-1991), a differenza della punta massima del periodo 1875-1884 si giunge alla punta minima di 26,8 di media del decennio 1975-1984.

Consideriamo adesso il movimento della popolazione nel periodo 1798-1991, risultante dalle statistiche ufficiali e dai censimenti dello stato italiano 51 (vedi Tav. II). Dall’esame di questa tavola appare evidente come le nostre cifre non discordano molto con quelle ufficiali: le nascite, come la popolazione (eccetto il lieve calo demografico nel 1837, quando il colera causò numerose vittime in tutta la Sicilia), registrano un continuo incremento dall’inizio del periodo considerato fino agli ultimi decenni del secolo XIX, toccando nel 1881 un massimo di 4181 abitanti e un indice di natalità del 42,33 per mille. Da questo momento in poi i valori tendono a scendere fino al secondo decennio del nostro secolo, con l’eccezione di un incremento demografico nel periodo 1901 - 1911. Nel 1921 su una popolazione di 3505 abitanti, abbiamo un indice di natalità del 31,95 per mille. Il trentennio 1921-1951 vede aumentare enormemente la popolazione fino a raggiungere il massimo assoluto nel 1951 di 4932 abitanti (l’indice di natalità è però diminuito: 23,31 per mille). Un incremento si nota pure per le nascite come si è detto - nel periodo 1925-1934. Nel 1931 abbiamo una popolazione di 3924 abitanti e un indice di natalità del 35,16 per mille. Purtroppo dopo questi periodi di incremento, le nascite, come la popolazione, registrano un pesante calo fino a toccare nel 1991 un minimo di 2152 abitanti con un indice di natalità dell’11,15 per mille. Il calo demografico del ventennio 1881-1901 e del decennio 1911-1921 va messo in relazione con le ondate emigratorie 52 e, per il secondo periodo, anche con lo scoppio della prima guerra mondiale. L’andamento demografico di Villalba sarebbe stato comune a quello di tutta l’Europa dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento. Dice infatti Roberto Almagià: “In 130 anni la popolazione d’Europa è cresciuta, in totale, da 188 milioni, nel 1800, a circa 500 milioni nel 1930 [. . .]. L’incremento, rallentato nel decennio 19101920 a causa della guerra, che ha determinato la perdita di almeno 7 milioni di combattenti, e un aumento di mortalità nella popolazione civile, che è altissimo nel 1918, ha ripreso con ritmo accelerato nel decennio 1920- 1930, manifestandosi in misura diversa nei vari stati.” 53

Un altro aspetto interessante che possiamo studiare attraverso gli atti di battesimo è quello della natalità ripartita per mesi. Ciò è possibile - per il Sette e Ottocento - poiché il neonato veniva portato in chiesa per il battesimo nel giorno stesso della nascita o in quello successivo, o al massimo dopo tre giorni, come appare dall’annotazione della duplice data di nascita e di battesimo. Abbiamo esaminato, a titolo esemplificativo, 2693 atti di due periodi diversi, e cioè dal 1811 al 1820 e dal 1861 al 1870 (vedi Tav. III). Osservando le cifre del primo periodo, notiamo: minimi di natalità nei mesi di aprile, maggio, giugno e luglio, perciò concepimenti in luglio, agosto, settembre e ottobre; massimi in gennaio, marzo, settembre e dicembre con concepimenti in aprile, giugno, dicembre e marzo. Se osserviamo invece le cifre del secondo periodo avvertiamo più chiaramente, per le nascite, un decremento primaverile-estivo e un incremento autunnale-invernale, e ovviamente per i concepimenti un decremento estivo-autunnale e un incremento invernale-primaverile. Tenendo presente che l’economia di Villalba, specialmente in questi periodi, si sostiene sulle attività agricole, con coltivazioni di cereali, ortaggi, vite e olio, possiamo considerare l’incidenza del lavoro agricolo sui concepimenti. 54 In questo senso la Tav. III segnala per il primo periodo una limitazione dei rapporti tra concepimenti e pause agricole stagionali, in quanto l’addensamento massimo dei concepimenti si riscontra in giugno, cioè in un mese in cui la popolazione villalbese è molto impegnata nell’agricoltura (lavoro nei vigneti e inizio della mietitura); mentre ci mostra una forte incidenza nel secondo periodo poiché il decremento estivo-autunnale corrisponde ai mesi in cui l’agricoltura richiede maggiori lavori (raccolta dei cereali, preparazione e semina dei terreni, vigneti e oliveti).

In tempi recentissimi, quando ormai i bambini vengono battezzati a distanza di mesi dalla nascita, c’è stato possibile esaminare anche la variazione stagionale dei battesimi. Nel quarantennio 1951-1990 abbiamo calcolato 2060 battesimi con massimi nei mesi di agosto (250), gennaio (202), settembre (201) e dicembre (200); e minimi in maggio (117), novembre (118), aprile (142) e giugno (142). Per gli altri valori vedi la Tav. IV. La media è di 41 battesimi all’anno, più di 3 al mese. Il dato più evidente è la rarefazione dei battesimi in novembre, soprattutto nel ventennio 1971-1990, perché, essendo “il mese dei morti”, secondo le credenze popolari, potrebbe avere funeste conseguenze per coloro che in questo mese ricevessero il battesimo.

Per quanto riguarda il sesso abbiamo esaminato 8153 battesimi di tre periodi diversi e cioè dal 1833 al 1848, dal 1862 al 1874 e dal 1928 al 1991. Ne risultano, per il primo periodo, 965 maschi, con una percentuale del 49,26% e 994 femmine, con una percentuale del 50,74%; per il secondo periodo, 1088 maschi e 1088 femmine; e per il terzo 1642 maschi, con una percentuale del 40,88% e 2375 femmine, con una percentuale del 59,12%. Sono evidenti la lieve prevalenza femminile nella prima metà dell’Ottocento, la parità nel secondo Ottocento, e la notevole prevalenza femminile nel nostro secolo.

Non è raro, poi, il caso di figli di genitori ignoti, 55 specialmente nell’Ottocento. Soltanto nel quinquennio 1810-1814 risultano nove casi. Di essi molto curiosa è la loro onomastica. 56 L’indagine condotta sui libri di battesimo e sui registri comunali di nascita dei proietti ci mostra come “parroci, segretari comunali, mammane e impiegate della Ruota si sbizzarrivano a creare nomi stravaganti tratti dalla storia, dalla geografia” 57, dall’astronomia, dalla zoologia, dal calendario, ecc. Ne diamo alcuni esempi. Dagli atti dei battesimi e di nascita dei proietti emergono:

 

Bergamo Apollonia (1831) - Verona Filippa (1832) - Promiscuo Didaco (1833) - Villalba Benedetto (1836) - Panaro Salvatrice (1838) - Urso Petronilla (1838) - Barabba Pietra (1841) - Stella Vincenzo (1849) - Calamaro Giuseppe (1853) - Miccichè Salvatore (1855) - Sebastopoli Vincenzo e Sebastopoli Carolina (1855) - Crimea Calogero (1856) - Morreale Ignazia (1857) - Prizzi Francesco (1857) - Romano Innocenzo (1857)  - Sventura Salvatore (1857) - Straniero Liborio (1858) - Bonanno Erminia (1859) - Speranza Carmela (1859) - Savoia Vittorio (1860) - Polizzi Beatrice (1860) - Calabria Fortunato (1861) - Paternò Giuseppe (1861) - Nizza Salvatore (1865) - Caprera Salvatore (1865) - Palestro Salvatore (1866) - Spoleto Maria (1866) - Caio Anselmo (1869) - Di Marzo Carmelo (1873) - Invento Salvatore (1874) - Di Maggio Luigia (1875) .

 

Dai libri dei defunti emergono anche:

Grado Calogera (1854)  - Belmonte Salvatore (1868)  - Avventurato Disma (1872) - Biancavilla Rosalia (1872)  - Esposito Martino (1883) - Orfeo Vincenzo (1891) - Settembrino Augustino (1891) - Di Dio Grazia (1895) .

 

Liste simili di nomi e cognomi assegnati agli esposti sono comuni nel Mezzogiorno, come mostrano gli studi già citati di Gabriele De Rosa e di Rocco Liberti.

 

ll dilagare di questi nomi presi in prestito da ogni parte, dalla storia alla metereologia, può spiegarsi con il fatto che, dopo l’introduzione del codice napoleonico, si abbandonò il sistema di assegnare cognomi, che rievocavano troppo esplicitamente la condizione di nascita della persona, la sua qualità di emarginato. Persino la Chiesa aveva considerato nel passato il “defectus nativitatis” come impedimento al sacerdozio, anche se poi nella pratica essa si mostrò abbastanza indulgente. 58

 

Si fece qualcosa per venire incontro alle tristi condizioni degli esposti? Gli atti civili di nascita dei proietti (1825-1865) ci informano dell’esistenza della Congregazione di Carità 59 e in particolare della Ruota 60 che sovraintendevano alla tutela degli esposti. Purtroppo dall’esame di questi registri, come dei libri parrocchiali, non possiamo evincere quali siano stati i risultati di tali provvedimenti. Però è certo che una migliore coscienza del problema si andava diffondendo sia per gli interventi civili che per quelli religiosi.

 

2.2.2 Decessi

 

I libri dei defunti sono importanti non solo per l’incidenza della mortalità generale e delle climatiche inclemenze stagionali sui dati demografici, ma anche per le notizie sulle epidemie e sulle altre cause di morte

Seguendo l’andamento della mortalità (vedi Tav. I) si nota subito che dal 1785 - a parte il lieve decremento del ventennio 1835-1854 e l’eccessivo aumento nel decennio 1865-1874 a causa del colera del 1867 - i valori tendono decisamente a salire, finché raggiungono i 131,5 di media all’anno nel periodo 1885-1894. Dal 1895 il processo si inverte: ad eccezione del lieve incremento nel decennio 1915-1924, i valori diminuiscono sino a raggiungere i 29,3 di media nel periodo 1965-1974.

Confrontando adesso queste cifre con quelle ufficiali dell’andamento demografico, ci accorgiamo come - anche in questo caso - esse non sono molto discordanti: infatti la mortalità, come la popolazione, cresce in linea generale dall’inizio del nostro periodo sino alla fine del secolo XIX, tendendo poi fondamentalmente a scendere fino ai nostri giorni, eccetto i già notati periodi di incremento demografico. Oltre alla mortalità generale, un altro motivo interessante che ci forniscono gli atti di morte è lo studio della mortalità secondo le diverse classi di età. Abbiamo esaminato, a tal fine, gli atti degli anni 1798, 1856, 1895 e 1926. Nel 1798 su 15 defunti, 9 sono bambini inferiori ai cinque anni, 1 ha 14 anni, 4 hanno un’età compresa fra 30 e 45 anni, 1 ha 70 anni. La mortalità infantile raggiungeva il 60%. Anche negli altri anni, 1856, 1895 e 1926, i bambini morti in età inferiore ai cinque anni sono rispettivamente: su 94,52 (55,32%); su 136, 83 (61%) e su 62,30 (48,3%). L’impressione insomma che si ricava dalla lettura dei libri dei defunti è che sino a non molti anni fa la percentuale dei bambini morti era elevatissima.

Per quanto riguarda il sesso, si nota per la mortalità pressappoco lo stesso rapporto che abbiamo osservato per le nascite e cioè: parità dei sessi negli ultimi decenni dell’Ottocento e sovramortalità femminile (infantile e di adulti) in tutti gli altri periodi. Inoltre, negli anni sopra esaminati, abbiamo notato un periodo breve di vita per le donne sposate; sono poche quelle che sopravvivono oltre i 65 anni. I motivi possono essere diversi: molti figli, lavori pesanti nella vita domestica e di campagna, piena soggezione al marito. In generale possiamo dire con Delille che “il problema della sovramortalità femminile non deve essere dissociato in mortalità infantile e mortalità di adulti, ma deve essere trattato in modo globale come una inferiorità generale della donna in tutti i campi della vita quotidiana e della vita sociale.” 61

 

Esaminiamo adesso la mortalità stagionale. Come risulta dalla Tav. V, abbiamo preso in esame, a titolo esemplificativo, i due quinquenni 1861-1865 e 1891-1895. In entrambi i periodi i valori si mantengono omogenei, eccetto in marzo. I mesi più funesti erano luglio, agosto e settembre. Micidiali erano quindi i mesi caldi dell’estate, e in parte quelli autunnali, durante i quali la popolazione era costretta a lavorare più intensamente nei campi. 62 Risulta interessante a riguardo il confronto di questa tavola con quella della variazione stagionale delle nascite e dei concepimenti: i mesi di basso concepimento corrispondono con quelli di più alta mortalità.

Un’ultima considerazione riguarda le cause di morte. I libri parrocchiali riferiscono per lo più in modo rapido e generico le cause più frequenti di morte: le malattie. Incontriamo spesso: “gravi morbo correptus”, senza ulteriori specificazioni. Essi evidenziano invece le grandi epidemie e le morti dovute a disgrazie. Sono ricordate soprattutto le epidemie di colera del 1837 e del 1867. 63 La prima, il “cholera morbus”, dall’8 agosto al 2 ottobre, fece 73 vittime, elevando la mortalità annuale a 136 e l’indice di mortalità a 60,98 per mille. La seconda, per quanto risulta dai libri parrocchiali e dai registri comunali contrariamente a quanto hanno sostenuto alcuni autori 64 - fu la più funesta, anche se più breve della prima. L’”indica lue” manifestò la sua malefica influenza dal 19 giugno al 6 agosto, accentuando la sua recrudescenza nel mese di luglio. Numerose furono le vittime: soltanto nel mese di luglio si contarono 148 morti e 322 nell’intero anno. Supponendo una popolazione di 3400 abitanti, avremmo un indice di mortalità del 94,70 per mille. Sia la prima che la seconda invasione epidemica infierirono su tutte le classi di età, spargendo ovunque lutto e dolore. Nessuna menzione dell’epidemia del 1877, quando “Villalba fu visitata contemporaneamente da scarlattina, rosolia e difterite, che non pochi bambini strapparono all’affetto e alle carezze materne”. 65 Un po’ frequenti e anche rapide sono le notizie sui morti per annegamento (“in aquis demersus”), frana (“sub ruina terrae fortuito”), fulmine (“fulgure correptus”). Pochissimi e molto succinti, invece, gli atti che ci informano di morti violente in risse o per premeditati delitti: uccisi con armi da fuoco (“cum ictu scopletae”), con arma biánca (“cum cultro”) e per soffocamento (“suffocatus”). Di questi atti uno solo ha strappato dalla penna del parroco tutti i minimi particolari. Esso ci informa dell’uccisione di un bambino, dopo essere stato sequestrato a scopo di riscatto o di pegno per prelevare magicamente un tesoro. 66 Mancano del tutto, infine, le notizie sulle morti provocate dal brigantaggio, dalle rivolte, dalle guerre, nonché dalle alluvioni e dalle carestie.

 

2.2.3 Matrimoni

 

L’importanza di questi libri, come degli atti di battesimo e di morte, è veramente notevole.

 

Essi, infatti, superando il mero dato biologico del fenomeno demografico, costituiscono le migliori fonti di informazione sulla qualità e attitudini psicologiche del popolo, sul movimento della popolazione e sui locali costumi. 67

 

Complessivamente nei quattordici libri di matrimonio, dal 1813 ai nostri giorni, sono contenuti 4667 atti di matrimonio, con una media annua (179 anni) di 26,07 matrimoni.

Osserviamo prima di tutto l’andamento dei matrimoni. Dal 1813 ad oggi (vedi Tav. I) si nota - dopo i primi quattro decenni oscillanti tra i 19,3 e i 26,7 di media all’anno - il periodo stazionario 1855-1904 con 33,3 di media e una punta di 36,8 verso il 1875-1884; poi il calo nella prima metà del Novecento fino a 22,7 di media, cui segue l’incremento del decennio 1945-1954 e un successivo calo fino ad oggi, che arriva a toccare i 9,8 di media nel periodo 1975-1984. Ora l’oscillazione della prima metà dell’Ottocento, la stazionarietà del secondo Ottocento, il calo, l’incremento e il nuovo calo del Novecento potrebbero spiegarsi - oltre che con l’andamento delle nascite, i cui effetti si facevano sentire dopo qualche decennio (si noti ad esempio il calo e l’incremento delle nascite e dei matrimoni nella prima metà del nostro secolo) - anche con il notevole movimento migratorio del ventennio 1881-1901 e dei primi anni del decennio 1911- 1921, cui abbiamo accennato.

Interroghiamo adesso i libri dei matrimoni su alcuni punti particolari. A quale età si sposavano i giovani di Villalba? Fino al 1865 sui libri di matrimonio non è indicata l’età degli sposi. Pertanto per questo periodo è possibile rispondere alla domanda soltanto risalendo per ciascuno degli sposi al relativo atto di battesimo, ammesso che si tratti di nati in Villalba. Abbiamo invece potuto condurre un’indagine, a puro scopo indicativo per il 1880, anno in cui compare con una certa frequenza l’età degli sposi. Su 38 matrimoni, soltanto in 28 risultano le età di entrambi gli sposi e, limitatamente a questi 28 casi, abbiamo riscontrato che l’età media dello sposo era di 23 anni, quella della sposa di 20 anni; che nessun maschio contro tredici femmine si sposa prima dei venti anni e che solo in due casi la sposa è più adulta dello sposo.

A quale ceto sociale appartenevano i due contraenti? Anche la risposta a questa domanda non può essere esaustiva, poiché per tutto l’Ottocento i libri dei matrimoni non ci informano sulle condizioni professionali degli sposi. Però i parroci indicavano le persone appartenenti ad uno strato sociale elevato con i rispettivi titoli: “Illustrissimus”, “Magnificus”, “Doctor”, “Magister”, “Don”, ecc. Perciò, considerando che Villalba è una comunità essenzialmente agricola, non è difficile dare una risposta a una tale domanda. In breve, le scelte matrimoniali avvenivano generalmente tra giovani appartenenti allo stesso ceto sociale, anzi spesso essi erano legati da vincoli di parentela, come appare dalle numerose dispense dall’impedimento di consanguineità in secondo o terzo grado. Sono rarissimi i casi in cui le coppie di sposi sono di diversa estrazione sociale. Un caso del genere è quello del cavaliere Giuseppe Palmeri, che “dopo aver dato la caccia alle sottane contadine” finì con lo sposare nel 1885 una di esse, Giuseppina Mendola, detta Cristina.

 

Le altre donne che il ‘don Giovanni’ aveva ‘illuso’, gli ‘uscirono subito, per scherno - o forse, per invidia - una canzone ‘di sdegno’: “Ti mangiasti la miannula amara pi doppu addivintari cavalera.” (Hai mangiato una mandorla amara per elevarla alla dignità di cavaliera).

 

Col duplice significato, per ‘miannula’, di Mendola e di mandorla; per ‘cavalera’, di moglie di cavaliere e di varietà pregiata di mandorla. lnsomma, quel fortunato matrimonio aveva capovolto lo stato sociale della Mendola: da mandorla “amara” era divenuta “cavalera”.68

 

Qual era la provenienza degli sposi? Si apprende dai libri dei matrimoni, e anche da quelli delle denunzie, che i matrimoni venivano contratti con donne di Villalba, ma anche dei paesi vicini come Marianopoli, Valledolmo, Mussomeli, S. Caterina Villarmosa, Vallelunga, S. Cataldo, o di quelli più lontani come Termini, Montemaggiore, Aragona, Racalmuto, dove evidentemente gli uomini si recavano per motivi di lavoro o dove il parente, l’amico segnalava l’esistenza di ragazze con i requisiti richiesti. Ma anche le donne di Villalba sposavano uomini di questi paesi. E’ da supporre, in questo caso, che l’incontro dei futuri sposi avveniva a Villalba in qualche festa o in qualche fiera, come quella di S. Giuseppe, che rappresentava un propizio luogo di incontro.

Consideriamo un ultimo aspetto: la ripartizione mensile dei matrimoni, alla quale abbiamo riservato una particolare attenzione nel corso della ricerca. Abbiamo esaminato infatti l’intero periodo 1813-1991. In 179 anni - come si è detto 4667 matrimoni con massimi nei mesi di settembre (782), ottobre (680), cui seguono aprile (528), gennaio (482) e febbraio (454); e minimi in luglio (158), marzo (165), maggio (208), agosto (240) e dicembre (241). Per i rimanenti valori vedi Tav. VI. La media è comunque di 26,07 matrimoni all’anno, più di due al mese, con massimi nel 1819 (58),1861 (52),1919 (50),1920 (51), 1946 (51), gli anni che precedettero e seguirono importanti avvenimenti politici regionali e nazionali: la nascita dello stato civile in Sicilia, la spedizione dei Mille e la fine delle due guerre mondiali. Sono evidenti i motivi di carattere religioso: dicembre per l’avvento e marzo per la quaresima fanno slittare le cerimonie nuziali a gennaiofebbraio e ad aprile. Dalla fine dell’Ottocento in poi sono anche evidenti i motivi superstiziosi: la credenza popolare nella “giornata nera” fa evitare le nozze nel mese di maggio. 69 Espressione di tale credenza è ancora oggi il detto: “la spusa majulina nun si godi la cuttunina”. 70 Altro mese infausto alle nozze, in tempi recentissimi, secondo le credenze popolari, è novembre, “il mese dei morti”, che potrebbe essere di cattivo auspicio per la giovane coppia. Ulteriori ricerche potrebbero mettere in luce un maggiore numero di testimonianze relative alla rarefazione di nozze ln magglo e novembre.

Va sottolineato infine che l’addensamento dei matrimoni in gennaio, febbraio e aprile è da collegare con l’alta natalità che abbiamo riscontrato in ottobre, novembre e gennaio. Però i matrimoni di settembre e ottobre, quasi doppi rispetto alla media, discordano abbastanza con le nascite di giugno e luglio, che sono al di sotto della media. Questo potrebbe essere giustificato, almeno in parte, con gli stessi motivi addotti per spiegare il decremento estivo-autunnale dei concepimenti.

 

2.2.4 Stati delle anime e libri cronache

 

Un discorso a parte meritano gli stati delle anime. Questo tipo particolare di censimento sembra non attecchire a Villalba, se si considera che per oltre due secoli si conservano soltanto due registri dello stato delle anime (1875 e 1920). Forse che gran parte di questa documentazione è andata dispersa senza lasciare nessuna traccia? Non sappiamo. In ogni modo “l’esame dei censimenti superstiti evidenzia innanzitutto l’inosservanza della periodicità indicata dal Rituale Romano, sicché lo status animarum da annuale diventa certe volte biennale, altre triennale ed ancora quinquennale (e decennale). In molti casi, inoltre, più che di veri e propri censimenti si tratta di ‘aggiornamenti’ con l’aggiunta solo dei nuovi nati e con l’indicazione di una croce davanti ai nominativi dei morti. Mancano anche del tutto le informazioni relative alla professione sia del capo-famiglia sia degli altri membri del gruppo familiare, ad eccezione dei nuclei di estrazione nobile e notabile, elementi questi che impediscono di volgere l’attenzione e l’analisi sull’articolazione socio-professionale.” 71

 

Tutto ciò non consente che dei rilievi approssimativi sulla popolazione. Innanzi tutto, risalendo agli atti di battesimo e di morte, abbiamo potuto ricostruire i vari nuclei familiari, e così abbiamo calcolato all’incirca che nel 1875 la popolazione era di 3350 persone, mentre nel 1920 si aggirava sulle 3500. Come si può notare queste cifre non sono molto discordanti con quelle ufficiali (vedi la Tav. II). Poi abbiamo preso in esame la composizione delle famiglie soltanto per il 1875, poiché l’indagine è stata più facile, per quest’anno, in quanto il censimento risulta aggiornato solo parzialmente. Abbiamo riscontrato 903 famiglie con una media a famiglia di 3,70 persone. La famiglia più comune è di quattro persone (20,48%), seguita da quelle di tre (19,04%), da quella di due (18,71%), da quella di cinque (14,9%), da quella di sei (8,19%), da quella di sette (5,42%) e così via. Dodici famiglie sono formate da nove persone, tre da dieci e una da dodici. Le famiglie di due persone sono costituite per lo più da due coniugi di età matura senza figli; quelle di tre persone sono quasi tutte formate da genitori con un solo figlio. La famiglia più numerosa, di 14 persone, è di un certo Giovanni Vasta, che ha a carico la moglie, il padre settantenne e 11 figli da 21 a 1 anno.

Inoltre come in tutti gli altri libri parrocchiali, anche nello stato delle anime del 1875 si trova spesso davanti al nome dei “filiani” in genere dei capifamiglia, un appellativo che indica la condizione sociale di nobili, borghesi, domestici e così via. Ad esempio risulta un “Illustrissimus” (sull’altro stato delle anime figurano anche vari “Domini”, “Nobiles”, “Doctores”, “Magistri”, ecc.), e diversi “Don”. In entrambi gli stati delle anime risultano pochissime famiglie con domestici.

Infine bisogna tenere presente il fatto che il clero e i religiosi non venivano inseriti negli stati delle anime. E questa è una grave lacuna non solo perché ci impedisce di fare delle considerazioni, ma anche perché sottrae alla popolazione complessiva una certa percentuale. Per questi motivi, sopra esposti, le cifre risultanti dagli stati delle anime devono essere utilizzati con molta cautela.

Tale lacuna è compensata in parte per il Novecento dai libri delle cronache, da cui emergono in particolare le figure degli arcipreti e di alcuni sacerdoti illustri. Il primo sacerdote di cui si hanno notizie è mons. Giuseppe Scarlata 72 (1859-1935), arciprete parroco dal 1897 al 1911, e futuro vescovo di Muro Lucano dal 1911 al 1935. Figura eminente, legata al movimento cattolico, che negli anni di inizio secolo ebbe a Villalba uno dei centri più vivi. A lui si devono la fondazione della cassa rurale (1898) e altre cooperative di lavoro e di consumo.

Fedele collaboratore di don Giuseppe Scarlata fu il fratello don Angelo 73 (1861-1935), che nel 1911 gli succedette nell’ufficio di arciprete. Questi continuò l’opera sociale intrapresa da don Giuseppe: guidò le vivaci battaglie elettorali per la conquista dell’amministrazione comunale da parte dei cattolici e sostenne da vicino il partito popolare.

Seguirono a mons. Angelo Scarlata, mons. Giovanni Vizzini 74 (1882-1952), arciprete dal 1937 al 1952, e il sacerdote Alfonso Iucolino 75 (1921-1989), prima in qualità di vicario adiutore e poi di arciprete dal 1953 al 1989. I campi principali del loro apostolato furono la formazione cristiana dei fedeli, la promozione delle varie associazioni maschili e femminili dell’Azione cattolica e la carità. In questi anni figurano diversi sacerdoti coadiutori, spesso raggiunsero il numero di cinque. 76 Ciò vuol dire che, supponendo una popolazione di 4500 abitanti, avremmo un sacerdote per 750 persone. Apprendiamo anche che, in questi stessi anni, furono ordinati sette sacerdoti.

Tra il clero villalbese emergono, per le loro opere, accanto a mons. Giuseppe Scarlata, mons. Giuseppe Vizzini 77 (1874-1935), vescovo di Noto dal 1913 al 1935, mons. Ignazio Immordini 78 (1875-1959) e i sacerdoti Salvatore Vizzini 79 (1880-1959), Luigi Immordini 80 (1892-1959) e Giuseppe Panettieri 81 (1907-1944).

 

2.3 Vita cristiana e cura pastorale

 

I libri parrocchiali sono anche utili per la conoscenza della vita cristiana, dei costumi, della religiosità e della cura pastorale. Le considerazioni che faremo nelle seguenti pagine saranno rivolte in modo particolare allo studio della pratica sacramentale, tenendo presenti le costituzioni sinodali e le disposizioni della Curia vescovile di Caltanissetta.

 

2.3.1 Battesimi

 

Dai libri dei battesimi risulta innanzi tutto la prassi tradizionale di conferire il sacramento entro tre giorni dalla nascita, in conformità ai decreti sinodali agrigentini, 82 o al massimo entro otto giorni, secondo le nuove prescrizioni del primo e del secondo Concilio Plenario Siculo (1920 e 1952). 83 Quest’uso di battezzare rapidamente (“quanto citius”) il neonato era determinato anche dalla paura di fronte alla minaccia della morte, sempre possibile (del resto era ben nota la forte mortalità infantile), e della diffusa concezione duramente negativa del destino dei morti senza battesimo; ma era comunque segno di una fede viva e sincera. 84

Contrariamente all’uso invalso dopo il Concilio Vaticano II (secondo cui deve essere la madre a presentare il suo bambino al fonte battesimale), i genitori non assistevano al rito. 85 Era l’ostetrica o levatrice, cioè la praticona locale di quei tempi (la mammana), che, con la licenza dell’Ordinario, 86 dopo aver assistito al parto, presentava entro il tempo stabilito il neonato al sacro fonte. Nel caso di imminente pericolo di vita del neonato, l’ostetrica aveva anche la facoltà di amministrare il battesimo in casa; per i parti difficili poteva battezzare del neonato una parte soltanto del corpo, quella fuoriuscita dall’utero materno. 87 La legge era di fatto applicata fedelmente. 88 Il sinodo di Ramirez prescriveva anche che le levatrici dovevano essere esaminate ogni due mesi dal parroco, il quale doveva rendersi conto della loro capacità di amministrare correttamente il rito. 89 Il parroco inoltre aveva l’obbligo di indagare sull’evento, ogni volta che l’ostetrica amministrava un battesimo in casa. Se riusciva ad accertarsi che la formula sacramentale era stata pronunziata bene, doveva procedere in chiesa al rito ungendo il neonato con il semplice olio dei catecumeni (come atto preparatorio) e con l’olio balsamo del crisma (come atto confermativo); nel dubbio, invece, che l’ostetrica avesse sbagliato la formula sacramentale o nel caso che il bambino non fosse stato battezzato nel capo, doveva conferire il battesimo “sub conditione”. 90 Casi del genere erano frequenti. 91

Un caso particolare era, poi, quello degli esposti. Già nel Rituale Sacramentorum Romanum Gregorii Papae decimiettertii Pontificis Maximiiussu editum, del 1584, si legge degli esposti e del compito del clero: “Ammonisca il parroco soprattutto i fedeli affinché si guardino dall’esporre i propri figli o quelli di altri, se non per casi di grave ed urgente necessità, e, quando ciò avvenga, se possono, almeno non li espongano se non battezzati, con appesa al collo la ‘schedula’ dell’avvenuto battesimo recante il nome dell’infante; che li espongano negli ospedali o nei luoghi preparati a riceverli; che non li abbandonino nei crocicchi, per la pubblica via o in quei luoghi ove possano facilmente perire.” 92 

I sinodi sono ricchi di moniti e di istruzioni ai parroci sul problema del battesimo agli esposti. Nel sinodo di Agrigento, promosso dal vescovo Bonincontro, 1610, si può leggere: “Sacerdos in primis investiget an infans baptizatus sit et qua materia, qua ve forma: et si baptizatus fuerit obstetricem, et testes interroget, si Baptismi forma recte adhibita fuit: quod si servatum exstiterit, solennes tantum caerimonias addat: et si diligentia adhibita dubium relinquatur, aut certe non appareat eum baptizatum esse, ut fuit expositum, licet appensum collo scriptum inveniatur, tunc sub hac conditione baptizetur.” 93 

 

Anche per gli esposti dunque la preoccupazione era anzitutto religiosa: ci si preoccupava della loro sorte in relazione al battesimo, cioè al problema della salvezza eterna. A questo riguardo ci sembra interessante leggere un atto di battesimo:  “Anno Domini 1866. Die vigesima octavaJulii, repertus est a Josepha Menna hac nocte hora sexta prope sepem Mariae SS.ae l’eccatorum infans qui delatus est ad obstetricem Gratiam Mistretta, quae judicavit infantem esse natum die 26 circ. et adserui. Inde, quia ex scheda appensa collo infantis apparebat non esse baptizatum, Capellanus Sac. D. Stofanus Lupo baptizavit, et nomen imposuit Salvator Palestro. P.na fuit Calogera Cardinale uxor D.ni Josephi Alaimo.”  94

 

In breve, appare chiaro dai libri parrocchiali il fatto che praticamente tutti i bambini ricevevano il battesimo e senza ritardo.

Dai libri dei battesimi risulta anche la ripetizione frequente di alcuni nomi. Si ripetono i nomi di Giuseppe (che è quello del patrono locale), Salvatore e Maria. Sono comuni tra i maschi anche: Calogero, Antonio, Vincenzo, Alfonso, Carmelo, Michele, Biagio, Filippo, Francesco, Giovanni, Luigi, Mansueto, Angelo, Diego, Gaetano, Liborio e Santo; tra le femmine: Rosalia, Lucia, Cecilia, Grazia, Concetta, Caterina, Rosa, Epifania, Illuminata, Crocifissa, Palmira e Provvidenza. Frequenti sono anche i nomi doppi: Francesco Paolo e Maria Grazia, Maria Giuseppa, Maria Anna, Maria Carmela, Maria Alfonsa, Maria Francesca, Maria Antonia.

 

Sarebbe interessante - come suggerisce Francesco Volpe condurre sui libri parrocchiali uno studio sull’onomastica locale. I quesiti da risolvere sarebbero tanti: la tradizione, che vuole la trasmissione dei nomi familiari, dove e sino a che punto è rispettata? L’introduzione di nuovi culti e l’abolizione di vecchi fino a che punto ha inciso nell’imposizione dei nomi? 95

 

Constatiamo anche da parte nostra quanto dice Francesco Volpe, e cioè “l’uso di attribuire più nomi è servito talvolta di frattura nella continuità onomastica fra nonno e nipote, in quanto nel linguaggio quotidiano familiare il bambino veniva chiamato non tanto col primo nome imposto all’atto del battesimo (quello che ricordava il nonno), ma piuttosto con uno dei seguenti, più gradito perché scelto senza condizionamenti, finché poi del primo nome si perdeva del tutto la traccia e quello nuovo veniva poi riproposto per la trasmissione alle generazioni future.” 96

 

Inoltre, i libri parrocchiali permettono di analizzare i rapporti che sono intercorsi all’interno della popolazione. 97 Riscontriamo soprattutto queste due situazioni: cognomi più frequenti nel paese, segno evidente di matrimoni tra gli stessi abitanti; e cognomi identici a quelli delle località vicine, segno della provenienza della popolazione villalbese da questi paesi, nonché di apertura della stessa popolazione ad altri gruppi. I cognomi più comuni in paese sono: Alessi, Annaloro, Bonfanti, Cacciatore, Cammarata, Catalano, Cipolla, Di Raimondo, Di Vita, Farina, Favata, Ferrara, Fruscione, Garofalo, Guarino, Immordino, Iucolino, Leone, Li Vecchi, Lodato, Lumia, Lupo, Marsala, Mendola, Messina, Miserendino, Pantaleone, Plumeri, Ricottone, Riggi, Saia, Scarlata, Siracusa, Tramontana, Vinci e Zoda. Sono comuni alle località vicine (Vallelunga, Marianopoli, Mussomeli, Valledolmo ecc.) i seguenti cognomi: Alessi, Bonfanti, Cacciatore, Cammarata, Catalano, Cipolla, Ferrara, Messina, Plumeri, Riggi, Saia, Zoda e altri. Più difficile è determinare in base ai libri parrocchiali i fattori che hanno favorito la similarità dei cognomi.

 

2.3.2 Cresime

 

Per le cresime emergono principalmente tre caratteristiche: i lunghi intervalli fra le diverse amministrazioni del sacramento, l’età molto bassa dei confermandi e la prassi di conferire frequentemente la cresima prima della comunione.

Come si è già visto nella descrizione dei singoli libri parrocchiali, i vescovi amministravano le cresime alle volte a distanza di 12, 16 e più anni. 98 Basta ricordare due lunghi intervalli: 1869-1881 (12 anni), 1881-1897 (16 anni). Nessuna notizia di cresimati prima del 1869. Ma possiamo fare un calcolo: supponendo un indice di natalità del 50 per mille e una popolazione di 3000 abitanti verso il 1850, ogni anno avremmo 150 nati. Calcolando che la metà dei nati morisse, data la forte mortalità infantile, avremmo 75 nati all’anno, 750 in 10 anni, 1125 in 15 anni. Se i cresimandi nel 1869 erano 1210, vuol dire allora che da oltre quindici anni non si conferiva la cresima in questa parrocchia.

Il fenomeno aveva come conseguenza l’alto numero di cresimandi: nel 1869 su una popolazione di 3500 abitanti, i cresimati sono - come si è detto - 1210; nel 1881 su 4181 abitanti, sono 1294; e nel 1897 su circa 3500 abitanti, sono 1019. (Per le alte cifre e per i rispettivi intervalli si confronti il primo capitolo). Se si pensa che i cresimandi erano quasi sempre più centinaia, si può immaginare quale grande movimento di persone, tra cresimandi, padrini, familiari e fedeli, comportasse la festa della cresima, che spesso si prolungava per tre giorni consecutivi o addirittura per una settimana. La cerimonia si svolgeva per lo più nei mesi primaverili o autunnali, in occasione della visita pastorale. 99 Famiglie intere ricevevano la cresima: ad esempio nel 1881, su 1294 cresimandi, abbiamo incontrato per 8 volte, 5 membri della stessa famiglia; per 13 volte, 4 membri; per 55 volte, 3 membri e numerosissime volte due membri. Frequente è il caso del padrino unico per più cresimati della stessa famiglia. Spesso si tratta di una persona illustre, come ad esempio il dottore Stefano Mulè Bertolo. 100 In genere però tra padrini e figliocci non vi era promiscuità di sesso.

Rimangono aperte alcune questioni. Qual è la ragione dei lunghi intervalli? Difficoltà di comunicazione o negligenza pastorale? Il numero eccessivo dei cresimandi non comportava una preparazione piuttosto affrettata e sommaria? Quali erano i contatti tra vescovo e clero locale?

Per quanto riguarda l’età abbiamo constatato che molti ricevono la cresima in un’età compresa tra i 7 e i 20 anni. Raramente incontriamo persone anziane. Molto frequentemente invece troviamo bambini di 2 o 3 anni, spesso di 1 anno o pochi mesi, e addirittura di uno o due giorni. Questa prassi (di cresimare i bambini) è confermata dalle richieste per il conferimento della cresima, che l’arciprete Giuseppe Scarlata inviava per i suoi parrocchiani a mons. Niccolò M. Audino, vescovo di Mazara del Vallo, quando questi veniva ad amministrare la cresima a Vallelunga. Tra le tante che abbiamo trovato in mezzo ai libri parrocchiali, ne leggiamo una del 1903:

 

“Villalba 8 ottobre 1903.

Eccellenza Rev.ma, i coniugi Plumeri Mario e Rosa Ognibene, miei filiani implorano che alla loro bambina Maria di 9 mesi sia amministrato il sacramento della confermazione. Assisterà come pádrina Maria Leone di Calogero. Imploro la Pastorale Benedizione, mentre mi do l’onore raffermarmi di V. Ecc.za Rev.ma

Mons. Dr. D. Niccolò Audino,

vescovo di Mazara,

umilissimo servitore

arciprete G. Scarlata. 101

 

Nel retro della richiesta è stato annotato: “Cresimata oggi 8 novembre 1903 da S.E. Rev.ma Monsignor Niccolò M. Audino, vescovo di Mazara - in Vallelunga”. Questo fenomeno era determinato molto probabilmente dal timore che il bambino morisse senza “quest’altra garanzia di salvezza”, la confermazione. Sarebbe interessante comunque proseguire l’indagine nei paesi vicini.

Infine resta da notare che, a motivo dell’età molto bassa dei confermandi la cresima veniva spesso conferita prima della prima comunione. Conferma questa prassi lo stato delle anime del 1920. Ad esempio nel primo volume alla pagina 453 troviamo che di 4 ragazzi - di cui è annotata la data di cresima e di comunione - 3 sono stati cresimati prima di ricevere la comunione, e 1 ha ricevuto la cresima e comunione nello stesso anno. La prassi non doveva essere esclusiva di questa parrocchia, se già mons. Niccolò M. Audino, vescovo di Mazara, accettava tranquillamente - come si è detto - di cresimare i bambini di Villalba nella vicina Vallelunga. Anche in questo caso riteniamo che debbano essere esclusi motivi teologici o ecumenici. Personalmente credo che i motivi erano pratici. Per avere comunque un quadro più chiaro e completo della situazione, sarebbe necessario lo spoglio dei registri parrocchiali almeno della zona.

 

2.3.3 Matrimoni

 

Dall’esame degli atti di matrimonio risulta che fino al 1929 la cerimonia nuziale avveniva spesso in due fasi. 102 Con la prima i fidanzati contraevano - “ante faciem Ecclesiae”, alla presenza di due testimoni - il matrimonio “per verba de praesenti”, che per la Chiesa effettivamente aveva il valore di semplice ma solenne promessa. Pertanto il contratto senza “benedictioncln matrimonialem inter solemnia missaes” escludeva la coabitazione degli sposi. Della cerimonia il sacerdote officiante, come si è detto, redigeva l’atto sul registro apposito specificando: “interrogavi eorumque mutuo habito consensu solemniter per verba de praesenti matrimonio coniunxi, coram testibus...”.

La seconda fase della cerimonia, che consacrava l’effettiva unione degli sposi, consisteva nella benedizione nuziale. Dell’avvenuta benedizione il parroco annotava sul registro di matrimonio in calce al rispettivo atto: “Fuerunt benedicti die... in missa”. Da questi atti, però, è impossibile determinare se la coabitazione e la consumazione seguissero realmente la seconda fase. E’ certo un fatto: sia i sinodi agrigentini che il primo Concilio Plenario Siculo insistevano molto, affinché gli sposi ricevessero quanto prima la benedizione. 103 Non mancano tuttavia notizie di benedizioni nuziali impartite dopo uno, due mesi e più. 104

Va precisato che quest’uso non era comune a tutti i matrimoni della parrocchia, poiché risulta frequente anche il caso di cerimonia unica promessa-sposalizio, per la registrazione della quale il parroco scriveva “coniunxi et benedixi”.

Va segnalata anche l’usanza specialmente tra le famiglie più abbienti di celebrare il matrimonio in casa privata: “domi matrimonio coniunxi”. La cerimonia poteva concludersi forse con la benedizione degli sposi, se la casa disponeva di una cappella dove poter celebrare la messa “pro sponso et sponsa”. Tale abitudine appare diffusa un po’ dappertutto nella diocesi di Caltanissetta, tanto che i vescovi la denunciarono apertamente e invitarono più volte i parroci a richiamare i fedeli all’esatta osservanza delle prescrizioni canoniche sull’amministrazione dei sacramenti. 105

Oltre a queste informazioni sulla cerimonia nuziale, i libri delle denunzie e dei matrimoni ci offrono altri dati di notevole interesse. Emerge chiaramente innanzi tutto la relativa frequenza dei matrimoni tra consanguinei. Molti sono i matrimoni contratti con la dispensa dall’impedimento di consanguineità in secondo o terzo grado. “Il fenomeno si spiega facilmente, per le frequenti relazioni tra i parenti, ma anche per la preoccupazione di non disperdere il patrimonio familiare”. 106 Nel caso di impedimenti per consanguineità (allora più estesi rispetto alla legislazione del 1917 e del 1983), troviamo più volte ricordato l’”exequatur” regio concesso alle dispense della S. Sede. In Sicilia l’”exequatur” era ottenuto dal Tribunale della Regia Monarchia e Apostolica Legazione, 107 che fu soppresso da Pio IX unilateralmente nel 1867 e poi da parte dello stato italiano nel 1871, con l’art. 15 della legge delle guarentigie. Infine è interessante notare che dopo l’introduzione del matrimonio civile in Italia (1 gennaio 1866), il parroco non solo non registra, accanto al matrimonio religioso, la data e l’ora della celebrazione civile, ma abbandona perfino il vecchio uso di segnare il numero d’ordine dei rispettivi atti civili. Abbiamo già visto che in molti casi il matrimonio civile precedeva quello religioso di un certo tempo.

 

Il distacco cronologico fra i due matrimoni probabilmente non era dovuto a motivazioni ideologiche, ma ad una certa inerzia, a difficoltà pratiche, all’assenza di un’autentica sensibilità ecclesiale (difficilissima a superare!). 108

 

2.3.4 I sacramenti estremi e l’addio

 

I libri dei defunti “descrivono l’ultimo rapporto spirituale che l’uomo ha con il sacerdote e quindi con Dio attraverso i sacramenti estremi che egli riceve”. 109 Dal loro esame risulta chiaramente l’assistenza assidua e abituale del parroco ai moribondi, sicché quasi tutti i fedeli prima di morire ricevevano confessione, comunione ed estrema unzione. Chi redige le notizie di morte è preoccupato di assicurare il vescovo che si è seppellito “ad sanctos” persona conciliata con Dio e con la Chiesa. 110 Troviamo pertanto negli atti di morte sia le espressioni - già notate nel formulario - per indicare il “transitus” cristiano, sia la specificazione dei singoli sacramenti somministrati. Leggiamo spesso: “Ultimis sacramentis munitus” oppure “Omnibus jam munitus sacramentis”; altre volte invece “Paenitentia et extrema unctione munitus”; “Sola extrema unctione refectus”; “Sola paenitentia sacramento munitus”; “Sacro oleo unctus”. Inoltre il parroco sembra dolersi e scusarsi se qualche volta non ha potuto amministrare gli ultimi sacramenti al moribondo perché “repentino morbo correptus”.

Cosa avveniva dopo la morte? Come si svolgeva la cerimonia funebre? I libri dei defunti ci aiutano solo in parte a ricostruire i diversi momenti che si susseguivano dalla morte alla sepoltura. Dalla fine del Settecento agli inizi del Novecento possiamo fare alcuni rilievi. Innanzi tutto, come avviene tuttora, il parroco con la confraternita - alla quale apparteneva in vita il defunto - prelevava in pieno giorno la salma dalla casa per trasportarla in chiesa. 111 Qui nelle ore antimeridiane si celebrava la cerimonia funebre. Ad essa prendevano parte due o più sacerdoti, 112 specialmente se il defunto apparteneva a una famiglia di alto rango. La cerimonia era meno solenne per i “pauperes et miserabiles” che “gratis debeant sepeliri”. 113 Inoltre il sinodo di Ramirez proibiva “lamentatrices foeminas, quae inter funera adhuc aliquando commiscentur”. 114 Dopo la funzione religiosa la salma, distesa già sulla bara, 115 veniva abitualmente chiusa e inumata nel sepolcro “post 24 horas” (“in Ecclesia Concezione” o “in hac Matrici Ecclesia”, o ancora “in Coemeterio” e “in novo Campo Sancto”). 116 Seguivano tre giorni di lutto e di visite. 117

Un ultimo rilievo va fatto sull’esemplarità di vita cristiana. Solo in pochissimi atti abbiamo riscontrato riferimenti alle virtù e alla condotta di vita dei defunti. Si tratta in genere di sacerdoti o religiosi. Esemplare sotto questo aspetto è l’atto di un terziario regolare cappuccino, morto in fama di santità:

“Die l4 Martii 1891. Catalano Joseph natus Villalbae Anno Domini 1802 ex Nicolao et Lucia Lipani; tertiarius regularis cappuccinus, nomine fratris Aloisii, a religiosae vitae exordio ad extremum usque spiritum obedentiam, orationem, humilitatem, castitatem, charitatem in pauperes et in adiuvandam Fidei promulgationem coluit, die suae mortis praenuntiata, SS. Sacramentis devotissime receptis, ad Dominum heri migravit. Eius corpus in Coemeterio in loco depositi sepultum fuit. 118

 

Lo stesso arciprete Giuseppe Scarlata, che ha redatto l’atto di morte, vi aggiunse in un doppio foglio intestato dei cenni biografici in italiano dove tra l’altro scrisse:

“ Sparsasi la fama della morte di lui, il popolo corse in folla a vedere l’ultima volta colui che egli chiamava il santo. E ciascuno gli strappava un lembo della veste per ritenerlo come reliquia; e ben due volte si fu costretti a rivestirlo perché la gente più e più moltiplicava.”

 

Basta questo esempio per apprezzare il valore di tali atti. Essi sono molto preziosi soprattutto perché evocano una memoria e offrono testimonianza di vita cristiana.

 

*    *    *

 

Alla fine di questo studio, riteniamo opportuno mettere in evidenza gli aspetti più importanti che sono emersi dalla lettura dei vari libri parrocchiali e registri comunali, per dare una visione d’insieme dell’argomento trattato.

Innanzi tutto, i casi di trascuratezza nella redazione dei libri parrocchiali sottolineano la loro irregolarità e le loro lacune. Tuttavia dall’esame di questi libri abbiamo ricavato cifre utili per conoscere l’andamento della popolazione, i suoi incrementi comuni a tutta l’Europa, le sue flessioni nei periodi di epidemia e di emigrazione; e abbiamo appreso notizie importanti sulle qualità e attitudini psicologiche del popolo, sui costumi locali e sulla struttura sociale di Villalba. Inoltre abbiamo rilevato aspetti interessanti della vita cristiana e della cura pastorale: regolarità e rapidità del battesimo, a motivo anche della forte mortalità infantile; preoccupazione religiosa relativa agli esposti; amministrazione della cresima a lunga distanza dalla precedente, che diveniva così un evento di massa; età molto bassa dei confermandi e prassi di anticipare con una certa frequenza la cresima alla prima comunione; fasi della cerimonia nuziale e problematica del matrimonio civile; infine, assistenza assidua e abituale del parroco ai moribondi.

Abbiamo poi integrato la lettura dei libri parrocchiali con quella dei registri comunali, da cui è emerso che l’evoluzione dello stato civile appare come riflesso dei regimi borbonico e italiano.

Se, dunque, la lettura dei libri parrocchiali appare monotona e arida, i lunghi elenchi delle nascite, dei matrimoni, dei defunti e degli stati delle anime e le relative documentazioni dei parroci e dei visitatori formano una cronaca ricca di quei contenuti, validi a dare un’immagine reale di un piccolo comune dell’entroterra siculo. E i rilievi fatti lo dimostrano. Ma se volessimo saperne di più sugli aspetti relativi agli altri sacramenti, sullo zelo pastorale dei parroci, su come veniva presentato dal clero ai fedeli il “transitus” cristiano, ecc., i libri parrocchiali da soli non sarebbero sufficienti. Dovremmo studiare non solo le costituzioni sinodali diocesane e provinciali, i registri comunali, ma anche le relazioni “ad limina” le visite e le lettere pastorali, le formule liturgiche, le prediche del clero regolare e secolare, le iscrizioni funerarie, la letteratura di devozione, l’iconografia.  

 


 A  P  P  E  N  D  I  C  E  


 

  Notizie biografiche del frate cappuccino Luigi Catalano 119 

 

Villalba 1 novembre 1891

 

Venerdì 13 Marzo in sul cader del sole cessava di vivere in Villalba, sua patria, fr(a) Luigi Catalano. Nato egli nel 1802 da Nicolò e Lucia Lipani, onesti genitori, sortl al fonte battesimale il nome di Giuseppe. Piamente educato, a 24 anni lasciava la patria e i parenti, e si ritirava nel Convento dei Cappuccini in S. Giovanni Gemini, Provincia di Girgenti, ove, fatto Terziario e preso il nome di fr(a) Luigi, si dava al servizio di quei monaci e all’acquisto delle cristiane virtù. Che se per delicatezza di coscienza non volle emettere i voti solenni, di sé dubitando non forse potesse venir meno alle istituzioni dell’ordine, pure sappiamo ei fu scrupolosamente esatto nei suoi doveri, tenuto in grande stima dai superiori, esemplare ai compagni. Pieno dell’amore di Dio non parlava d’altro che di Lui, e si studiava con impegno d’attrarre al bene i prossimi con lezione e narrazione delle vite dei Santi.

Dopo l’espulsione dei Frati nel 1866 egli tornò in patria, e si ritirò un duemila passi lontano dal paese in un angusto abituro o grotta (come la dicono). Ivi rimase solitario dodici anni immerso nella contemplazione di Dio, in rigorosa astinenza di vitto e tutto dato all’orazione. Veniva in paese, ma solo nei giorni festivi, ad ascoltare la S. Messa e cibarsi delle Carni Eucaristiche. Che bello spettacolo era il vederlo con la corona in mano, cogli occhi bassi, recitare il Rosario! Il viso calmo e imperturbabile mostrava al di fuori la serenità della coscienza, i suoi occhi infocati dicevano che egli tenesse viva nel petto la facella dell’amor divino. Bastava guardare fr(a) Luigi per ricomporsi e riconcentrare lo spirito nelle cose del cielo.

Dopo i dodici anni, costretto dalla vecchiaia si stabilì in Villalba, ritenendo però le consuetudini della grotta; sua unica occupazione era ascoltare giornalmente quante Messe poteva e visitare più volte al giorno Gesù in Sacramento. Ed era vero amante di Gesù Cristo, e per amor di Gesù Cristo bramava la propagazione della Fede, in bene della quale spese parte di sua vita ricercando elemosine, e le assegnò anche in morte la casa di sua abitazione. Ma l’amore di Gesù Cristo genera di per sé nel cuore un altro amore, l’amore degli uomini. Ed ei li amava gli uomini, e i poveri spesso si assisero al suo desco, e i malvagi, che l’ebbero qualche volta derubato non lo videro adirarsi, anzi esperimentarono la sua paterna benevolenza e la carità, che in lui era straordinaria. Obbediente, non fu mai che mostrasse ripugnanza o volesse addurre ragioni per sottrarsi all’obbedienza: ciecamente eseguiva tutto.

Ma la terra non era più degna di possedere un tanto uomo: Iddio già s’affrettava a chiamarlo al possesso della meritata corona. Era il 10 Marzo, Mercoledì, e fra Luigi presago della sua prossima morte, assai per tempo usciva di casa. Dove andate fra Luigi? Gli chiesero persone di conoscenza. Ed ei calmo e sereno col riso sulle labbra, rispose: La mia vita non si estenderà al di là del Sabato, vado perciò in Chiesa ad ascoltare l’ultima volta la S. Messa. E con gran giubilo ricevè Gesù in Sacramento, benché in giorno non festivo, cosa per lui fuori dell’ordinario. Il Venerdì, alzatosi, cercò di recarsi in Chiesa, ma non reggendosi bene in piedi, si diede a recitare il Rosario. Stava per genuflettersi, quando gli venner meno le forze e cadde. Venne tosto a rialzarlo un suo nipote, al quale ei disse: Questa è l’ultima volta ch’io t’incomodo. Chiese tosto gli ultimi Sacramenti e gli furono amministrati. All’apparire del S. Viatico fece degli sforzi per mettersi sulla vita in ossequio all’Ospite Divino, ma non bastandogli le forze, ricaduto sul letto di morte, ricevea con grande emozione di spirito il Pane dei Forti e strappava le lacrime agli astanti. Più tardi convenne recitargli le preghiere della agonia, ed ei rispondeva, finché gli venne a mancare la voce. Poi si tacque, ma movea ancora le labbra e volgea gli occhi al Crocifisso. Il suo sguardo era sereno e giulivo, gli balenò sul volto un dolve sorriso e spirò. Era la sua una morte o un principio di vita?

Sparsasi la fama della morte di lui, il popolo corse in folla a vedere l’ultima volta colui, cui (che) egli chiamava il santo. E ciascuno gli strappava un lembo della veste per ritenerlo come reliquia; e ben due volte si fu costretti a rivestirlo perché la gente più e più moltiplicava. Finalmente gli furono rese le onoranze funebri, e la salma venne accompagnata da tutto un popolo all’ultima dimora, e collocata in luogo di deposito. 120

Oh fra Luigi! Guardate benigno dal Cielo il vostro popolo e fate che Villalba possa un giorno vedervi onorato sugli altari.

 

Il Vicario Curato
Sac. Giuseppe Scarlata